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Olocene

(da La parta arida della pianura)



* * *


Nei rifugi madri, padri, figli

abbracciati in un sonno primordiale


Poi fu una luce plumbea a fare spazio,

ad aprirsi in un paesaggio sconfinato


Nel risveglio sguardi ciechi per il lungo viaggio:

tutto quel buio dei millenni e poi

il quotidiano abbaglio del chiarore


Dal sentiero tracciato in un sogno tutto apparve nitido:

quel giorno si sarebbero addentrati in una nuova terra,

deciso il punto del primo scavo nella nebbia




Nella battuta di caccia, il corpo della sua donna

si stagliava in ogni punto della radura

Pensava alla parola amore prima di saperla sulla bocca


Quando la bestia sibilava ancora di vita,

come la traiettoria della freccia

che presto tagliò il silenzio


lui si avvicinò alla preda:

un cucciolo dalla piccola testa

e dalle piccole zampe


Fu allora che si inginocchiò a terra

per carezzarla come un figlio

al quale stesse per mancare il respiro




Calpestavano l'erba,

con piedi sgraziati,

il tempo aveva cambiato

la forma ricurva delle dita

una volta prensili,

non adatte all'esodo,

a perdersi


Nessuno di quella mandria sapeva

dove sarebbe finita la fuga cieca


Come l'acqua della sorgente che cede,

cade sulla soglia del dirupo,

s'inginocchiarono gli uomini

all'ombra maestosa di montagne,

sorte dal nulla, erte

come cattedrali




Quando il sole schiarì la vallata

la terra apparve un gemito,

come una premonizione


Restarono in silenzio a lungo

dinanzi a quello spazio inviolato,

poi fu il tempo a ingrandire il cranio,

la lingua in ascesi sul palato

mise in bocca il prodigio della parola

Una notte dischiuse il fuoco dal cerchio dei saggi,

un vecchio, tra sogno e delirio, aprì un varco nel buio


Avrebbero visto a breve le storie tramandate,

avrebbero visto uomini dipinti con terra e sangue,

e sui volti tatuati i segni

di un alfabeto chiamato terrore




Caduti gli ultimi uomini a difesa del villaggio,

stringevi al petto il figlio, il battito della tua paura

conficcato a fondo nel suo tremore


Avresti barattato la vita pur di salvarlo,

ma la belva non conosce lingua, se non l'urlo

per la ferita o le grida di battaglia


Trafitto dal pugnale d'osso aspettavi la fine

riversa sul suo sangue, guardavi in faccia

la grande notte dove i padri e i figli

tornano vento, bisbiglio tra le foglie degli alberi




Immagine: Elisabeth Mannsfeld, Processione, 1929, Massimbura, Chinamora, Simbabwe



* * *



Nino Iacovella è nato a Guardiagrele nel ’68. Ha una formazione socioeconomica. Ha riersordito in poesia con Latitudini delle braccia (deComporre, 2013). Del 2015 è la plaquette con i primi testi de La parte arida della pianura (Edizioni Culturaglobale, 2015). Ha curato insieme a Sebastiano Aglieco e Luigi Cannillo l’antologia Passione Poesia – Letture di poesia contemporanea (1990-2015) (Ed. CFR, 2016). È tra i fondatori e redattori del blog di poesia Perigeion, un atto di poesia. Vive e lavora a Milano. La Linea Gustav (Il Leggio, 2019) è il suo ultimo lavoro in versi.












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