Nell’azione sociale e politica è frequente che questione ecologica e femminista siano considerate alla stregua di due distinte realtà, due distinti ambiti di lotta e pensiero. È urgente che l’ecologia e il femminismo diventino invece la cornice di senso entro cui progettare azioni, riflessioni, campagne politiche. Ciò è ancor più necessario quando si agisce nelle città prendendo parte al processo di produzione e riproduzione dello spazio urbano, inteso sia in termini pianificatori, quindi urbanistici, sia in termini sociali, quindi delle relazioni umane ed extraumane che in questi spazi co-agiscono.
Immagine di Chiara Susanna Crespi
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Nell’azione sociale e politica è frequente che questione ecologica e femminista siano considerate alla stregua di due distinte realtà, due distinti ambiti di lotta e pensiero. È urgente che l’ecologia e il femminismo diventino invece la cornice di senso entro cui progettare azioni, riflessioni, campagne politiche. Ciò è ancor più necessario quando si agisce nelle città prendendo parte al processo di produzione e riproduzione dello spazio urbano, inteso sia in termini pianificatori, quindi urbanistici, sia in termini sociali, quindi delle relazioni umane ed extraumane che in questi spazi co-agiscono.
Nello svolgere il presente ragionamento, può esserci d’aiuto il dialogo fra tre autori apparentemente distanti [1]: Jason W. Moore, sociologo dell’ambiente, noto per aver contrapposto il concetto di Capitalocene a quello di Antropocene; il filosofo Murray Bookchin, protagonista delle prime riflessioni sul necessario cambiamento paradigmatico in chiave ecologica, e teorico dell’ecologia sociale; e Abdullah Öcalan, capo politico del Pkk (il partito dei lavoratori curdo), dal ’99 detenuto nel carcere-isola di Imrali al largo di Istanbul.
I tre autori concordano su almeno tre aspetti:
1. Il superamento della dicotomia soggetto-oggetto, e quindi di società e natura, in favore di una coproduzione tra nature umane ed extraumane. Una tesi, quella della co-produzione, che rappresenta un valido tentativo di riconcettualizzare la società e il suo sviluppo nella storia: ciò permette di evidenziare le cause dell’attuale crisi ecologica e prevederne il superamento.
2. Il ruolo del progresso tecnologico, purché ecologicamente orientato, da porsi al servizio di un sistema-mondo nella sua totalità. In questo senso si segnalano i progetti di ibridazione [2] delle nature umane ed extra, progrediti sia in termini concettuali, sia in termini strutturali, architettonici e di miglioramento delle condizioni di vita di tutti gli esseri viventi. [3]
3. Una necessaria riconfigurazione sociale, politica ed economica nei rapporti con le nature a buon mercato, e un cambio nelle relazioni primarie di potere e di dominio, a partire dalla definitiva decostruzione del dominio dell’uomo sull’uomo, ovvero del sistema patriarcale e coloniale. Moore immagina e invoca una soluzione capace di problematizzare radicalmente gli assetti politici, economici e sociali. Per Bookchin questa proposta radicale sta nel municipalismo libertario. Si tratta di un pensiero figlio di una produzione culturale nella quale la Geografia gioca un ruolo di primo piano: saranno i geografi critici, dalla seconda metà dell’800, a mettere in discussione gli strumenti e le funzioni della disciplina.
Questa idea libertaria nutre il pensiero politico di Öcalan, traghettandolo da un progetto d’ispirazione marxista – la costituzione di uno Stato-nazione Curdo – a quello del confederalismo democratico per un radicale riassetto degli equilibri mondiali in una World Democratic Confederal Union senza Stati, ma composta da comunità ad ampio raggio rette da tre grandi pilastri: Femminismo, Ecologia, Autodeterminazione.
Dal Capitalocene alla democrazia senza Stato
Per quel che concerne il primo dei punti di contatto tra i tre autori, ovvero il superamento delle logiche binarie tipiche della modernità, merita partire dalla messa in discussione il concetto di l’Antropocene, frutto di tali sistemi logici.
Questo termine – Antropocene – descrive la crisi epocale che stiamo vivendo come risultato dell’azione umana nella sua indistinta totalità. Moore [4] ne propone un’accurata decostruzione poiché il termine definisce gli effetti, ma tratta con superficialità le cause. Il sociologo propone quindi il termine Capitalocene, ponendo l’accento sul sistema organizzativo economico-politico-sociale che è il principale responsabile dei cambiamenti climatici. Sottolinea Moore come la separazione tra uomo, società umana e natura renda possibile oggettivare quest’ultima e ridurla un campo di risorse a buon mercato. Tale riduzione, unita ad altri tre fattori a buon mercato – forza-lavoro (e qui rientra il lavoro non retribuito, come quello domestico e di cura [5]), cibo ed energia – permette la produzione e riproduzione del capitale. L’assunzione del termine Capitalocene in luogo di Antropocene è coerente con l’analisi dell’ecologia-mondo: cornice analitica che permette una riflessione accurata dei processi in atto dalla metà del XV secolo ad oggi, ovvero dall’ingresso nell’era moderna all’epoca del «punto di non ritorno», come la definisce il rapporto di Meadows del 2004. È all’interno dell’ecologia-mondo che Moore elabora l’oikeios, ovvero «un metodo per andare oltre al tropo narrativo dall’ambiente esterno (come oggetto) in favore dell’elaborazione ambientale (come processo), a sua volta una co-produzione dell’insieme della natura umana ed extra-umana». In sostanza il capitalismo diventa, in questa lettura, il risultato di una co-produzione di nature umane ed extraumane.
La necessità di abbandonare la dicotomia società-nature si trova già in Bookchin per il quale il «ricondurre la società all’interno di un quadro di riferimento ecologico» è l’unica via per la soluzione della crisi ecologica [6]. È proprio il filosofo statunitense che, teorizzando l’ecologia sociale, arriva ad affermare che non può esistere una risoluzione del problema ecologico se non si decostruiscono le logiche relazionali della società: Tutti i problemi ecologici sono problemi sociali.
Il problema sociale per eccellenza, che Bookchin pone in evidenza, è la condizione di dominio dell’uomo sull’uomo implicita nell’impalcatura patriarcale delle società capitaliste. Le lotte femministe rappresentano, in tal senso, un passaggio fondamentale per abbattere il sistema gerarchico, sfruttatore e oppressore tipico dell’ordinamento Stato-nazione. Öcalan è ancora più esplicito. Egli afferma: «Senza la repressione delle donne, la repressione dell’intera società non è concepibile. Il sessismo all’interno della società dello Stato-nazione, mentre da un lato dà agli uomini il massimo potere, dall’altro, per mezzo della donna, trasforma la società nella peggiore delle colonie. Quindi la donna è la nazione colonizzata della società storica, che ha raggiunto il punto più basso entro lo Stato-nazione […]. Detto in modo più netto ed esplicito: il capitalismo e lo Stato-nazione sono il monopolio dell’uomo dispotico e sfruttatore» [7]. Se si ripercorre la catena causale, si approda necessariamente alla decostruzione dello Stato-nazione.
Il progetto politico del Rojava ne è la sintesi [8]. Partendo da un’aspirazione statuale d’impronta marxista, il Pkk si fa coinvolgere dal progetto libertario municipalista. È questa forse la prima esperienza moderna che fa dell’ecologia e del femminismo un’unica cornice di senso entro cui muovere l’azione. Lo fa abbandonando il progetto rivoluzionario dello Stato indipendente Curdo in favore di ciò che Bookchin definisce «rivoluzione educativa» in seno alla società stessa. Il municipalismo libertario concepito da Bookchin trova qui un ulteriore sviluppo verso l’assetto del confederalismo democratico. Un ordinamento che, non ignorando la contradditorietà e la disomogeneità di qualsiasi contesto sociale, prevede gruppi sociali con formazioni sia verticali che orizzontali. «Gruppi centrali, regionali e locali devono essere bilanciati in questo modo». Solo i gruppi sociali così organizzati possono assurgere al compito di governo territoriale (contrapposto all’esigenza amministrativa e coercitiva dello Stato), in una composizione modulare del potere «in grado di affrontare le particolari situazioni concrete e di sviluppare soluzioni appropriate a problemi sociali di ampia portata».
Il Rojava è esattamente questo: un’entità territoriale informale nata dall’unione delle tre città libere nel nord della Siria: Afrin, Cizire e Kobane, organizzate su tre principi fondamentali: femminismo, ecologia e autodeterminazione.
Nel mondo occidentale è difficile immaginare una rivoluzione sulla falsariga di quella curda. Tuttavia non serve un contesto di guerra, né un’urgenza dell’azione, per raggiungere lo scopo. Viceversa il confederalismo democratico – a dirlo è lo stesso Öcalan – è aperto a compromessi, sia che lo si intenda costruire all’interno di uno Stato-nazione, di una repubblica o di una democrazia. Esso consente una coesistenza alla pari. In questo senso possiamo immaginarci oggi nelle nostre città la costruzione di un metodo deliberativo in cui a decidere le sorti della produzione e riproduzione dello spazio urbano, nei termini sopra descritti, siano i gruppi sociali organizzati su base volontaria.
Per un governo del territorio ecologicamente orientato
La pandemia ha dimostrato la fragilità del sistema di governo delle città, ostaggio di interessi particolari. Crediamo che siano le realtà sociali ad avere in capo la responsabilità della rivoluzione educativa. La crisi sanitaria ha fornito la prova schiacciante dell’essenzialità di questi movimenti che si sono mossi, su base volontaristica, per decostruire la forma assistenziale dello Stato (ancora una volta una relazione binaria assistiti-Stato) contrapponendole le attività mutualistiche [9] rivolte in particolare a quelle soggettività rese più fragili dalle contraddizioni della società capitalistica. Sarah Gainsforth, su «Internazionale», racconta la risposta mutualistica e solidale nella città di Bologna [10], dove molteplici soggetti sociali hanno fatto rete per rispondere alle lacune di un’amministrazione inetta a fronte dei bisogni immediati di chi si è trovato escluso dalle misure emergenziali.
La gestione della compravendita dei vaccini su scala mondiale fa emergere l’arroganza di Big Pharma, la disparità tra le multinazionali del farmaco e gli Stati neoliberali, asserviti alle logiche di mercato, pronti a rispolverare vecchie pratiche colonialiste e di dominio.
La risposta in termini di mutualismo e autorganizzazione, e il rinnovato sentimento civico dimostrato a Bologna e in molteplici altre città, evidenziano l’urgenza: di reimpostare l’azione politica sui binari dell’eco-femminismo come principio di lotta; di rimettere in discussione – ribaltandoli – i rapporti di forza nella società; di abbattere il sistema patriarcale quale obiettivo rivoluzionario.
L’ecologia non può prescindere da un approccio femminista. E viceversa. Insieme costituiscono la cornice di senso dell’agire politico verso un ambiente di vita durevole. È urgente farlo ed è nel governo delle città che questa partita deve essere giocata. La rivoluzione, o sarà urbana, femminista ed ecologica, o non sarà!
Note [1] Rimando a un mio precendente scritto: G. Piras Dall’ecologia politica attraverso il Capitalocene per una società ecologica, «Geography Notebooks», 2020. I temi qui presentati sono stati discussi nel seminario di Geografia critica, Ripensare la città: La dimensione ecologica nello spazio urbano, nel ciclo di seminari «Spazi di contaminazione», organizzato e promosso dalle studentesse e dagli studenti del corso di laurea magistrale in Geografia e processi territoriali dell’Università di Bologna, in collaborazione con i docenti. [2] Cfr. E. Swyngedouw, Metabolic urbanization: the making of cyborg cities, in The Nature of Cities Urban political ecology and the politics of urban metabolism, a cura di N. Heynen, M. Kaika, E. Swyngedouw, Routledge, Londra, 2006. [3] Cfr. Alessandro Melis (a cura di), Zombie City, D editore, 2020. [4] In Antropocene o Capitalocene? Ombre corte, Verona, 2017. [5] Sulle implicazioni dell’analisi di Moore riguardo al lavoro domestico non retribuito, e quindi su una lettura marxista ed ecofemminista, si rimanda al contributo di Miriam Tola in «Dinamo Press»: https://www.dinamopress.it/news/sfide-femministe-antropocene-capitalocene/ [6] Cfr. M. Bookchin. Per una società ecologica. Tesi sul municipalismo libertario e la rivoluzione sociale, Elèuthera, Milano, 2016. [7] A. Öcalan, Confederalismo democratico, Diest libri, Torino, 2011. [8] Per un approfondimento: Rojava una democrazia senza Stato, a cura di D. Dirik, D. Levi Strauss, M. Taussing, P. Lamborn Wilson, Elèuthera, Milano, 2017. [9] Cfr. Pëtr A. Kropotkin, Il mutuo appoggio. Un fattore dell’evoluzione, Elèuthera, Milano, 2020. [10] https://www.internazionale.it/reportage/sarah-gainsforth/2021/03/29/reti-solidali-bologna-vuoto-stato
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