L'articolo odierno riflette sulle mobilitazioni contro il massacro in corso in Palestina che sta attraversando i campus universitari americani indagando lo sviluppo e le prospettive della lotta. Come ci dice l'autore, il movimento degli studenti, parte significativa di un più ampio fronte contro le azioni di Israele, può essere espressione di una soggettività politica che ha assunto l'Università e la sua organizzazione aziendale come terreno di contestazione, opponendosi al ruolo che l'istituzione ha nella riproduzione globale di violenza e come macchina produttrice di debito.
***
Lo studente è la creatura disprezzata universalmente in Francia, a parte il prete e il poliziotto... Il capitalismo moderno e il suo spettacolo assegnano a ciascun individuo un ruolo specifico nella passività generale. Dopo anni di assopimento e di controrivoluzione permanente, ci sono segni di un nuovo periodo di lotta, e i giovani sono portatori dell’infezione rivoluzionaria... Con tutta la sua confusione ed esitazione, il movimento studentesco americano ha scoperto la verità del nuovo rifiuto: che un'alternativa rivoluzionaria coerente può e deve essere trovata all'interno della «società del benessere».
«On the Poverty of Student Life», 1966
Non si può negare che l'università sia un luogo di rifugio e non si può accettare che l'università sia un luogo di illuminazione. Di fronte a queste condizioni ci si può solo intrufolare nell'università e rubare quello che si può. Abusare della sua ospitalità, fare un dispetto alla sua missione, unirsi alla sua colonia di rifugiati... essere dentro ma non di: questo è il percorso dell'intellettuale sovversivo nell'università moderna.
Fred Moten and Stefano Harney,
The Undercommons
Abbiamo preso Hamilton Hall perché ci appartiene. L'abbiamo presa perché rifiutiamo di rimanere compiacenti di fronte al genocidio del popolo palestinese guidato dagli americani. Abbiamo liberato la Hall e l'abbiamo dedicata ad Hind.
«Communiqué on the Liberation of Hind’s Hall», 2024
Fumate i sigari del presidente [dell'università]. Tutto il potere al comune.
«First We Take Columbia», 2024
1. Non è (solo) sugli studenti
Nei campus di tutti gli Stati Uniti il 7 maggio 2024 sono state arrestate più di 2.900 persone, tra cui studenti, docenti, lavoratori amministrativi e altre persone coinvolte nella lotta. A detta di tutti, la maggior parte delle persone arrestate erano affiliate all'università in questione, minando la strategia contro-insurrezionale, tutt’ora diffusa, che considera i manifestanti «agitatori esterni». Si tratta di una tattica comune al regime disciplinare del movimento per i diritti civili per screditare gli organizzatori della liberazione nera, ma fu utilizzata anche, in precedenza, come risposta ai movimenti comunisti popolari degli Stati Uniti. Alla New York University, ad esempio, dove dopo la costruzione del primo accampamento sono state violentemente arrestate 120 persone, la polizia ha confermato che il 99% erano studenti o docenti della NYU. (Un altro accampamento è stato creato pochi giorni dopo in un altro luogo, ed è stato sgomberato dalla polizia nelle prime ore del mattino, mentre gli studenti dormivano e non erano in grado di difendersi, e così è successo in altre università della città).
Centinaia di accampamenti sono stati creati in tutto il mondo, dal Giappone ai Paesi Bassi fino al Messico. Negli Stati Uniti, come riporta The Appeal, «nelle ultime settimane gli studenti e i loro alleati hanno costruito accampamenti di protesta o inscenato sit-ins in più di 100 campus universitari in 39 Stati e nel Distretto della Columbia». In alcuni siti, gli studenti hanno impiegato tattiche sofisticate per respingere la violenza della polizia e per difendersi dagli attacchi fisici di agitatori fascisti e sionisti. Si tratta del caso dell'UCLA, dove una battaglia durata ore e ore fino a notte fonda, ha visto l'accampamento difendersi con successo da una folla di aggressori apparentemente finanziati da ricche celebrità di Los Angeles. (A New York, invece, i poliziotti sono stati colpiti dalle loro stesse armi mentre sostenevano che i libri accademici erano «guide per il terrorismo»). Sono state condivise tattiche di difesa in collaborazione con altri gruppi e movimenti, come il decentrato Defend the Atlanta Forest e il movimento Stop Cop City, che da tre anni si battono per fermare la costruzione di centro formativo della polizia, ad Atlanta. Si veda, ad esempio, questo eccellente thread in cui, in risposta alla popolarità della pratica di unire le braccia per evitare l'arresto al fine rallentare i movimenti della polizia e di inscenare una disobbedienza morale (che ha ottenuto scarso successo) l'anarchico queer Quetza ha descritto modi più utili per difendersi dagli arresti di massa della polizia.
Come si legge su The Nation, l'esplosione dei movimenti studenteschi non è arrivata dal nulla:
Per mesi, gli studenti organizzatori hanno affrontato un'intensa repressione da parte delle amministrazioni universitarie, intenzionate a limitare severamente qualsiasi espressione politica pro-Palestina e contro la guerra all’interno dei campus. Ciò ha comportato procedure disciplinari punitive che hanno causato sospensioni dovute a piccole infrazioni, lo scioglimento di gruppi come Students for Justice in Palestine (SJP) e Jewish Voice for Peace (JVP), la censura e l'arresto da parte della polizia del campus. Gli studenti, imperterriti, hanno risposto sviluppando nuove tattiche e modalità di espressione per far sì che fosse ascoltato il loro messaggio e che fosse udita la loro presenza, tra cui, più recentemente, la creazione di accampamenti di solidarietà con Gaza e l'occupazione di edifici del campus per chiedere che le loro istituzioni disinvestissero da Israele.
Forse, la cosa più sorprendente è che gli studenti hanno fatto tutto questo ‒ e hanno ottenuto vittorie significative in numerose università ‒ difendendosi in modo articolato dalle campagne diffamatorie dei media. Hanno sottolineato chiaramente che concentrarsi su di loro e sulle loro attività ‒ come hanno fatto in modo preponderante i media mainstream con il solo interesse di mobilitare il panico morale e di alimentare le fiamme di una guerra culturale che avvantaggia solo il capitale e i fascisti ‒ distrae dal genocidio che è in corso nei confronti del popolo palestinese. Gli accampamenti hanno lo scopo di intensificare le lotte anticoloniali già in atto, facendo pressione sulle università affinché disinvestano dalla pulizia etnica israeliana, dall'apartheid e dagli omicidi di massa perpetrati da Israele durante una campagna durata sei mesi che, ad oggi, ha ucciso più di 40.000 persone, tra cui 14.000 bambini. Come ha sottolineato uno studente laureato all’Università di Chicago in un'intervista televisiva: «se il nostro governo e le nostre istituzioni accademiche sono complici di tutto questo, si arriva ad un punto in cui affermiamo apertamente che non stiamo eseguendo gli ordini e che non importa cosa ci farete, perché ci sono principi e vite umane che contano più delle nostre carriere e dei nostri futuri».
Dunque, un articolo sul movimento studentesco deve riconoscere i termini e le poste in palio della lotta, senza attribuire eccezionalità né al ruolo degli studenti né a quello dell'università. Il movimento studentesco è un elemento, anche se particolarmente mediatizzato, di una più ampia rivolta globale contro il genocidio che ha trovato espressione nei movimenti sindacali (sia organizzati che autonomi) nel settore pubblico e privato, nelle azioni autonome di militanti dallo Yemen all'Inghilterra, nei luoghi di culto dove persone di tutte le fedi hanno intrapreso il duro lavoro di disimparare le ortodossie ereditate e molto altro. In altre parole, concentrandoci sul movimento studentesco, non ne facciamo né l'avanguardia né il protagonista, ma, bensì, indaghiamo lo sviluppo della lotta in una forma tangibile e concreta, partendo da un posizionamento specifico.
2. Uno sguardo militante dal campus
L'università è un punto di vista su numerose tendenze strutturali di espropriazione e di forme di riproduzione del conflitto, intimamente intrecciate con le infrastrutture del complesso militare industriale. Come gli studenti sono i primi a sottolineare, a Gaza non ci sono più università perché Israele le ha distrutte tutte. E le bombe utilizzate per farlo sono state fornite dai padroni della guerra e dai miliardari che siedono nei consigli di amministrazione delle università, i cui nomi sono incisi nelle aule, per poter imporre quali espressioni di dissenso devono essere fermate. Mentre gli studenti di tutto il paese interrompono le sedute di laurea, uno studente dell’università distrutta di Al Azhar ha difeso la sua tesi di laurea in una tenda con il rischio dei bombardamenti israeliani. Smentendo l'assurdità che gli attacchi della polizia agli accampamenti (che nella maggior parte dei casi sono stati esplicitamente richiesti dalle amministrazioni universitarie) siano in qualche modo una forma di difesa della sicurezza e dell'istruzione degli studenti, di fronte a una distruzione così totalizzante, gli studenti attivi in questa lotta hanno portato alla luce il più grande mito dell'università contemporanea: quello di essere uno spazio di conoscenza e collaborazione, invece che uno spazio di indebitamento e speculazione.
Riassumere gli avvenimenti è impossibile in questa sede. Troppe cose sono successe, e molte altre ne succedono ogni giorno. Nei diversi campus e nelle diverse città, la militanza degli studenti è variata in termini di ampiezza e di orientamento: alcuni si sono scontrati direttamente con la polizia, come al Cal Poly Humboldt e alla UCLA, mentre altri sono stati più o meno «pacifici», utilizzando tattiche più in linea con la disobbedienza civile. In questa sede, mi limiterò a discutere brevemente gli eventi di New York, dove vivo, per discutere alcuni dei principali segnali di resistenza e repressione che si stanno manifestando oggi. Come riassunto da Crimthinc:
Il 17 aprile, gli studenti della Columbia University e del Barnard College hanno allestito un accampamento in solidarietà con il popolo palestinese che sta affrontando il genocidio per mano dell'esercito israeliano. Il 18 aprile, l'amministrazione universitaria ha fatto intervenire un numero massiccio di poliziotti per arrestare i manifestanti e distruggere l'accampamento; in risposta, gli studenti hanno creato un nuovo accampamento, più grande del primo, e hanno generato pratiche ad imitazione da Yale a Saint Louis.
In questo spazio, studenti e docenti hanno organizzato lezioni, condivisioni di competenze e corsi di ogni tipo, dalla danza ai gruppi di lettura, hanno sviluppato una potente strategia politica per affrontare gli agitatori sionisti e fascisti, e molto altro ancora. Il 30 aprile 2024, poi, gli studenti hanno liberato la Hamilton Hall della Columbia e l’hanno ribattezzata Hind's Hall in onore di Hind Rajab, una bambina palestinese di sei anni uccisa dalle forze sioniste. L'edificio gioca un ruolo nei movimenti studenteschi che risale ai movimenti contro la guerra del Vietnam, quelli della liberazione nera e dei movimenti anti-gentrificazione degli anni Sessanta.
Come riassunto in Ill Will:
Il 23 aprile 1968 centinaia di studenti della Columbia si impadronirono della Hamilton Hall, tenendo in ostaggio il rettore Coleman. Nei giorni successivi furono occupati cinque edifici del campus. Gli occupanti chiesero che la Columbia interrompesse un progetto edilizio che avrebbe contribuito alla gentrificazione di Harlem, la fine di un progetto di ricerca segreto finanziato dalla CIA e l'amnistia per gli studenti contestatori. Le occupazioni si sono concluse il 29 aprile, quando la polizia di New York ha fatto irruzione negli edifici occupati, facendo quasi settecento arresti. In risposta, i docenti scioperarono e il campus rimase chiuso per il resto del semestre.
Il 1° maggio centinaia di agenti della polizia di New York hanno invaso il campus della Columbia per distruggere l'accampamento e sfrattare gli studenti dall'edificio occupato. Un agente ha sparato un colpo nell’Hind's Hall, mentre centinaia di studenti venivano brutalizzati e arrestati. Interi isolati della città sono stati chiusi per arginare l'arrivo dei manifestanti che erano in solidarietà con Gaza e gli studenti. Io stavo ascoltando la radio studentesca della Columbia, mentre alcuni studenti coprivano brillantemente ed emotivamente ogni azione della polizia. (Per sottolineare il legame con gli anni Sessanta e Settanta, non ho potuto fare a meno di commentare che questo è ciò che si sarebbe potuto provare ascoltando Radio Alice durante i momenti di ribellione). Quest’anno il New York Times ‒ che le reti di solidarietà con la Palestina hanno ribattezzato New York Crimes ‒ ha ricevuto, un vero e proprio atto criminale, il premio Pulitzer per il giornalismo: gli studenti della Columbia hanno mostrato loro quale sia il vero giornalismo.
Va notato come gli studenti arrestati nelle università pubbliche, ad esempio il City College che fa parte del sistema CUNY (ma vede iscritti studenti meno abbienti), sono stati accusati di reati, mentre gli studenti delle istituzioni private d'élite hanno ricevuto reati minori. Come riportato da Hell Gate:
Man mano che le udienze si susseguivano, è emerso uno schema: le persone arrestate alla Columbia sono state accusate di violazione di domicilio, un reato minore, mentre quelle arrestate al City College sono state accusate di furto con scasso, un crimine. In totale, secondo l'ufficio del procuratore distrettuale di Manhattan, 46 persone sono state accusate di violazione di domicilio alla Columbia e 28 persone sono state accusate di furto con scasso e di aver ostacolato l'amministrazione pubblica al City College. (Cinque persone arrestate al City College sono state accusate anche di aggressione di secondo grado e una di possesso di un'arma di quarto grado, mentre 16 persone sono state rilasciate per accuse minori con un Desk Appearance Ticket [si tratta di uno stato di arresto senza privazione di libertà che prevede una data di convocazione in tribunale, NdT])[…] Da quello che è stato riportato, dal punto di vista dell'accusa, le due occupazioni non erano abbastanza diverse da giustificare accuse così divergenti. In entrambi i casi, gli studenti si trovavano nella proprietà della scuola senza autorizzazione, ovvero in violazione di domicilio. Per provare il furto con scasso, i pubblici ministeri dovrebbero dimostrare che ogni imputato ha violato la proprietà con l'intento di commettere un altro reato. In entrambe le sedi si ipotizzano danni alla proprietà ‒ alla Columbia è stata segnalata la rottura di una finestra e al City College qualcuno ha dipinto le telecamere di sorveglianza ‒ che potrebbero portare a un'accusa di danneggiamento, ma stabilire che i singoli studenti abbiano violato la proprietà con l'intenzione di danneggiarla sembra ugualmente difficile per gli studenti della Columbia e del CUNY.
3. L’università è una fabbrica, ma anche un distretto
Ciò solleva una domanda più ampia. Perché le università sono state così rapide nel chiamare la polizia, nel consentire loro il pieno controllo dei campus dove nella maggior parte dei casi gli studenti si stavano riunendo pacificamente? O, in altre parole, perché è stato così facile farlo? La risposta breve è che la polizia era già lì. Come ha scritto Hiba Bou Akar su Twitter: «Il mio datore di lavoro, @Columbia, ha deciso, in nome della “sicurezza”, di chiudere fuori noi docenti invitando la polizia di New York a occupare il campus. Con questo, la Columbia ha raggiunto l'obiettivo finale dell'educazione manageriale (ciò che alcuni chiamano università neoliberale), un'università senza professori». In effetti, ciò che forse le proteste del campus ci mostrano, più di ogni altra cosa, è che l'università è un nodo cruciale del più ampio apparato carcerario neoliberale, centrale per la prison fix del capitalismo, impiegando la descrizione della geografa abolizionista Ruth Wilson Gilmore rispetto all’uso, da parte del capitale, delle tecnologie di incarcerazione per assorbire le popolazioni in eccesso. Ci dicono anche che il campus non è solo il luogo delle lotte per l'istruzione, ma anche delle lotte contro la polizia, che negli Stati Uniti è già materialmente collegata all'occupazione israeliana della Palestina».
Ciara Patten, mentre scriveva nel 2022 sulle lotte a Goldsmiths (UK) contro la ristrutturazione dell'università, che si sono articolate in lunghe battaglie con l'amministrazione, conclude che «una nuova soggettività politica» potrebbe emergere dai movimenti anti-austerità che hanno assunto l'università come terreno di contestazione. Questa nuova soggettività politica è evidente in una delle richieste principali di tutti gli accampamenti: via i poliziotti dai campus. Questo testimonia la chiarezza dei giovani sul ruolo delle università nella riproduzione globale della violenza, molto prima dell'attuale escalation delle lotte.
Nel 2019, ad esempio, la Fondazione Ford ha finanziato decine di progetti per raccogliere consensi sulla costruzione di carceri ad uso misto in tutta la città di New York. Sostenendo di appoggiare la chiusura del famigerato complesso carcerario di Rikers Island che, come ha recentemente descritto Andy Battle nella New York Review of Architecture, non è altro che un luogo di produzione di fascismo, la Fondazione Ford (un'enorme struttura no-profit che finanzia la ricerca e le università) ha svolto un ruolo chiave nel nuovo tentativo neoliberista di costruire oltre una dozzina di nuove carceri attraverso una pianificazione urbana orientata alla gentrificazione[1]. Nel maggio del 2022, la legittimità della costruzione di nuove carceri è stata rafforzata da un rapporto scritto da un laboratorio della Columbia University che sostiene la costruzione di un carcere femminile «gender-responsive, trauma-informed», utilizzando il linguaggio dell'inclusività sociale mainstream per aumentare la capacità di incarcerazione della città. Tutto ciò in cambio di cinque milioni di dollari pubblici per lo sviluppo di programmi di studio abolizionisti[2]. L'università non è solo una macchina di depoliticizzazione del discorso, ma anche una macchina per la riproduzione delle logiche capitalistiche di incarcerazione.
Già prima che sorgessero i primi accampamenti, studenti, docenti e amministratori avevano capito che le università, negli Stati Uniti e altrove, sono luoghi di implementazione delle tecniche della contro-insurrezione neoliberale. Infatti, a differenza di altri nodi del management capitalistico ‒ la stazione di polizia, il posto di blocco militare, la banca – le università sono considerate meno colpevoli per la loro presunta autonomia dall'economia politica. È a causa di questo presupposto che i mass media si sono particolarmente impegnati a screditare gli accampamenti con calunnie e richiami all'ordine. (Va notato che la pacificazione poliziesca emersa all'interno di alcuni accampamenti, simile alle tendenze contro-insurrezionali emerse in precedenti cicli di ribellione, è similmente legata a questo mito di eccezionalità dell'università).
Prendiamo, ad esempio, il modo in cui l'amministrazione della NYU sta ora disciplinando gli studenti che hanno partecipato agli accampamenti e hanno cercato di negoziare con l'amministrazione. Anche se tutte le accuse della polizia sono state ritirate, l'università ha sospeso i principali negoziatori e li ha dichiarati persona non grata. Ora viene chiesto loro di scrivere «documenti di riflessione»he di compilare «moduli di integrità» in cui devono essenzialmente scusarsi con l'amministrazione. Come commenta Sara Purey, docente di Studi mediorientali e islamici e membro della neonata NYU Faculty and Staff for Justice in Palestine (NYU-FSJP): dal momento che agli studenti non è consentito «giustificare» le loro azioni, «sembra che agli studenti venga vietato scrivere i valori personali che potrebbero essere rilevanti in questo caso, come la fede nella libertà di espressione, la responsabilità di opporsi al genocidio o il dovere di disobbedienza civile non violenta in determinate circostanze».
Le azioni degli studenti esprimono la resistenza a essere soggettivizzati come «studenti». Come la teoria operaista ha reso evidente, i sindacati e i partiti politici, così come gli altri bracci dello «stato-piano» hanno un ruolo chiave nel garantire la soggettivazione dei lavoratori e delle lavoratrici. Senza una diversificata produzione di soggettività, queste istituzioni non possono continuare a partecipare all'accumulazione di valore promessa dallo sviluppo urbano, dalla privatizzazione dello spazio pubblico, dall'automazione e così via. Come hanno dichiarato gli studenti che hanno smontato l’occupazione a Hind's Hall alla Columbia: «chi siamo? Alcuni di noi sono studenti sotto minaccia di espulsione. Altri sono personale, docenti, ex alunni e membri della comunità. Tuttavia, all'interno della Hind's Hall, nessuna di queste distinzioni aveva importanza». È questa de-soggettivazione dai ruoli assegnati ai diversi tipi di lavoratori che rappresenta la più grande minaccia alle logiche di significazione e assoggettamento dell'università (e non solo). O come dice Ill Will: «all'interno dell'occupazione non c'è proprietà privata. [...] All'interno, lo status sociale e lavorativo sono privi di significato».
4. Il farsi del soggetto indebitato
Come hanno sottolineato i membri del NYU-FSJP nelle lezioni organizzate autonomamente in vari luoghi del campus l'8 maggio, una delle forme principali di assoggettamento alle operazioni dell'università neoliberale è la produzione di debito e l'uso di tale debito come garanzia per l'espansione. È questo debito prodotto dal continuo aumento delle tasse universitarie che viene utilizzato per speculare su un'espansione sempre maggiore. La questione, qui e altrove, riguarda le relazioni concrete degli studenti con le istituzioni che capitalizzano la loro forza-lavoro e la loro attenzione e, come ha sottolineato in modo così importante la mia compagna recentemente scomparsa Marina Vishmidt, le infrastrutture che queste istituzioni riproducono speculativamente e materialmente. Il ruolo dell'università per garantire l’ordine del capitalismo razzializzato è complesso: non è solo un nodo per la riproduzione althusseriana dell'ideologia, né solo un luogo di rifugio per il pensiero militante per lo più svuotato del suo impulso politico. Come osserva Gigi Roggero, il museo è, ovviamente, una macchina di depoliticizzazione. Se ragioniamo con Vishmidt, ci accorgiamo che, se da un lato tutto ciò è vero, dall'altro è forse più utile pensare all’università come un'infrastruttura incorporata in altre infrastrutture di profitto bellico, di produzione di debito finanziarizzato e di ideologia. È proprio questo incorporamento che la rende un terreno che richiede la sua stessa abolizione.
Gli studenti si vedono assoggettati a macchine di produzione del debito, debito che viene poi investito negli apparati visibilmente immateriali ma comunque concreti della militarizzazione. È per questo motivo che in tutte le università risuona lo slogan principale: «Disclose, divest, we will not stop we will not rest»: rivelare le connessioni finanziarie esistenti con le infrastrutture del genocidio e della militarizzazione; disinvestire da quelle infrastrutture che dipendono interamente dal complesso del debito. Come ha scritto il neo radicalizzato Adam Tooze a proposito dell'accampamento della Columbia: «le questioni in gioco sono Gaza, Israele, la cultura politica degli Stati Uniti, le norme di comportamento e la libertà di parola nel campus, le accuse [palesemente false] di antisemitismo, di islamofobia e le questioni fondamentali relative al controllo. Ma alla Columbia, almeno, la lotta riguarda anche l'economia politica». Se, come scriveva Tronti all'inizio degli anni Sessanta, «la macchina dello Stato borghese va spezzata oggi dentro la fabbrica capitalistica», gli studenti capiscono che devono rompere quella macchina statale dall'interno dei loro luoghi di lavoro, pur restando contro di essi. O, come dicono chiaramente gli studenti: «la Columbia University si è guadagnata lo status di università d'élite attraverso il saccheggio coloniale, da Harlem al Sudafrica, fino alla Palestina. Ha accresciuto la sua dotazione di 13,6 miliardi di dollari investendo in società come BlackRock, Caterpillar, Google e Airbnb che facilitano il furto violento di terre e il genocidio in Palestina e in tutto il Sud globale. Gli studenti pro-Palestina del campus hanno protestato instancabilmente affinché la Columbia disinvestisse dal business del genocidio, solo per essere accolti con disciplina e ritorsioni».
Joost de Bloois osserva che «Marx spiega come la questione del “debito” ci porti direttamente alla questione del ruolo dello Stato nel capitalismo. Per Marx, uno sguardo più attento al debito "pubblico" mette in luce lo Stato come perno dell'economia politica». Attraverso le azioni degli studenti e le risposte squilibrate delle università, il debito viene attenzionato come una forza per l'assorbimento neoliberale del surplus, in un periodo di profonda crisi economica. Dopo la serie di aumenti dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve nel 2022, Andrew Ross ha sostenuto che il sindacato dei debitori è un modo per organizzare le nuove composizioni del lavoro del XXI secolo, per colmare il «vuoto che il movimento sindacale... non può colmare da solo[3]», un modo per rispondere alle nuove organizzazioni del lavoro nella «fabbrica sociale». Vediamo, inoltre, come le mobilitazione studentesche colmino le lacune sulla conoscenza rispetto a dove viene prodotto il valore e sui meccanismi con cui la guerra venga legittimata e (ri)prodotta.
Una prospettiva liberale o progressista delle ultime settimane ha sottolineato che, poiché le istituzioni hanno recuperato l'attività rivoluzionaria del passato legittimandosi attraverso il mito, lo stesso avverrà in futuro per gli eventi attuali. Proprio come la Repubblica francese ha capito come incorporare le rivoluzioni nella propria mitologia, alcuni commentatori hanno fatto notare che, nel momento in cui l'accampamento della Columbia University è stato violentemente assaltato da centinaia di poliziotti, il sito web dell'università stava commemorando le manifestazioni studentesche del 1968. Una critica morale, di certo, sostiene che tra cinquant'anni la Columbia loderà allo stesso modo gli attivisti che oggi la polizia brutalizza e celebrerà gli studenti attivi nella lotta contro il genocidio dei palestinesi. Ma questo presuppone diverse ipotesi, in particolare che l'università degli anni Sessanta sia la stessa del 2024. Sebbene entrambe forniscano servizi simili, come hanno sottolineato numerosi compagni e pensatori ‒ più recentemente in occasione delle lezioni organizzate dalla NYU-FSJP ‒ le università, private e pubbliche, ma soprattutto private, non possono più affermare di essere centri di istruzione. Sono luoghi di riproduzione del debito e di commercio speculativo del debito stesso. Ed è per questo che dobbiamo gridare, come hanno fatto i compagni parigini durante il cinquantesimo anniversario del maggio ʼ68: «non commemorare, costruisci la comune».
13 Maggio 2024
Note
[1] H. Vartanian ‒ J. Weber, As Protest Gears Up, Over 100 Ford Fellows Criticize Ford Foundation President's Support of Prisons to Replace Rikers, «Hyperallergic», 26 settembre 2019. Questo stesso patto del diavolo è stato sostenuto da un museo e da altre istituzioni culturali che hanno appoggiato la città carceraria in cambio di finanziamenti, provocando il boicottaggio da parte degli artisti.
[2] Si veda a questo link.
[3] A. Ross, Why We Need Debtors’ Unions, «New Labor Forum 32», no. 1 (2023): 6–13
***
Andreas Petrossiants è scrittore ed editore e vive a New York. I suoi lavori sono apparsi su «The New Inquiry», «Social Text», «Frieze», «The Brooklyn Rail», «Hyperallergic», «Bookforum.com», sui blog «Verso» e «Historical Materialism», «e-flux journal» in cui è editore. È dottorando all'Università di New York, la sua ricerca riguarda i movimenti degli inquilini e le ribellioni urbane.
Comments