Alle origini dell'insurrezione zapatista negli anni '90
Proseguendo il percorso nella storia della Governance agroalimentare mondiale degli anni Novanta, Evelyn Leveghi presenta qui la terza tappa, narrando le turbolenti vicende del 1994, anno in cui entrò il vigore l'accordo di libero scambio tra Canada, Stati Uniti e Messico, dove scoppiò l'insurrezione zapatista.
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«All'alba del primo giorno del gennaio 1994, un esercito di giganti, cioè di indigeni ribelli, scese nelle città, per scuotere il mondo. Appena alcuni giorni dopo, con il sangue dei nostri caduti ancora fresco nelle strade, ci siamo resi conto che quelli di fuori non ci vedevano. Abituati a guardare dall'alto gli indigeni, non avevano lo sguardo per guardarci; abituati a vederci umiliati, il loro cuore non comprendeva la nostra degna ribellione. Il loro sguardo si era fermato sull'unico meticcio che videro con il passamontagna, cioè non guardarono»
Subcomandante Marcos, La Realidad, Messico, maggio 2014.
Annus horribilis
Il primo gennaio 1994 entrò in vigore l’accordo di libero commercio del Nord America (NAFTA), siglato da Stati Uniti, Canada e Messico e in quello stesso giorno scoppiò la prima insurrezione zapatista contro l’imperialismo, nello stato del Chiapas, in Messico. Il 1994 prese avvio così, con acute tensioni socio-politiche e severe criticità socio-economiche e, a questo esordio, seguì uno sviluppo altresì complesso nello scacchiere internazionale. Nell’arco temporale di un anno il mondo attraversò una schizofrenica sequenza di eventi: la Federazione russa firmò due storici accordi di disarmo nucleare, a gennaio con gli Stati Uniti[1] e a settembre con la Cina; ritirò le ultime truppe dalla Germania, a giugno, e dall’Estonia e dalla Lettonia, ad agosto, ma sul finire di quello stesso anno iniziò un nuovo intervento militare, in Cecenia (11 dicembre). Alcuni Paesi del mondo stabilirono nuovi assetti negli affari interni, con importanti effetti nelle politiche estere: l’Italia vide il tramonto della Prima Repubblica (26 gennaio) e l’alba della Seconda Repubblica (27-28 marzo); il Sudafrica visse una nuova fase storica con Nelson Mandela, vincitore delle prime elezioni multirazziali (27 aprile). Numerosi furono i focolai che si accesero a partire da frizioni tra le parti sociali e i governi: il Messico fu teatro di violente repressioni delle sollevazioni indigene, assassini di politici ed attivisti, corruzione e svalutazione monetaria[2]; a Cuba un’accesa protesta anti-governativa, denominata «Maleconazo», scoppiò a causa di una crisi economica devastante (5 agosto). A settembre l’Egitto ospitò la Conferenza Internazionale sulla popolazione e lo sviluppo (ICPD)[3], mentre il mese successivo si consumò il primo attentato di Hamas (19 ottobre) e, a distanza di una sola settimana, Israele e Giordania firmarono un accordo di pace (26 ottobre), dopo 46 anni di conflitto. Il medesimo periodo, 1948-1994, definì la durata dell’Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio (GATT), che aveva regolato gli scambi commerciali internazionali dal secondo dopoguerra, concludendosi con il Marrakech Agreement (15 aprile). Con esso si concluse il lungo ciclo negoziale denominato «Uruguay Round», e sancì la nascita dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC)[4].[1]
Egemonia neoliberista, tra liberalizzazione e finanziarizzazione
L’insurrezione zapatista e gli accordi commerciali di Marrakech non furono direttamente collegati, ma il contesto in cui si svilupparono presentava due fattori critici comuni: la liberalizzazione e il dominio di valore. Philip McMichael (2016) chiarisce che il processo di «liberalizzazione» consiste nell’«assoggettamento delle istituzioni, dagli Stati ai mercati, alla deregolamentazione del commercio e della politica economica, così come la privatizzazione dei beni pubblici», mentre con «dominio di valore» (value override) ci si riferisce alla «subordinazione della produzione e delle relazioni sociali alla mercificazione e al prezzo.» (p.181). Nel concreto ciò si tradusse in un nuovo assetto politico-economico, in cui il modello neoliberista dettò nuove regole ai mercati, nazionali e globali, controllando e dominando la produzione – manifatturiera, agricola, tessile, dei trasporti – attraverso una mercificazione dispotica. A causa dell’assoggettamento delle «risorse»[5] naturali e umane alle logiche di accumulazione del capitale, il «regime corporativo-ambientale»[6] generò (e ancora genera) severe ripercussioni nelle reti ecologiche e sociali, ai danni di habitat e comunità. Tra gli effetti più devastanti vi sono quelli subiti dalle popolazioni indigene e dalla ruralità, mediante espropriazioni, sfruttamento della manodopera, stravolgimento delle diete e sotto-riproduzione sociale. Un ulteriore elemento spinoso fu il vasto processo di finanziarizzazione[7] (termine concettualizzato proprio nel 1994 da Giovanni Arrighi e Kevin Phillips[8]) che divenne cruciale nell’evoluzione della governance globale, segnatamente nel periodo che va dalla fine degli accordi di Bretton Woods[9] (1971) all’entrata in vigore dell’OMC (1995), momento in cui entrò in crisi la fase materiale dell’accumulazione capitalistica (Conti 2023). Unitamente a questi due eventi, sono degni di menzione ed analisi due accordi internazionali che consentono di mettere in luce un passaggio significativo della storia della Governance agroalimentare: il North American Free Trade Agreement, NAFTA (1992, entrato in vigore nel 1994)[10] e il Marrakech Agreement (1994, in vigore dal 1995).[2]
«La più grande sessione di negoziazioni commerciali della storia»[11]
Nel secondo dopoguerra molti Paesi sentirono la necessità di abbattere il più possibile le barriere al commercio, smarcandosi dalle misure protezionistiche che erano in essere dall’inizio degli anni Trenta, al fine di rivitalizzare i mercati e rilanciare così le economie nazionali. Gli sforzi comuni condussero ad una sostanziale riduzione delle tariffe doganali, alla liberalizzazione degli scambi e alla firma di molteplici intese.
Il 30 ottobre 1947 si tenne il primo ciclo di negoziati multilaterali in cui si sancì un inedito pacchetto di regole commerciali e si celebrò la nascita del General Agreement on Tariffs and Trade (GATT)[12], il quale costituì lo strumento multilaterale di regolamentazione del commercio internazionale, per tutta la seconda metà del secolo. Si avvicendarono numerose sessioni negoziali, ma tra queste la più prolifica e decisiva fu l’Uruguay Round, ottavo ciclo (1986-1994). Agricoltura, tessuti, proprietà intellettuale, servizi, risoluzione delle controversie, creazione dell’organizzazione mondiale del commercio (OMC). Questi furono i principali soggetti trattati in tema di misure tariffarie (e non) e norme commerciali, ma si discusse di prodotti che coprivano quasi tutto il mercato[13]. Una vastità straordinaria che fu anche fonte di difficoltà diplomatiche e lungaggini nei dibattimenti; sforzi condivisi permisero di portare a termine le negoziazioni e dar vita ad una delle più grandi riforme del sistema commerciale mondiale dal secondo dopoguerra. L’agricoltura assunse particolare rilievo, considerata – assieme al tessile – un «settore sensibile». Tra le principali questioni discusse vi furono i tagli ai dazi sui prodotti tropicali, esportati dai «Paesi in via di sviluppo», e la riforma del mercato agricolo. I primi trovarono un ampio consenso, mentre sulla seconda i pareri erano contrastanti e ciò provocò una forte dilatazione delle tempistiche[14].
Le trattative si protrassero per otto anni, esattamente il doppio del tempo previsto e finalmente, nel 1994, l’Uruguay Round ebbe fine. L’atto definitivo, il Marrakesh Agreement, venne firmato il 15 aprile da 123 governi, comprese sia accordi multilaterali e plurilaterali, sia decisioni e dichiarazioni dei ministri in merito a norme di accordi specifici. Passato alla storia per aver sancito la nascita dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC/WTO)[15], il patto fu importante per molteplici punti di intesa tra i governi partecipanti: commercio delle merci (Trade in Goods)[16], scambi di servizi (GATS), diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPS); risoluzione delle controversie; il meccanismo di esame delle politiche commerciali (MEPC). Gli accordi commerciali plurilaterali riguardarono invece gli aeromobili civili, gli appalti pubblici, i prodotti lattiero-caseari e le carni bovine[17]. Di particolare rilevanza internazionale fu l’accordo sull’agricoltura (Agreement on Agriculture - AoA)[18], gli accordi relativi alle regole d’origine e alle misure antidumping.[3]
L’entrata in vigore del NAFTA e lo scoppio dell’insurrezione zapatista
Nel contesto di grande fermento della prima metà degli anni Novanta, ebbe una grande risonanza anche l’accordo nordamericano di libero scambio (NAFTA). Istituito tramite trattato nel dicembre 1992, tra USA, Canada e Messico, entrò in vigore il 1 gennaio 1994.[19] L’accordo sancì la creazione di un’area di libero scambio tra i contraenti, da realizzarsi progressivamente, eliminando gradualmente le barriere doganali e promuovendo dunque il movimento di beni e servizi tra i rispettivi territori.[20] Il contenimento delle tariffe sui prodotti scambiati tra i Paesi firmatari riguardava in particolare tre settori: agricoltura, tessile e industria automobilistica. Contestualmente il patto mirava anche all’incremento delle opportunità di investimento, alla protezione reciproca dei diritti di proprietà intellettuale e alla creazione di un quadro d’intesa trilaterale di cooperazione economica. L’elemento di novità riguardava essenzialmente i flussi commerciali tra Messico e Stati Uniti, poiché gran parte dell’import-export tra Washington e Ottawa era già stato liberalizzato da un accordo sancito nel 1988 (Canada-US Free Trade Agreement). L’interesse ad espandere l’area commerciale, includendo il Messico, aveva suscitato preoccupazione nei sindacati statunitensi e canadesi, percependo il rischio di una perdita di occupazione nazionale a favore di una esternalizzazione della produzione[21]. In Messico divamparono accese opposizioni e resistenze delle parti sociali, in quanto l’accordo era percepito come uno stratagemma per trasferire ricchezza dalle terre messicane, più povere ma prolifiche in termini produttivi e vantaggiose per l’esiguo costo della manodopera, verso quelle più ricche di Canada e USA, in particolar modo per il settore agricolo[22]. Tra le numerose sollevazioni, ci fu un episodio che si contraddistinse per intensità e organizzazione, oltre che per l’efferata repressione da parte delle autorità governative: l’insurrezione dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), del 1 gennaio 1994.
«Guardiani della terra e della memoria»[23]
Fu così che l’EZLN passò agli onori della cronaca, con un’enorme risonanza a livello internazionale. Formatosi nel 1983 come esiguo presidio ribelle nella Selva Lacandona[24], la compagine crebbe saldamente e progressivamente con l’adesione di molte comunità indigene del Chiapas, in conseguenza ad una serie di scelte opinabili del governo messicano. Un primo colpo basso avvenne nel febbraio del 1992 con l’avvio del processo di privatizzazione degli ejidos. Si trattava di fondi di proprietà dello Stato dati in uso ai contadini, che pose fine al sistema di distribuzione delle terre (in essere dal 1917 e sostenuto dal presidente Càrdenas negli anni ‘30). Ciò peggiorò le condizioni socio-economiche già precarie di molte aree marginali e di paesi come il Chiapas, in cui la povertà era già dilagante e ove le comunità indios (circa il 30% della popolazione totale), lottava per rivendicare i propri diritti alla terra. La questione indigena divenne progressivamente più sentita ed urgente e fu al centro delle rivendicazioni. Il gruppo si sviluppò assumendo la fisionomia di un’organizzazione politico-militare, facente parte del Comitato clandestino rivoluzionario indigeno (CCRI), un’assemblea formata dai rappresentanti delle comunità indigene, unite in un’alleanza con opposizione armata. Nella ricerca di un momento significativo per sollevarsi contro le autorità, scelsero emblematicamente il 1 gennaio di quell’anno, data di entrata in vigore del NAFTA. L’azione era intesa a manifestare una netta opposizione non solo all’accordo e alle imposizioni governative, ma anche agli effetti devastanti del neoliberismo. Dichiararono l’inizio di una resistenza armata a tutela e rivendicazione dei diritti della popolazione, delle terre e della cultura indigena, denigrata e afflitta da oltre 500 anni di soprusi[25].
Per gli zapatisti il NAFTA era emblematico di una nuova fase coloniale, dell’egemonia del profitto di una cerchia ristretta, elitaria e dirigente, con gravi perdite in termini di lavoro per i contadini messicani, colpiti dagli effetti nefasti delle importazioni dagli USA, in particolare di mais[26].
Le forze zapatiste riuscirono ad attirare una forte attenzione su di sé, ottenendo il favore dell’opinione pubblica mondiale, anche grazie ad una lucida strategia comunicativa: messaggi trasmessi in rete[27], appelli-inviti a giornalisti e attivisti dei diritti umani per recarsi in loco a verificare la gravità della situazione. Impiegarono degli espedienti con una forte carica simbolica, quali passamontagna neri – connotante il subcomandante Marcos in primis – e il richiamo a Emiliano Zapata Salazar, guida del movimento dei braccianti indios durante la rivoluzione messicana (1910-1928).
Una repressione inaudita
I sei anni di presidenza Salinas (1988-94) furono caratterizzati da una forte instabilità politica e da una violenta repressione sociale: gli attivisti uccisi appartenenti all’opposizione furono circa 300. Dopo l’occupazione zapatista di sette città del Chiapas (tra cui la nota San Cristóbal de Las Casas), le autorità governative, colte impreparate, tentarono di fermare l'insurrezione con una brutale controffensiva militare. Il 10 gennaio il governo annunciò un cessate il fuoco, nel tentativo di recuperare credibilità a livello internazionale e nominò Camacho Solís a capo di una Commissione di pace e riconciliazione, con la mediazione del vescovo Ruiz, conosciuto per il prezioso sostegno agli indigeni, in difesa dei loro diritti. A febbraio iniziarono le trattative e venne redatto un documento con 34 istanze tra cui: la richiesta di ripristinare il PRONASOL, programma nazionale di solidarietà, dedicato alle aree marginali (lanciato nel 1989); l’introduzione delle usanze indios nel sistema giudiziario e politico della regione; l’analisi delle conseguenze del NAFTA e della nuova riforma agraria sulle comunità indigene. Il governo accettò solo una parte delle istanze con forte insoddisfazione degli zapatisti.
A marzo il quadro politico si fece ancora più critico, in seguito all’assassinio di Donaldo Colosio, candidato presidenziale, appartenente all’ala progressista del PRI[28]. Nella seconda metà dell’anno la situazione si fece più drammatica: venne ucciso un altro politico, Ruiz Massieu, segretario generale del PRI. Le indagini avviate in seguito portarono alla luce dei collegamenti compromettenti, tra alcune figure politiche di spicco e i cartelli messicani della droga.
I tentativi negoziali e la questione del potere
Sul fronte negoziale, tra il governo e la guerriglia, si ottenne la stipula degli Accordi di San Andrés, ma il Congresso non li ratificò mai. Sentitosi tradito dai partiti con cui aveva negoziato, l’EZLN prese le distanze dalle forze politiche e iniziò a costruire il proprio progetto di autonomia nei territori (aree in cui mantiene ancora oggi la propria presenza). Senza alcun tipo di aiuto o sovvenzione statale, gli zapatisti hanno saputo istituire un governo indigeno, gestito a rotazione, democraticamente, e hanno creato un sistema autonomo di giustizia, salute ed educazione, portando maestri e dottori in regioni isolate dove non sussisteva alcun tipo di servizio sociale e sanitario. Proprio in merito a questi temi, di amministrazione ed esecutivo, la principale differenza tra l’EZLN e altre formazioni clandestine messicane è rintracciabile nel trattamento della questione del potere e nella rilevanza data alle rivendicazioni indigene. Come esplicitato anche dal Subcomandante Marcos nei molteplici comunicati ufficiali[29], l’EZLN non è un partito con mire suprematiste, egemoniche, bensì come un’organizzazione che intende mettere in discussione le strutture socio-politiche messicane, per una trasformazione in senso popolare e libertario. Questa peculiarità lo rende assimilabile ai movimenti dei Sem Terra brasiliani e i Piqueteros argentini, con simili prassi e basi teoriche.
Quello che per noi inizia nel 1994 è uno dei molti momenti della guerra di quelli che stanno in basso contro quelli che stanno sopra, contro il loro mondo. Quella guerra di resistenza che si svolge giorno per giorno per le strade di ogni angolo dei cinque continenti, nelle campagne e sulle montagne. La nostra, come quella di molti e molte del basso, era ed è una guerra per l’umanità e contro il neoliberismo.
Note
[1] Il 14 gennaio Clinton e Yeltsin firmarono gli accordi per fermare il puntamento missilistico nucleare e lo smaltimento dell’arsenale nucleare in Ucraina.
[2] Il peso messicano crollò da -15% a quasi -60% in soli pochi giorni e dopo ’assassinio politico di Colosio, si acuì la fuga di capitali. Su iniziativa degli Stati Uniti venne lanciato un piano straordinario di aiuti internazionali (da 50 milioni dollari) che scongiurò il crollo del sistema bancario. L’idea di un’economia forte e stabile, prevista con l’entrata in vigore del NAFTA e dall’ammissione tra i Paesi dell’OCSE (Paesi più industrializzati), sostenuta dalla retorica di Salinas, si confrontò con una realtà diversa, fragile e drammatica.
[3] La Quinta Conferenza Internazionale sulla Popolazione e lo Sviluppo si tenne a Il Cairo dal 5 al 13 settembre 1994, sotto gli auspici delle Nazioni Unite. Oltre 180 Stati vi parteciparono ed adottarono un nuovo Programma d'azione per i 20 anni a venire (1994-2014). L'accento fu posto sul rapporto (ritenuto) indissolubile tra popolazione e sviluppo, con una particolare attenzione al soddisfacimento dei bisogni degli individui, anziché sul mero raggiungimento degli obiettivi demografici. L'adozione di tale Programma segnò «una nuova fase di impegno e determinazione per integrare efficacemente le questioni demografiche nelle proposte di sviluppo socio-economico e per raggiungere una migliore qualità di vita per tutti gli individui, compresi quelli delle generazioni future». Fonte: United Nations Population Fund 2004.
[4] La denominazione in lingua inglese, convenzionalmente impiegata in ambito internazionale è World Trade Organization (WTO).
[5] Il virgolettato è intenzionale, in quanto non sono favorevole all’uso del termine in relazione al patrimonio biologico ed ecologico o alla «forza lavoro» del personale dipendente, in quanto è frutto di una visione di sfruttamento delle stesse per alimentare sistemi di profitto che tendono a «consumare» quelle fonti, sulla base di un assoggettamento e mercificazione delle stesse.
[6] Con «regime corporativo-ambientale» o «Terzo regime alimentare», ci si riferisce alla terza fase della «strutturazione politico-economica del commercio internazionale di prodotti alimentari che approvvigiona diete differenziate per classi e riproduce il potere egemonico» (McMichael, 2016:181).
[7] Volume crescente di «capitale monetario che si libera dalla sua forma di merce» (Arrighi 1994), ove le operazioni finanziarie aumentano l’accumulazione (Conti 2023). Il dibattito accademico sul concetto è vivo e prolifico, particolarmente dal 2005 ad oggi, e sono numerose le definizioni proposte dagli studiosi contemporanei, ma quella di Arrighi qui riportata pare essere la più efficace.
[8] John Bellamy Foster (2008) ne individuò un uso inedito negli scritti coevi The Long Twentieth Century: Money, Power and the Origins of our Times, di Giovanni Arrighi (edito nel 1994) e Boiling Point: Republicans, Democrats, and the Decline of Middleclass Prosperity, di Kevin Phillips (edito già nel 1993). Il primo fu un eccellente economista politico, sociologo e storico italiano, mentre il secondo fu un commentatore politico, americano, di orientamento repubblicano.
[9] Secondo Arrighi essa è stata originata dall’entrata in crisi dei tre pilastri dell’egemonia statunitense, imposti dal secondo dopoguerra: la supremazia del dollaro e il controllo della liquidità globale; il GATT, le Nazioni Unite e gli Accordi di Bretton Woods come enti di governo del mercato mondiale; le imprese transnazionali (TNC) inglobanti processi di produzione e distribuzione di massa.
[10] Sostituito recentemente dall'USMCA (United States-Mexico-Canada Agreement), entrato in vigore il 1° luglio 2020. Si tratta di un nuovo accordo preferenziale di libero scambio che di fatto rimpiazza il NAFTA, che per 25 anni aveva definito gli standard per rafforzare l’integrazione commerciale ed economica tra i tre Paesi firmatari.
[11] Fonte: sito web dell’OMC.
[12] Convenzionalmente si distingue il primo assetto del GATT con la dicitura GATT 1947, ad indicare gli accordi originali) e con GATT 1994 ci si riferisce all’assetto più recente, aggiornato.
[13] I prodotti presi in analisi andavano dagli spazzolini alle imbarcazioni, dai servizi bancari alle telecomunicazioni, dalla genetica del riso selvatico ai trattamenti contro l’AIDS, solo per citarne alcuni.
[14] I tempi previsti in principio erano di quattro anni, dal 1986 al 1990. Nel concreto la durata fu esattamente il doppio, fino al 1994. I punti di conflitto erano essenzialmente i servizi, l’accesso al mercato, le norme anti-dumping e la creazione di una nuova istituzione dedicata.
[15] Sebbene il GATT sia stato rimpiazzato con il WTO (World Trade Organization) come organizzazione internazionale, il General Agreement esiste ancora come parte dei trattati che stanno sotto l’egida dell’OMC per il commercio di beni di consumo.
[16] Gli altri accordi dell’Allegato 1A, di natura più operativo-burocratica, riguardavano gli ostacoli tecnici al commercio, la valutazione in dogana, le ispezioni pre-imbarco, le licenze d’importazione, le misure di salvaguardia, le sovvenzioni e le misure compensative, le agevolazioni degli scambi.
[17] Questi ultimi due accordi internazionali, riguardanti i prodotti lattiero-caseari e le carni bovine, furono abrogati nel 1997.
[18] Oggetto di disamina nel prossimo articolo, dedicato all’anno 1995.
[19] Rimasto in vigore fino al 2019, fu sostituito il 1 luglio 2020 dall’USMCA (United States-Mexico-Canada Agreement).
[20] I provvedimenti prevedevano tre macro interventi: l’immediata eliminazione delle tariffe doganali su oltre la metà delle importazioni dal Messico agli USA e su oltre un terzo delle esportazioni dagli USA al Messico; la progressiva rimozione di qualsiasi dazio, bilateralmente, entro 15 anni (dunque entro il 2009); la rimozione delle restrizioni tra i 3 Paesi, su molte categorie di prodotti.
[21] Il dissenso e le preoccupazioni riguardavano sia i firmatari, che altri Paesi limitrofi con relazioni dirette: internamente, i timori riguardavano, da una parte, il modello di sviluppo prodotto dall’integrazione e distribuzione iniqua dei costi e dei benefici tra le fasce di popolazioni, territori e settori produttivi, dall’altra, il rischio di dumping ambientale, da parte del Messico, il quale godeva di minori tutele normative. In parallelo, i Paesi dell’America centrale e dei Caraibi, assimilabili al Messico per modello di specializzazione e per posizione geografica, temevano danni conseguenti alla diversione del commercio.
[22] Il differenziale di competitività tra i produttori statunitensi e quelli messicani rischiava di rendere insostenibile la concorrenza sui prezzi. Fonte: Atlante geopolitico Treccani 2015.
[23] Tratto da «Tra luce ed ombra», discorso pronunciato il 28 maggio 2014 dal Subcomandante Galeano, portavoce dell’EZLN, (pseudonimo temporaneo del più noto Subcomandante Marcos, il quale cambiò nome sia come tributo a José Luis Solís López «Galeano», zapatista ucciso dai paramilitari, sia come simbolo dell’inizio di una nuova fase dell’EZLN.
[24] Si tratta di una zona situata nel sud-est del Chiapas, caratterizzata da una rigogliosa foresta, abitata dai Lacandón, una comunità indigena, maya, da cui prende il nome. Il 17 novembre 1983 uno sparuto gruppo di attivisti, formato da sei persone, di cui tre indigeni e tre meticci, si installò in quest’area con un accampamento, per dare via ad una resistenza contro lo sfruttamento della foresta e contro i soprusi mossi nei confronti della popolazione nativa.
[25] Il 13 agosto 1521 cadde Tenochtitlán, dopo quattro mesi di assedio e una strenua resistenza azteca. Gli Spagnoli, guidati da Cortés, ne distrussero il centro cerimoniale e di culto e, sulle ceneri dell’antica città, costruirono la nuova capitale, Città di Messico, assoggettando la popolazione indigena.
[26] Questo fu particolarmente grave, sia perché il Messico è il paese del mondo con la maggiore biodiversità nelle varietà di mais e perché la produzione statunitense godeva di sovvenzioni e di un prezzo più basso, dunque molto più competitivo.
[27] La scelta dei canali digitali per la comunicazione zapatista è particolarmente interessante e rilevante, perché costituisce uno dei primi esempi di resistenza e ribellione anticapitalista e antiglobalista organizzata in Rete (web 2.0).
[28] All’interno del Partito Rivoluzionario Istituzionale, forza politica dominante, sussistevano forti dissensi tra la fazione dei progressisti e quella dei conservatori.
[29] «Perché vogliono farci diventare un partito politico se noi non vogliamo il potere? Non riescono a capire che un movimento politico possa non essere interessato al potere politico? [...] Noi non chiediamo il governo. Noi vogliamo abbattere il governo. Noi vogliamo vivere in pace, in democrazia, libertà e giustizia». Tratto dal discorso tenuto dal Subcomandante Marcos.
Bibliografia
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Evelyn Leveghi è dottoranda in Ecogastronomia, scienze e culture del cibo presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e l’Università di Torino. Il suo progetto di ricerca intende esplorare il potenziale dell’agentività dei movimenti sociali rurali nella definizione delle politiche agroalimentari.
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