(da La parta arida della pianura)
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Nei rifugi madri, padri, figli
abbracciati in un sonno primordiale
Poi fu una luce plumbea a fare spazio,
ad aprirsi in un paesaggio sconfinato
Nel risveglio sguardi ciechi per il lungo viaggio:
tutto quel buio dei millenni e poi
il quotidiano abbaglio del chiarore
Dal sentiero tracciato in un sogno tutto apparve nitido:
quel giorno si sarebbero addentrati in una nuova terra,
deciso il punto del primo scavo nella nebbia
Nella battuta di caccia, il corpo della sua donna
si stagliava in ogni punto della radura
Pensava alla parola amore prima di saperla sulla bocca
Quando la bestia sibilava ancora di vita,
come la traiettoria della freccia
che presto tagliò il silenzio
lui si avvicinò alla preda:
un cucciolo dalla piccola testa
e dalle piccole zampe
Fu allora che si inginocchiò a terra
per carezzarla come un figlio
al quale stesse per mancare il respiro
Calpestavano l'erba,
con piedi sgraziati,
il tempo aveva cambiato
la forma ricurva delle dita
una volta prensili,
non adatte all'esodo,
a perdersi
Nessuno di quella mandria sapeva
dove sarebbe finita la fuga cieca
Come l'acqua della sorgente che cede,
cade sulla soglia del dirupo,
s'inginocchiarono gli uomini
all'ombra maestosa di montagne,
sorte dal nulla, erte
come cattedrali
Quando il sole schiarì la vallata
la terra apparve un gemito,
come una premonizione
Restarono in silenzio a lungo
dinanzi a quello spazio inviolato,
poi fu il tempo a ingrandire il cranio,
la lingua in ascesi sul palato
mise in bocca il prodigio della parola
Una notte dischiuse il fuoco dal cerchio dei saggi,
un vecchio, tra sogno e delirio, aprì un varco nel buio
Avrebbero visto a breve le storie tramandate,
avrebbero visto uomini dipinti con terra e sangue,
e sui volti tatuati i segni
di un alfabeto chiamato terrore
Caduti gli ultimi uomini a difesa del villaggio,
stringevi al petto il figlio, il battito della tua paura
conficcato a fondo nel suo tremore
Avresti barattato la vita pur di salvarlo,
ma la belva non conosce lingua, se non l'urlo
per la ferita o le grida di battaglia
Trafitto dal pugnale d'osso aspettavi la fine
riversa sul suo sangue, guardavi in faccia
la grande notte dove i padri e i figli
tornano vento, bisbiglio tra le foglie degli alberi
Immagine: Elisabeth Mannsfeld, Processione, 1929, Massimbura, Chinamora, Simbabwe
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Nino Iacovella è nato a Guardiagrele nel ’68. Ha una formazione socioeconomica. Ha riersordito in poesia con Latitudini delle braccia (deComporre, 2013). Del 2015 è la plaquette con i primi testi de La parte arida della pianura (Edizioni Culturaglobale, 2015). Ha curato insieme a Sebastiano Aglieco e Luigi Cannillo l’antologia Passione Poesia – Letture di poesia contemporanea (1990-2015) (Ed. CFR, 2016). È tra i fondatori e redattori del blog di poesia Perigeion, un atto di poesia. Vive e lavora a Milano. La Linea Gustav (Il Leggio, 2019) è il suo ultimo lavoro in versi.
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