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Una lunga primavera


I collage di Nanni Balestrini e l’immagine della moltitudine


Nanni Balestrini, Una Lunga Primavera, exhibition view, 2025. AF Gallery, Bologna, particolare di un collages
Nanni Balestrini, Una Lunga Primavera, exhibition view, 2025. AF Gallery, Bologna, particolare di un collages

 Artista visivo tanto quanto poeta, maestro nel collage di immagini e parole, testimone letterario emilitante di gruppi extraparlamentari, da «Potere Operaio» ad «Autonomia operaia», Nanni Balestrini ha segnato generazioni di giovani e intellettuali per la sua capacità di organizzatore culturale e di animatore editoriale. In questi giorni, sono in mostra da AF Gallery di Bologna una serie di opere-collage pensate a partire dalle pagine di «Potere Operaio» e «Potere Operaio del Lunedì» e, di fatto, mai esposte prima o rese note, molte delle quali realizzate sul crinale degli anni Settanta, prima di lasciare l’Italia inseguito da un mandato di cattura dopo il 7 aprile 1979. Balestrini era stato infatti tra i fondatori di «Potere Operaio» (1969), di cui seguì il design e il layout dell’omonima rivista creando una serie di assemblages tipografici. L’anno successivo fondò «Compagni,» e contribuì alla progettazione di «Rosso» (1973- 1978), entrambe riviste di matrice operaista. Il testo di Marco Scotini, curatore della mostra e direttore scientifico della Fondazione Nanni Balestrini, analizza la sua «vocazione controstorica», quella concatenazione tra paradigma estetico e immaginazione politica che ci offre, ancora oggi, il più potente resoconto epico e documento politico della conflittualità operaia e sociale nell’autunno caldo: quel «materialismo creativo», come l’ha definito Toni Negri che ricorre nell’organizzazione di macchine visive che non erano mai «sue» ma appunto «dei compagni». Ecco allora che i collages di Nanni Balestrini sono l’agente di enunciazione collettiva e moltitudinaria di quella «lunga primavera» [1], tempo di critica, disordine e sovversione dello stato di cose presenti.

 

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I cut-up e l’Autonomia operaia

Nanni Balestrini, più di ogni altro, ha rappresentato l’interprete complice e diretto della «grande ondata rivoluzionaria e creativa» che ha animato, per dieci anni, il lungo ’68 in Italia. Autonomo tra gli autonomi, Balestrini ha messo a punto – nella sua produzione letteraria e artistico visiva – gli strumenti e i linguaggi di una nuova soggettività operaia che avrebbero accompagnato la radicale trasformazione del soggetto storico della lotta di classe. Un’arte del General Intellect? Si chiedeva, a ragione, Toni Negri in un testo da lui redatto sui collage di Balestrini[2].

Senza dubbio. Se è vero che da sempre Balestrini non ha fatto altro che separare e ricomporre frammenti di testi altrui, mai propri: luoghi comuni, referti verbali di diversa provenienza, titoli di giornale, topoi letterari, discorsi di personaggi politici, linguaggi quotidiani e immagini qualsiasi dei mass-media. In ogni caso, sempre segmenti lessicali e ritagli, tratti dal discorso pubblico in corso.

Mettendo in discussione l’univocità dell’autore e la struttura stessa dell’opera, la sua intera attività – in sintonia con molta ricerca post ’68 – ha avuto quale obiettivo (e punto di partenza) l’enunciato collettivo. E, cioè, la facoltà comune di pensare, l’intellettualità di massa, l’interazione sociale, l’agire di concerto, l’essere pubblico e politico del lavoro vivo, indissociabile dunque dai soggetti stessi. Ecco che, allora, è la voce di tutti a risultare il linguaggio proprio del poeta. Non una voce ma tutte. Non l’uno ma il molteplice. Non l’uno ma i molti, appunto.

Un aspetto, questo del prelievo del materiale esistente, che da sempre definisce la peculiarità dell’opera di Balestrini, l’assegna radicalmente al dominio del ready-made, come estrema condizione di sospensione della paternità dell’autore e come rifiuto del lavoro[3]. Sin dall’inizio degli anni Sessanta.

Prima, come felice prefigurazione di un metodo di montaggio (cut up e fold-in) che emerge nel suo lavoro quale esponente del Gruppo 63. Poi, come testimone che collaziona, riappropriandosene, documenti e materiali delle lotte degli anni Settanta per rilanciarne le tesi, in tempi di controrivoluzione neoliberista ma, pure, di gestazione del movimento globale.

 

Nanni Balestrini, Il Rifiuto è Politico, Collage on paper, cm 41x57. Courtesy AF Gallery, Bologna.
Nanni Balestrini, Il Rifiuto è Politico, Collage on paper, cm 41x57. Courtesy AF Gallery, Bologna.

Nel mezzo la rivoluzione. Quella rivoluzione (culturale, politica, sociale) che vede l’entrata in scena di un nuovo soggetto proletario insubordinato, tale da mutare definitivamente la natura della stessa politica. É vero che negli anni Sessanta si passa dall’operaio professionista (erede della resistenza e con una forte coscienza del proprio ruolo) all’operaio massa (quello alla catena di montaggio, l’Alfonso Natella di Vogliamo tutto [4]). È altrettanto vero che nel ’77 è l’operaio massa a trasformarsi in operaio sociale, in parallelo ai grandi eventi di ristrutturazione capitalista dei processi di produzione. Questo, in sostanza, lo schema elaborato dall’operaismo italiano: dai Quaderni Rossi a Potere Operaio, da Rosso a Metropoli. «Così come per il movimento operaio – scrive Franco Piperno nel 1978 – la fonte vera della ricchezza mercantile moderna è il "lavoro astratto", per il movimento autonomo la sorgente della ricchezza vera, quella sensuale, sta nel "general intellect", nella "mente comune", cioè nel grado di cooperazione che racchiudono i comportamenti collettivi, le abitudini sociali».[5]

 

Nanni Balestrini, Comitato Operai, anni 70, collage, cm 42x56,5. Courtesy AF Gallery, Bologna.
Nanni Balestrini, Comitato Operai, anni 70, collage, cm 42x56,5. Courtesy AF Gallery, Bologna.

Di fatto, con la riduzione progressiva della capacità produttiva fordista, l’operaismo è tutt’altro che vicino all’estinguersi. Anzi, nella produzione sociale, a quella data, fa un massiccio ingresso il lavoro non-operaio come segmento crescente di forza lavoro. Una forma di attività autonoma che finisce per imporre se stessa come interna alla composizione di classe operaia storicamente determinata. I giovani del ’77 vivono quel periodo come se il lavoro operaio fosse stato riassorbito interamente dall’automatismo meccanico. E, cioè, come se la produzione ripetitiva in generale fosse già attribuita ad un computer. Non sorprende, allora, che in parallelo (o in anticipo) al comportamento di questa nuova soggettività operaia, il trattamento combinatorio del materiale verbale nei testi di Balestrini fosse sottratto al suo autore e consegnato, già dal 1961, all’automazione da computer: un calcolatore elettronico IBM, nel caso specifico della sua prima «poesia elettronica» Tape Mark I.

Ma le analogie (di natura strutturale e non metaforica) tra i collage di Balestrini e le istanze dell’autonomia operaia non si esauriscono qui. C’è all’opera tutta una interconnessione reciproca che si consolida e si rafforza mutualmente, in scambi, anticipazioni e traiettorie parallele[6].

 

Nanni Balestrini, 1° Maggio, anni 70, collage, cm 41x57. Courtesy AF Gallery, Bologna.
Nanni Balestrini, 1° Maggio, anni 70, collage, cm 41x57. Courtesy AF Gallery, Bologna.

A partire da questa concezione del General Intellect potremmo sottolineare qualcosa che è sempre dato per scontato in quanto arsenale di ogni poeta e letterato, lasciato come un fatto ovvio, una dotazione naturale. Mentre l’eccedenza presente in Balestrini richiede tutt’altra attenzione e differenti strumenti interpretativi. Mi riferisco al flusso infinito e ininterrotto di parole (parole-oggetto, reificate, accumulate[7]) che materializza l’intera opera – verbale e visiva – di Balestrini. E che non trova immediata spiegazione nell’adesione o affiliazione ai movimenti della poesia concreta e della poesia visiva degli anni Cinquanta e Sessanta, a cui di solito quest’opera viene ricondotta. «Parole sbalzate, esposte e scagliate contro, opposte: etimologicamente objecta. Tutte sullo stesso piano, indipendentemente dalla loro fonte di derivazione, tutte importanti e citabili allo stesso modo»[8] – scrive Cecilia Bello Minciacchi. Priva di gerarchizzazione, asintattica, frantumata e ricombinata, aperta in direzioni imprevedibili, la materia linguistica di Balestrini insinua e sovverte continuamente le possibilità di comunicazione. Una comunicazione che, in misura crescente, entra ormai come dato imprescindibile nelle componenti lavorative della nuova soggettività operaia. La messa al lavoro e a profitto delle generiche facoltà comunicative e cognitive emerge nelle lotte degli anni Settanta, contrapponendosi alla tradizione della sinistra storica, per poi divenire il fulcro produttivo del ciclo attuale di sviluppo capitalistico. Ma a questo aspetto del linguaggio, come materia prima della nuova forza lavoro, Paolo Virno ha dedicato contributi fondamentali a cui rimandiamo, così come Christian Marazzi ha scritto pagine rivelatrici sulla matrice linguistica del denaro. É proprio a partire da questo aspetto – l’identificazione, cioè, tra produzione e comunicazione – che si rende comprensibile l’insistenza di Balestrini sulla natura pratica dei suoi testi (Poesie pratiche, 1976), sul loro carattere di azione (Come si agisce, 1963). Un impulso pragmatico che non va letto esclusivamente nei termini di una sempre maggiore finalizzazione dell’opera a strumento di agitazione politica, attraverso poesie di contestazione, di denuncia e istruzioni di lotta. La modalità di azione che Balestrini mette in scena nei suoi collage è quella dei ripetuti sabotaggi linguistici, dei sovvertimenti sintattici, delle frammentazioni lessicali eversive, della permanente conflittualità diegetica. In sostanza è la lingua il campo delle operazioni di Balestrini, pur non mancando la sua partecipazione alle lotte. Come Roberto Esposito ha scritto su Balestrini nel 1976: «Il bersaglio polemico più vistoso è, ovviamente, il sistema di produzione linguistica che il capitale sfrutta e riproduce: il mondo traslucido delle parole altro non è che lo strumento e l’espressione del mondo opaco dei fatti»[9]. In questo senso, quella che è la categoria politica più importante dell’operaismo italiano – il rifiuto del lavoro – ha in Balestrini tre modalità fondamentali di apparizione: il ready-made delle cose dette, la sospensione del linguaggio dal lavoro di significazione, l’esodo dalla lingua come definitiva fuoriuscita dalla fabbrica della comunicazione.

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Nanni Balestrini, Fuori dalle linee, anni 70, collage su carta, cm 41,5x57. Courtesy AF Gallery, Bologna.
Nanni Balestrini, Fuori dalle linee, anni 70, collage su carta, cm 41,5x57. Courtesy AF Gallery, Bologna.

Le pagine di Potere Operaio

Il giornale, non c’è ombra di dubbio, è il medium privilegiato di Balestrini. È vero che per l’intera sua vita Balestrini non ha mai cessato di ritagliare pagine, titoli, corpi tipografici di quotidiani e periodici. Mi vengono in mente alcune serie dei suoi collage che portano il nome di altrettante testate da cui quegli stessi ritagli provengono: Espresso (1965), Paese Sera (1965), Il Mondo (1965), Epoca (1965), Tempo (1967), Reporter (1979), tanto per citarne alcune. Altrettanto vero è che, attraverso un lavorio ininterrotto, di riviste Balestrini ne ha fatte tante: dall’organo letterario mensile del Gruppo 63, «Quindici», al periodico culturale che ha segnato l’editoria degli anni Ottanta in Italia, «Alfabeta». Nel mezzo, riviste politiche che hanno accompagnato l’evoluzione dell’Operaismo e dell’Autonomia, come «Potere Operaio», «Compagni,», «Rosso», marcando un momento fondamentale del rapporto tra editoria e movimenti extraparlamentari. Anche da queste riviste (così come da «Lotta Continua») Balestrini ha tratto ricche serie di collage, alcuni dei quali molto noti, altri inediti che vedono la loro presentazione pubblica solo in tempi recentissimi, pur essendo stati concepiti a metà degli anni Settanta. Mi riferisco, in parte, allo straordinario lavoro artistico che Balestrini ha iniziato nel 1969 e presentato anche alla Quadriennale di Roma del 1972, a partire dalle pagine di «Potere Operaio»: giornale che trova come luogo di fondazione, nel ’69, la stessa casa di Balestrini in via dei Banchi Vecchi a Roma e che vede tra i partecipanti Toni Negri, Franco Piperno, Giairo Daghini, Oreste Scalzone, Sergio Bologna, Lapo Berti[10]. Mentre, per la grafica del nuovo giornale – e questa è storia altrettanto nota – Balestrini invita Giovanni Anceschi che, con Fabio Bonzi, progetta testata e layout del settimanale, tutto in forma compressa, con ridottissime spaziature tra i caratteri e con tutti i caratteri dello stesso corpo in modo tale da evitare gerarchie valoriali tra le notizie. Come scrive Anceschi: «Con il "compagno anarchico" Fabio Bonzi, il quale scova in una vecchia tipografia un grosso carattere bold condensed (per non dire elongated), molto pesante e aggressivo ma anche molto industriale, cioè operaio, inventiamo la testata. E invece io, l’ulmiano, il designer, disegno il sistema grafico (cioè, la gabbia e la formula degli ingredienti) sul tecnigrafo dello studio Mid durante una mia puntata a Milano»[11]. Vedremo poi come lo stile militante di questa rivista entrerà dialetticamente all’interno delle composizioni balestriniane.

 

Nanni Balestrini, 10.100.1000 AZIONI, anni 70, collage su carta, cm 49x34. Courtesy AF Gallery, Bologna. 
Nanni Balestrini, 10.100.1000 AZIONI, anni 70, collage su carta, cm 49x34. Courtesy AF Gallery, Bologna. 

Intanto, c’è un’altra eccezionale serie di collage a cui intendo fare riferimento, che Balestrini trae dal foglio settimanale «Potere Operaio del lunedì», e che viene presentata in Italia proprio adesso, dopo l’esposizione di sole otto tavole al CIMA di New York nel 2024. Si comprendono facilmente le ragioni per cui Balestrini non abbia mai mostrato pubblicamente quest’ultima serie, visto il suo auto-esilio improvviso dopo gli arresti del 7 aprile ’79. E viste le stesse motivazioni di cui Balestrini veniva accusato.

Tuttavia, entrambe le serie relative alle due testate del movimento Potere Operaio sono ora raccolte insieme presso la galleria AF Arte Contemporanea di Bologna e accompagnate da una foto di Tano D’amico che ritrae centinaia di giovani festanti in Piazza Maggiore, di fronte a San Petronio nel fatidico anno 1977. «Potere Operaio del lunedì» esce a partire dalla fine del 1971 e si avvale della esaltante grafica di Piergiorgio Maoloni che si richiama alle avanguardie storiche costruttiviste per «ingabbiare» quell’assalto al cielo lanciato dall’Autonomia.

 

Nanni Balestrini, Una Lunga Primavera, exhibition view, 2025. Ingrandimento di Tano D’Amico durante il Convegno sulla repressione, Bologna 1977. Courtesy AF Gallery, Bologna.
Nanni Balestrini, Una Lunga Primavera, exhibition view, 2025. Ingrandimento di Tano D’Amico durante il Convegno sulla repressione, Bologna 1977. Courtesy AF Gallery, Bologna.

Così come la grafica delle due testate non è la stessa, anche i due cicli di collage che Balestrini ne trae sono molto diversi tra loro. Nel caso di «Potere Operaio» il montaggio ripete quello sviluppato a partire dai primi Cronogrammi dell’inizio degli anni Sessanta. Per cui ciascun collage presenta una struttura a nuvola in cui le righe di testo ritagliato sono disposte a bandiera ma giustificate al centro (con bandiera alternativamente sia a destra che a sinistra) e applicate su fondo bianco. In queste composizioni spesso compare un asse di simmetria che passa tra la fine della parola Potere e l’inizio di quella Operaio, e divide il testo in due blocchi di parole che si affrontano tra loro in modo stridente, creando un gap nella continuità delle linee: uno iato semantico, tipografico e dimensionale nel corpo delle lettere (inaspettatamente fuori scala). Da questi blocchi compatti come muraglie affiorano parole chiave con un corpo eccedente rispetto alle altre (sciopero generale, lotta dura, revolution de mai, assemblea autonoma, il rifiuto è politico, pagheranno caro) ma amputate, divaricate nello spazio, tali da interrompere lo scorrimento della visione e della lettura. Tutte le strisce di testo sono strette l’una all’altra, incastrate tra loro, forzate a incontrarsi, scontrarsi, a concatenarsi fino a raggiungere un livello di tensione (semantico/visiva) pronta a esplodere da un momento all’altro. O forse la forma stessa di queste composizioni (il loro carattere cumuliforme) non è altro che l’effetto di una deflagrazione appena avvenuta.

 

Nanni Balestrini, Potere Operaio - Tutti i rivoluzionari, anni 70, collage su carta, cm 41,5x57. Courtesy AF Gallery, Bologna.
Nanni Balestrini, Potere Operaio - Tutti i rivoluzionari, anni 70, collage su carta, cm 41,5x57. Courtesy AF Gallery, Bologna.

Altrettanto dirompente è la forza compressa racchiusa nei collage tratti dalle pagine di «Potere Operaio del lunedì» anche se forma e struttura sono diversi così come al bianco e nero dei precedenti si aggiunge ora il colore rosso. Innanzitutto, qui Balestrini ricorre ad un altro fondo per i suoi ritagli. Come nei cicli Espresso, Tempo, Carnevale (tutti del 1965), anche in queste opere il fondo è rappresentato dalle colonne di testo del giornale. Piuttosto, si tratta di colonne che definiscono nuovi incastri e montaggi fino a fornire un layout alternativo a quello originale. Secondariamente, ciò che caratterizza questi collage è un uso della foto che si ritrova anche in alcune pubblicazioni di Balestrini di questi anni, come Vivere a Milano (libro fatto con il grande fotografo Aldo Bonasia) [12]e Blackout (1980)[13]. La stessa grafica di Maoloni gioca un ruolo determinante all’interno di questo ciclo se è vero che i cerchi rossi ritornano in ciascun collage e creano una costellazione riconoscibile. A volte, apparendo come bombe che lasciano uscire un flusso di lettere alfabetiche. Partiamo da composizioni semplificate come quella dove al centro della tavola campeggia una foto di Tano D’Amico tratta da «Potere operaio del lunedì» n. 6 del 2 aprile 1972. Il titolo sopra la foto nell’originale recita «Rafforziamo la lotta delle masse» e la foto mostra «operai che aspettano un autobus, che parlano fra loro forse di calcio, di donne, di motori…si erano composti in modo diverso e avevano una loro consapevolezza». Dalla descrizione dello stesso D’Amico si capisce che non era importante documentare una marcia verso un futuro radioso per rappresentare la nuova composizione di classe operaia. Neppure avrebbe avuto senso aspettarsela. Di fatto Balestrini include questa stessa foto all’interno di uno dei suoi testi compressi in cui si legge attraverso differenti font grafici e spessori: «Nella crisi delle fabbriche/per costringerci al/ lavoro in nome del profitto/ contro la bestia trion del riformis /un anno di ristrutturazione. Utilizzazione selvaggia degli impianti attentati alla vita degli operai: così/ Gli operai sono scesi in /campo Pagheranno caro pagheranno/ ed estendiamo fra i proletari la lotta rivoluzionaria contro la crisi/ contro la giostra dello sfruttamento e contro il padrone; una sola continua lotta di classe operaia/ classe partito potere operaio». L’intera serie di «Potere Operaio del lunedì» elabora, in ogni modo, forme compositive ogni volta più complesse con pattern geometrici di testo, spirali di lettere alfabetiche, composizioni radiali che rimandano al format del megafono, giustapposizioni fotografiche, il tutto con forti richiami ai collage delle avanguardie costruttiviste. Qui, più che altrove, il carattere di detonatore del suo materiale linguistico raggiunge il suo culmine corale e creativo. Peccato che questa serie di collage ci sia stata sottratta sino ad oggi. Ma, ora, il fatto stesso di poterla finalmente esporre non colma semplicemente una lacuna storica ma soddisfa un bisogno pressante in un presente incerto. E si fa esortazione per un mondo ancora possibile.

 

Nanni Balestrini, Una Lunga Primavera, exhibition view, 2025. Courtesy AF Gallery, Bologna.
Nanni Balestrini, Una Lunga Primavera, exhibition view, 2025. Courtesy AF Gallery, Bologna.

Nanni Balestrini, Una Lunga Primavera, exhibition view, 2025. Courtesy AF Gallery, Bologna.
Nanni Balestrini, Una Lunga Primavera, exhibition view, 2025. Courtesy AF Gallery, Bologna.


 

 Note

[1] La frase è tratta dalla «Prefazione alla prima edizione» di N. Balestrini, P. Moroni, L’orda d’oro 1968 - 1977 (1988), Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 2003, p. 14.

[2] T. Negri, «Parole e corpi», in Nanni Balestrini. Con gli occhi del linguaggio, Fondazione Mudima, Milano 2006, p. 23. Così si legge: «Guardando questi collage, questi giochi di lettere, queste contrazioni e dilatazioni di immagini viene subito in mente un processo di pensiero riferibile al General Intellect (GI). Poesia del GI? che questo spazio pittorico sia anche uno spazio pubblico mi sembra più che evidente. Nanni è sempre stato un politico».

[3] Vedi M. Lazzarato, Marcel Duchamp e il rifiuto del lavoro, Temporale edizioni, Milano 2014; vedi anche Franco «Bifo» Berardi, Introduction, Nanni Balestrini, Blackout, Commune Editions, Oakland 2017, pp. 3-7.

[4] N. Balestrini, Vogliamo tutto, Feltrinelli Editore, Milano 1971.

[5] F. Piperno, «La parabola del ’77: dal lavoro "astratto" al "general intellect"», in S. Bianchi, L. Caminiti, Settantasette. La rivoluzione che viene (1997), DeriveApprodi, Roma 2004, p. 103.

[6] M. Antonacci, Nanni Balestrini, collage, and aesthetics of operaismo, in Word & Image, 40:3, pp. 169-187. Vedi anche J. Galimberti, Immagini di classe. Operaismo, Autonomia e produzione artistica, DeriveApprodi, Bologna 2023.

[7] Nanni Balestrini scrive: «Il mio atteggiamento di considerare la parola come un oggetto fisico e di farne un fatto visivo, oltre che un supporto di significato, si inserisce in questa tradizione [da Mallarmé al Futurismo] e credo trovi in questi lavori una dimostrazione tangibile». In: Nanni Balestrini, Qualcosapertutti. Collage degli anni ’60, Il Canneto editore, Genova 2010.

[9] C. Bello Minciacchi, «L’oggetto appeso, la parola incollata, il sasso. Su alcuni montaggi di Nanni Balestrini 1961-1967», in C. Giorcelli, L. Magno (a cura di), New objectivists, Nouveaux objectivistes, Nuovi oggettivisti, Loffredo, Napoli 2013, p. 233.

[9] R. Esposito, «Produzione poetica e forma di riproduzione: Nanni Balestrini», in Ideologie della Neoavanguardia, Liguori, Napoli 1976, pp. 139-141.

[10] N. Balestrini, «Editoria e movimento. Da “Quindici” a L’orda d’oro», in S. Bianchi e L. Caminiti, Gli autonomi. Le storie, le lotte, le teorie, DeriveApprodi, Roma 2008, p. 71.

[11] G. Anceschi, La grafica di «Potere Operaio», «Alfabeta 2», n. 30, giugno 2013, p. 7.

[12] A. V. Bonasia, Vivere a Milano, con un testo di Nanni Balestrini, Centro Studi di Arte Plastica Programmata CSAPP, Milano 1976.

[13] N. Balestrini, Blackout, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 1980.


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Marco Scotini è critico d’arte e curatore. Attualmente ricopre il ruolo di direttore artistico a FM Centro per l’Arte Contemporanea di Milano. Dal 2004 è direttore del Dipartimento di Arti Visive di NABA-Nuova Accademia di Belle Arti di Milano e Roma. È direttore scientifico dell’Archivio Gianni Colombo, dell’Archivio Bert Theis, dell’Archivio Clemen Parrocchetti e dell’Archivio Nanni Balestrini. Dal 2014 è responsabile del programma espositivo del PAV- Parco Arte Vivente di Torino. È stato direttore artistico della 2nd Yinchuan Biennale nel 2018 e dal 2019 al 2021 è stato membro dell’Italian Council. Ha curato oltre duecento esposizioni per le più importanti istituzioni artistiche nazionali ed internazionali, tra cui il padiglione albanese alla Biennale di Venezia (2015), tre edizioni della Biennale di Praga (2003, 2005, 2007), L’Inarchiviabile / The Unarchivable. Italia anni 70 presentata a FM Centro per l’Arte Contemporanea di Milano (2016), Anren Biennale (2017), Seconda Yinchuan Biennale (2018), Il Soggetto Imprevisto (2019) sugli archivi del femminismo italiano, 17ª Instanbul Biennale (2022), BETA Timișoara Biennale (2022) ed è stato advisor per Bangkok Biennale (2020 e 2022). Disobedience Archive, dal 2005 al 2014, ha viaggiato nei musei di diverse città del mondo, tra cui Massachusetts Institute of Technology di Boston, Van Abbemuseum di Eindhoven, il Castello di Rivoli di Torino, Nottingham Contemporary, Raven Row di Londra, Istanbul Biennale (2022) e BETA Timișoara Biennale (2022). È direttore della collana Geoarchivi della casa editrice Meltemi e ha al suo attivo numerose monografie di artisti italiani e internazionali (tra cui Gianni Pettena, Ugo La Pietra, Deimantas Narkevicius, Laura Grisi, Mario Cresci).

 

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