top of page

Whitewashing e razzismo di Stato nelle rivolte dell’odio in Gran Bretagna




Rivolte Gran Bretagna
Immagine: Un'auto brucia durante una protesta anti-immigrazione a Middlesbrough, in Gran Bretagna, il 4 agosto

 In questo testo, Alberto Toscano, autore del brillante Tardo fascismo (Verso 2023; in autunno in libreria per le edizioni DeriveApprodi), ricostruisce il contesto storico e politico della violenza razzista e islamofoba che ha incendiato la Gran Bretagna nelle ultime settimane analizzando le radici sociali e politiche delle «rivolte dell’odio» in Gran Bretagna.

L’articolo è stato pubblicato anche su «In These Times».


***

 

La folla ha dato alle fiamme gli alberghi che ospitano richiedenti asilo. Ha attaccato le moschee. Ha accoltellato e preso a pugni persone nere e brune, le ha aggredite nelle loro case, derise con insulti e dato alle fiamme le loro attività. I canali Telegram dell'estrema destra invocano il «genocidio» e diffondono liste di avvocati che sostengono l'immigrazione. A partire dal 30 luglio, l'Inghilterra è stata travolta da un'ondata di violenza razzista e islamofoba (che ha colpito anche Belfast, in Irlanda del Nord). Provocate da false voci secondo cui l'orribile omicidio di tre bambini durante un corso di danza estivo nella città di Southport sarebbe stato commesso da un migrante di religione musulmana, i pogrom degli ultimi giorni hanno diffuso il terrore nelle comunità di origine migratoria in più di venti città e paesi in Gran Britannia. Come ha osservato il giornalista Daniel Trilling, si sono distinti sia per la loro efferatezza che per l’«estensione geografica» - interessando un’area che va da Sunderland nel nord a Plymouth nel sud - ma anche perché hanno attratto «un numero di partecipanti molto più ampio rispetto ai piccoli gruppi di fascisti militanti che hanno contribuito a istigare la violenza». È difficile sopravvalutare la gravità della situazione. Come ha dichiarato lo storico militante antifascista Balwinder Singh Rana, che negli anni Sessanta e Settanta ha fatto parte della Federazione Giovanile Indiana e della Lega Antinazista, in oltre cinquant’anni anni di lotta contro il razzismo e il fascismo, «non ho mai visto una situazione del genere prima d'ora... non è mai successo in questa misura».Le autorità hanno riconosciuto il carattere di estrema destra delle rivolte, ma si sono guardate bene dal mettere in evidenza l'islamofobia, il razzismo e l'animosità anti-immigrati che le hanno guidate. Hanno piuttosto parlato di «teppismo» criminale e chiesto nuovi poteri alla polizia, facendo leva su una falsa equivalenza che parifica i raduni razzisti (che la BBC ha definito ambiguamente «pro-britannici») con le manifestazioni antifasciste e antirazziste che si sono prodotte in opposizione. Analogamente, le autorità e i commentatori hanno sottolineato il predominante ruolo dei social media nel fornire l'infrastruttura digitale per questa esplosione di odio: hanno favorito la circolazione di fake news e reso possibile, con una velocità senza precedenti, il coordinamento della violenza sciovinista, scavalcando i tradizionali gruppi nazionalisti bianchi del Regno Unito, in gran parte moribondi.Ridurre questi eventi al teppismo e alla disinformazione è un esercizio di amnesia storica e di whitewashing.

In Gran Bretagna, come altrove, il razzismo nelle strade è stato seminato dal razzismo promosso dallo Stato e dai media (in particolare i tabloid come il Daily Mail e il Daily Express), dai gruppi di esperti e dagli accademici - tutti felici di sostenere che gli abusi razzisti e le aggressioni fisiche sono fondati su «preoccupazioni legittime». I 14 anni di governo Tory, terminati poche settimane fa con l'elezione a primo ministro del laburista Keir Starmer, un centrista aggressivo, sono stati caratterizzati da una retorica e da una legislazione che si sono mostrate implacabili contro gli immigrati. Nello stesso tempo, l'agenda antiterrorismo ha consolidato un sentimento anti-musulmano nel paese. Theresa May, da Ministro degli Interni, aveva dato istruzione di pattugliare le strade di alcuni quartieri con cartelloni rivolti agli immigrati che dicevano «Go Home». Il mantra della campagna Brexit: «Take Back Control», voleva chiaramente dire di riprendersi la sovranità sia da Bruxelles che dagli «stranieri» (cosa che ha legittimato attacchi violenti contro i lavoratori dell'Europa orientale). Boris Johnson ha saputo trasformare la sua carriera di scribacchino sciovinista che spaccia stereotipi razzisti nella posizione di Primo Ministro; la sua promessa della Brexit è stata indubbiamente recepita da alcuni come un’eufemismo del più esplicito «Keep England White».Negli ultimi anni di governo del Partito Conservatore si è assistito all’'intensificarsi del razzismo di Stato, con due segretari agli Interni di estrema destra, Priti Patel e Suella Braverman - entrambe esponenti della National Conservatism conference [la conferenza annuale del nazionalismo conservatore britannico] - che hanno fatto del grottesco piano di deportazione dei richiedenti asilo in Ruanda un punto centrale del loro mandato. La promessa elettorale dell'ex premier Rishi Sunak, di fermare i barconi: «Stop the Boats», ha funzionato come un potente richiamo tanto che è stato scandito anche da alcuni dei razzisti che si sono scatenati per le strade dell'Inghilterra la scorsa settimana. All'inizio di luglio, non contenti del massacro dei migranti perpetrato dai conservatori, il 14,3% dell'elettorato britannico ha votato per il Reform UK Party di Nigel Farage, mentre uno dei suoi promotori è stato sorpreso a usare contro Sunak gli stessi insulti che ora vengono urlati nei flash-mob fascisti.Il Partito Laburista non è immune da questo marciume ideologico. Prendere di mira le comunità musulmane e qualificare l'immigrazione come un «problema» erano pratiche già presenti negli anni di governo del New Labour di Tony Blair e Gordon Brown, al potere dal 1997 al 2010. Blair ha avviato il deleterio programma di distribuzione dei richiedenti asilo nelle aree economicamente depresse del Paese, mentre Brown ha flirtato con lo slogan «Lavori britannici per lavoratori britannici». In modo ancora più significativo, il sostegno del governo laburista alla Guerra al Terrore degli Stati Uniti e alle invasioni di Iraq e Afghanistan ha svolto un ruolo importante nell'accelerare la destabilizzazione e le partenze in massa da tutto il Medio Oriente, che hanno posto le basi per gran parte dell'odierna «crisi migratoria». Il famoso aforisma del pensatore antirazzista A. Sivanandan, «siamo qui perché voi eravate lì», può essere applicato tanto alla relazione storica tra la migrazione e l'Impero britannico quanto al ruolo più recente del Regno Unito nel favorire l'imperialismo statunitense.Inoltre, l'epurazione interna della sinistra laburista dopo il 2020 - che ha usato le accuse di antisemitismo come arma per distruggere l'eredità di Jeremy Corbyn - ha significato anche smantellare la possibilità di una politica progressista su razza e migrazione. Il Partito Laburista, invece, ha seguito la fallimentare idea di indebolire l'estrema destra assumendo posizioni dure contro rifugiati e lavoratori stranieri - la stessa logica che il filosofo francese Jacques Rancière ha registrato nel suo Paese e raccolto nell’efficace espressione: «Prendere ufficialmente misure razziste ragionevoli per disarmare passioni razziste selvagge».

E così diversi esponenti politici laburisti hanno irresponsabilmente parlato di accogliere i richiedenti asilo negli alberghi ma rifiutandosi di considerare un approccio non punitivo alle migrazioni. L’attuale Ministro degli Interni Yvette Cooper, rispondendo alle accuse di complicità della leadership laburista con il genocidio di Israele a Gaza, ha fatto riferimento alle «aree pro-Palestina» delle città del Regno Unito, con una chiara eco alla retorica della destra sulle «no-go zones» nelle aree europee a maggioranza musulmana. Mentre il Primo ministro Starmer si è impegnato a dar seguito alla promessa dei Conservatori di fermare l'immigrazione (in modo non dissimile da quanto sostenuto dalla vicepresidente Kamala Harris in occasione di un recente intervento sulle politiche di frontiera degli Stati Uniti). È difficile immaginare un contrasto più netto rispetto alle posizioni di Corbyn, che ha tenuto uno dei primi discorsi dopo la sua elezione alla guida del partito laburista nel 2015, durante un raduno #RefugeesWelcome a Westminster. Oggi, tuttavia, una delle più audaci sostenitrici della sinistra nel Regno Unito, la deputata Zarah Sultana - che nel 2020 ha dichiarato con forza: «Il nemico della classe operaia viaggia con un jet privato, non su un gommone di immigrati» - è stata costretta a lasciare il Partito Laburista e fatta oggetto di un attacco verbale da parte dell'ex esponente del New Labour Ed Balls (che è anche marito del Ministro degli Interni Cooper). Come ha notato Rancière, nel Regno Unito così come in Francia, il «razzismo ragionevole non ha spostato di una virgola i voti per l'estrema destra razzista».  Al contrario, li ha fatti aumentare, normalizzando, al tempo stesso, la narrazione del vittimismo bianco che alimenta la violenza razzista di strada.

Il sociologo Les Back dell'Università di Glasgow, ha sottolineato come entrambi i principali partiti del Regno Unito abbiano, in modo differente, promosso «la sensazione che la 'classe operaia bianca' sia stata 'lasciata indietro’», incoraggiando così «l’emergere di una politica dell'identità bianca, euforica e fobica, rafforzata dal voto sulla Brexit e dal riemergere di un’ideologia apertamente suprematista». Questa rivitalizzazione delle forme più virulente del razzismo inglese, afferma Back, ha assunto forme organizzative peculiari che hanno combinato il teppismo calcistico, il «populismo» di estrema destra di Nigel Farage e la vittimologia che viaggia su internet spinta dalla narrazione della «sostituzione» (a lungo promossa da Stephen Yaxley-Lennon, l'ex figura di spicco della English Defence League, meglio conosciuto come Tommy Robinson, che ha guidato una grande manifestazione nazionalista bianca e anti-migranti il 27 luglio a Londra).

Gli attivisti antirazzisti, da Black Lives Matter UK all'Institute of Race Relations, hanno individuato in questi eventi i caratteri di un fascismo interno. Per questo motivo, rispondere alla minaccia che contengono non vuol dire semplicemente vigilare sulla riattivazione dell'estrema destra. Occorre riconoscere le tendenze più ampie che collegano la violenza razzista di strada, le politiche dello Stato e la crisi sociale, dinamiche che affondano le proprie radici nella storia del Regno Unito.

In Inghilterra, le rivolte dell'odio o «rivolte della bianchezza» risalgono a molto prima della violenza a cui abbiamo assistito nell'ultima settimana. A soli venti chilometri da Southport - il punto iniziale degli scontri di questi giorni - si trova Liverpool, dove i marinai bianchi di ritorno dal servizio nelle Guerre Mondiali I e II hanno scatenato la violenza contro le comunità nere, yemenite e cinesi,  nel 1919 e nel 1948. Come ha spiegato Stuart Hall più di quaranta anni fa, quella violenza è stata seguita da un razzismo «popolare» che è stato accompagnato e favorito dalle politiche dello Stato contro i lavoratori immigrati razzializzati: un modo per distrarre i cittadini britannici dall'immiserimento e dall'insicurezza sempre più diffusi a causa dalla situazione economica e politica del Paese. Questo razzismo popolare è andato in scena in occasione dei disordini di Notting Hill contro gli immigrati delle Indie Occidentali nel 1958; ha poi trovato espressione nelle elezioni suppletive di Smethwick nel 1964, quando i Tories si sono presentarono con il nefasto slogan: «If you want a n—o for a neighbour, vote Labour (Se vuoi un vicino di casa ne*ro, vota laburista)»; ha poi trovato modo di radicarsi ulteriormente nel 1968 con il famigerato discorso del politico conservatore Enoch Powell, che ha dichiarato la popolazione bianca britannica «straniera nel proprio Paese» e profetizzato «fiumi di sangue» se l'immigrazione non fosse stata severamente e immediatamente limitata. Un decennio più tardi, la rivoluzione neoliberale di Margaret Thatcher ha riprese questo tema dichiarando, come è noto, che all’interno del Commonwealth, le migrazioni dal Pakistan stavano suscitando il timore popolare «che questo Paese possa essere sommerso da persone con una cultura diversa».

Oggi la musica rimane in gran parte la stessa. Riprendendo le parole di Stuart Hall, la razza continua ad essere il comodo «prisma attraverso il quale viene percepita la crisi».

Coloro che, di fronte ai pogrom e alle rivolte razziste di oggi, parlano di «comunità dimenticate» e di «classe operaia bianca», propongono un’idea di questa violenza e degli obiettivi che si prefige come di un epilogo inevitabile e naturale. Così facendo, oscurano quanto lavoro politico e culturale sia stato fatto in modo deliberato per definire il problema nei termini dei «gommoni di immigrati» piuttosto che dei «jet privati».

Mentre l'estrema destra ha ottenuto preoccupanti vantaggi elettorali e i Tories continuano sulla strada del loro sciovinismo, il Partito Laburista ha deliberatamente messo ai margini la lotta per un antirazzismo popolare che colleghi la difesa dei diritti umani e sociali dei migranti con lotte più ampie per l'uguaglianza e la ridistribuzione della ricchezza. Tuttavia, questa opzione resta viva nella società britannica, ne sono testimonianza le mobilitazioni che hanno difeso i rifugiati e le comunità musulmane dalla crudele vigliaccheria delle folle razziste, i tanti e tante che si sono radunati presso le moschee e gli alberghi che ospitano i richiedenti asilo, interponendo i loro corpi alla violenza razzista, e le migliaia di persone che sono scese in strada in tutta l'Inghilterra per contrastare gli oltre cento raduni anti-immigrazione annunciati sui social media.

Oggi che il governo di Starmer tratta queste «contro-proteste» come una minaccia per l'ordine pubblico e le equipara alle folle odiose a cui resistono, la rinascita delle tradizioni antirazziste e antifasciste della Gran Bretagna dipenderà dal loro coraggio e dalla solidarietà che potranno costruire.


***


Alberto Toscano insegna alla Simon Fraser University. È membro del comitato editoriale della rivista «Historical Materialism». È autore di vari articoli e libri sull’operaismo, sulla filosofia francese e sulla critica al capitalismo razziale, di cui è uno dei punti di riferimento nel dibattito internazionale. Ha recentemente pubblicato Late Fascism: Race, Capitalism and the Politics of Crisis (Verso), che sarà presto disponibile in italiano per i tipi di DeriveApprodi, e Terms of Disorder: Keywords for an Interregnum (Seagull).

Comments


bottom of page