Presentiamo un collage di quattro traduzioni poetiche e brevi testi introduttivi: un dialogo tra poesia e traduzione, nato durante l’incontro No Luxury Reading, tenutosi a Bologna lo scorso 14 marzo 2024 con la presenza di John Gillespie, Loredana Magazzeni, Lorenzo Mari e Goffredo Polizzi. Il titolo, dell’incontro ispirato al saggio Poetry Is Not A Luxury (1985) di Audre Lorde, rende conto di alcune delle piste di lettura rintracciabili in questa conversazione.
***
No Luxury è una conversazione a più voci che si situa all’interno, e sulla soglia traduttiva, della poesia afroamericana contemporanea, grazie anche ad alcune esperienze di traduzione e scambio occasionalmente radicate a Bologna. Segue le suggestioni del saggio di Lorde: l’importanza della pratica poetica, insieme ad altre forme artistiche e alla scrittura saggistica, nella definizione teorica del proprio posizionamento; il confronto con la violenza della storia schiavista, mai venuto meno e recentemente spinto verso alcuni, specifici esiti radicali (come la «pianificazione fuggitiva», per Moten o l’Afropessimismo, cui si rifà il Mumble Punk di Gillespie); il magistero della stessa Audre Lorde; la cogenza del desiderio (come si legge, in particolare, nei versi di Danez Smith), etc.
Per Audre Lorde, Fred Moten, John Gillespie e Danez Smith (presentati in questo ordine nel testo) «la poesia non è un lusso», bensì una pratica che cerca e costruisce continuamente intersezioni e solidarietà, secondo una ricchezza di possibilità ancora poco note e riconosciute in Italia, che il dibattito, spesso artefatto, su woke e cancel culture, tende a sua volta a cancellare.
Audre Lorde. Litania per la Sopravvivenza (a cura di Loredana Magazzeni)
A Litany for Survival
For those of us who live at the shoreline
standing upon the constant edges of decision
crucial and alone
for those of us who cannot indulge
the passing dreams of choice
who love in doorways coming and going
in the hours between dawns
looking inward and outward
at once before and after
seeking a now that can breed
futures
like bread in our children’s mouths
so their dreams will not reflect
the death of ours;
For those of us
who were imprinted with fear
like a faint line in the center of our foreheads
learning to be afraid with our mother’s milk
for by this weapon
this illusion of some safety to be found
the heavy-footed hoped to silence us
For all of us
This instant and this triumph
We were never meant to survive.
And when the sun rises we are afraid
it might not remain
when the sun sets we are afraid
it might not rise in the morning
when our stomachs are full we are afraid
of indigestion
when our stomachs are empty we are afraid
we may never eat again
when we are loved we are afraid
love will vanish
when we are alone we are afraid
love will never return
and when we speak we are afraid
our words will not be heard
nor welcomed
but when we are silent
we are still afraid.
So it is better to speak
remembering
we were never meant to survive.
Litania per la Sopravvivenza
Per quelle di noi che vivono sul margine
ritte sull’orlo costante della decisione
cruciali e sole
per quelle di noi che non possono lasciarsi andare
ai sogni passeggeri della scelta
che amano sulle soglie mentre vanno e vengono
nelle ore fra un’alba e l’altra
guardando dentro e fuori
e prima e poi allo stesso tempo
cercando un adesso che dia vita
a futuri
come pane nelle bocche dei nostri figli
perché i loro sogni non riflettano
la fine dei nostri;
Per quelle di noi
che sono state marchiate dalla paura
come una ruga leggera al centro delle nostre fronti
imparando ad aver paura con il latte di nostra madre
perché con questa arma
questa illusione di poter essere al sicuro
quelli dai piedi pesanti speravano di zittirci
Per tutte noi
Questo istante e questo trionfo
Non era previsto che noi sopravvivessimo.
E quando il sole sorge abbiamo paura
che forse non resterà
quando il sole tramonta abbiamo paura
che forse non sorgerà domattina
quando abbiamo la pancia piena abbiamo paura
dell’indigestione
quando abbiamo la pancia vuota abbiamo paura
di non poter mai più mangiare
quando siamo amate abbiamo paura
che l’amore svanirà
quando siamo sole abbiamo paura
che l’amore non tornerà
e quando parliamo abbiamo paura
che le nostre parole non verranno udite
o ben accolte
ma quando stiamo zitte
anche allora abbiamo paura.
Perciò è meglio parlare
ricordando
che non era previsto che sopravvivessimo.
(Traduzione di Margherita Giacobino, tratto da: Audre Lorde, D’amore e di lotta. Poesie scelte, a cura di WiT – Women in Translation, Firenze, Le Lettere, 2018. Fanno parte del collettivo WiT: Maria Micaela Coppola, Grazia Dicanio, Margherita Giacobino, Loredana Magazzeni, Mariagrazia (Migi) Pecoraro, Maria Luisa Vezzali, Anna Zani).
Audre Lorde tra politica e poesia
Nera, lesbica, madre, guerriera, poeta, Audre Lorde nasce ad Harlem, New York, ultima figlia di immigrati da Grenada, nei Caraibi. Comincia a scrivere poesia giovanissima, lavorando come infermiera, operaia, segretaria, insegnante. Nel 1990 viene nominata, prima donna e prima donna nera, New York State Poet. Lorde pubblica dieci raccolte di poesie, un romanzo e numerosi saggi. Si ammala di cancro al seno e nei Diari del cancro teorizza la forza salvifica della consapevolezza. Con la compagna Gloria Joseph trascorre gli ultimi anni all’isola di St. Croix, nell’arcipelago delle Isole Vergini Americane. Il desiderio di conoscere l’opera poetica e politica di Audre Lorde nasce in Italia nell’ambito del movimento lesbico. Il Fuoricampo Lesbian Group a Bologna organizzò, dal 12 al 14 maggio 2006, il Convegno internazionale di studi su «Il valore della differenza. L’attualità del pensiero di Audre Lorde». Ma già prima era nato dal profondo interesse che alcune studiose femministe di letteratura anglo-americana e traduttrici, fra cui Liana Borghi, mostravano verso una letteratura che intrecciasse gli snodi fondamentali dell’intercultura di genere e delle teorie queer. Le prime traduzioni di Lorde in Italia sono state gli scritti politici di Sorella Outsider (tradotti da Margherita Giacobino e Marta Gianello Guida) e Zami. Così riscrivo il mio nome, a cura di Liana Borghi con la traduzione di Grazia Dicanio. Il pensiero e la poesia di Audre Lorde oggi ci sono necessari come seminali nella lotta alle discriminazioni basate su razza e genere, per l’azione anticipatrice che Lorde portò avanti per tutta la vita a sostegno della ridefinizione delle identità, della trasformazione del silenzio in azione e della parola collettiva in solidarietà e amore per l’altro/a. La donna è il soggetto imprevisto, come teorizzava Carla Lonzi negli anni Settanta, ma la donna nera lo è ancora di più. Infatti non era previsto che potesse sopravvivere ed affermarsi. Che potesse fare ed insegnare a noi la differenza. A teoriche come bell hooks e a poete e attiviste come Audre Lorde dobbiamo oggi nuovi orizzonti di lotta.
Nel testo che accompagna l’edizione italiana di D’amore e di lotta, Rita Monticelli scrive che per Lorde la poesia è impegno etico e di responsabilità nei confronti dell’individuo/a, della comunità e della storia, ed è solidarietà, nel dolore, nella storia e nella memoria. Secondo Gayatri Chakravorty Spivak, la traduzione è uno dei più importanti strumenti dell’impegno femminista nella solidarietà fra donne. Anche l’atto del tradurre è un atto etico ed erotico, nell’ottica di Lorde che parla di erotismo come agente di cambiamento. Le sue poesie parlano al singolo e alla collettività attraverso l’amore, la rabbia, l’erotismo. Sono legate alle tematiche dell’identità e della differenza, e allo stesso tempo denunciano le politiche omofobiche e razziste. Ricerca e valorizzazione delle origini, amore per le genealogie materne e lo stesso amore fra donne si collocano all’interno di quel continuum lesbico di cui parla Adrienne Rich, capace di cambiare il mondo. E l’erotico è capacità generativa di sorellanza e superamento della rabbia, nell’ottica della solidarietà (solida e instabile insieme, come scrive Monticelli), la stessa in cui ha operato il collettivo di traduzione.
In Litania per la sopravvivenza, Lorde usa la figura dell’anafora per sottolineare con il ripetuto For those of us come tante, troppe donne, che vivono ancora al margine, pur essendo «cruciali e sole», hanno conosciuto il marchio della paura, stampato a fuoco, bevuto con il latte delle madri, perché trovino la forza di prendere decisioni, di vivere, ricordando che non era previsto che sopravvivessero alla paura, all’odio, alla solitudine imposte da una società cieca ai bisogni delle donne nere e basata sull’ineguaglianza.
Fred Moten. La sonora reticenza (a cura di Lorenzo Mari)
Risuonando di continuo con la sua produzione teorica e in particolare con il libro, scritto insieme a Stefano Harney, Undercommons. Pianificazione fuggitiva e studio nero, la poetica di Fred Moten è una poetica fuggitiva e «allo stesso modo, e non a caso, una politica», come scrive Brent Hayes Edwards nel saggio, tradotto da Giulia Crispiani, che apre La sonora reticenza. «Questo è il punto dei titoli delle due sezioni della già citata barbara lee [una sezione del libro di poesia di Moten B Jenkins, del 2010, ndA]: The Poetics of Political Form (che inverte il titolo di una raccolta di saggi redatta da Charles Bernstein) e The Unacknowledged Legislator. Thom Donovan osserva che il primo, influente libro di critica di Moten In the Break: The Aesthetics of the Black Radical Tradition (2003) si concentra sulla tesi secondo cui «la resistenza dell’oggetto (ovvero il corpo dello schiavo di un tempo, che cerca la sua libertà nello spirito, quello che non può essere posseduto ma che comunque possiede quel corpo nei privilegiati momenti d’espressione) modella una forma di organizzazione, di responsabilità, di discorso e di economia politica e sociale», che non è altro che un modo di descrivere la stessa tradizione radicale nera».
sweet nancy wilson saved frank ramsey
The burden is also a refrain. That runs through you. You get no credit
or you get bad credit. Nevertheless, we write ourselves a sound
check. The one we come to cash is written for us, on our
account. When Fred Wesley asked George Clinton what kind of horn
arrangements he wanted, Clinton replied, “Something bad!!”
Nancy Wilson and Cannonball recorded two versions of «Save Your Love For Me».
They ride and bear the history
of voice and horn, arrangement and derangement. Derangement is something bad!!
Even our arrangements move in relation
to the troubled pleasures of the first instance,
that can be sung (through the singer,
through words or their turning).
la dolce nancy wilson ha salvato frank ramsey
È anche un ritornello, il fardello. Che ti scorre attraverso. Non ti danno alcun credito
oppure ti mettono nella lista dei morosi. Comunque sia, noi ci intestiamo un sonoro
acconto. Quello che veniamo a riscuotere è scritto per noi, sul nostro
conto. Quando Fred Wesley ha chiesto a George Clinton che arrangiamento
volesse per i fiati, Clinton gli ha risposto: «Qualcosa che spacca di brutto!!»
Nancy Wilson e Cannonball hanno registrato due versioni di Save Your Love For Me.
La storia che reggono e sorreggono è fatta
di voce e sax, arrangiamento e deragliamento. Il deragliamento spacca di brutto!!
Anche i nostri arrangiamenti si muovono in base
ai difficili piaceri della prima battuta,
che può essere cantata (attraverso chi canta,
attraverso le parole o il loro cambiamento).
(traduzione di Lorenzo Mari, tratto da Fred Moten, La sonora reticenza, NERO Editions, 2024).
John Gillespie. Pessimismo, e comunque…
Pessimism, but still…
Pessimism of the intellect
Pessimism of the heart
Pessimism of the will
Pessimism, but still
forging ahead with courage
tenacity, persistence
and bravery
Pessimism, but stupid
enough to try
to care: more
to feel: everything
to hear: everyone
Pessimism, but stupid
enough to try.
Pessimism, but still…
Pessimismo, e comunque…
Pessimismo dell’intelletto
Pessimismo del cuore
Pessimismo della volontà
Pessimismo, e comunque
andare avanti con coraggio
tenacia, perseveranza
e audacia
Pessimismo, ma stupido
abbastanza da provare
a prendersi cura: e di più
a sentire: e tutto
ad ascoltare: e chiunque
Pessimismo, ma stupido
abbastanza da provarci.
Pessimismo, e comunque…
Mumble Punk
Il Mumble Punk è il solarpunk per i pessimisti; è il solarpunk per i dannati della terra. Per chi tra di noi resterà alla catena su questo pianeta morto e sempre morente, mentre i multimiliardari se ne andranno nell’iperspazio sulle loro astronavi. Dal punto di vista teorico, infatti, il Mumble Punk è animato dalla semplice constatazione del fatto che il carcere, prima di, durante e dopo lo schiavismo, è sempre incontrovertibilmente stato il luogo principale di implementazione legittima della schiavitù. Il Mumble Punk è influenzato dalla possibilità che il Tredicesimo Emendamento, permettendo lo schiavismo per mezzo di e nelle forme dell’incarcerazione, non soltanto estende la storia e la pratica della schiavizzazione anti-nera, ma porta avanti anche una tradizione schiavista secondo cui l’essere «prigioniero di guerra» – che può anche vuol dire essere prigioniero della guerra alla droga – è considerato un’alternativa giusta e ragionevole alla morte fisica. Morte sociale, in cambio della morte fisica, o in altre parole la vita dello schiavo di prigione o dello schiavo-di-prigione-in-attesa-di. Ed è Mumble Punk l’intensità della musica punk, dacché è stata «fondata», della band proto-punk nera che si è giustamente chiamata Death, riunitasi attorno a un nucleo di suoni e desideri che Frank Wilderson descriverebbe come l’illeggibile «grammatica della sofferenza nera»[1]. Sempre dal punto di vista teorico, quindi, si può dire che il Mumble Punk sia la mia personale realizzazione in musica di quello che altrove ho descritto come «Black Dada Nihilismus»[2], o anche che si tratti di quella mia pratica artistica anti-etica che, dal suo interno e nel suo attraversamento, ha consentito la mia personale resistenza a quello che Jared Sexton ha descritto come «la vita sociale della morte sociale»[3]. Può essere tutto questo e al tempo stesso può non esserlo, visto che, com’è stato detto, l’autore è morto e quindi non può essere ritenuto credibile…
(traduzioni di Lorenzo Mari)
Danez Smith. Danzando (a letto)… (a cura di Goffredo Polizzi)
Vive a St Paul, Minnesota, ma proviene da una famiglia di emigrati dal Sud degli Stati Uniti, una famiglia di fede battista con cui ha frequentato assiduamente la chiesa locale di quella che negli anni Novanta era una piccola comunità afroamericana. All’Università di Madison Wisconsin ha seguito corsi di poesia ma aveva già iniziato a scrivere da adolescente. Ha pubblicato tre raccolte di poesie – [insert] Boy (2014), Don't Call Us Dead (2017) e Homie (2020) – e due plaquettes – hands on ya knees (2013) e black movie (2015). Nel 2019, a 29 anni, ha vinto un prestigioso premio letterario, il Forward Prize, per Don’t Call Us Dead, che include sia poesie pubblicate in precedenza (in alcuni casi rimaneggiate), che, per la maggior parte nuove poesie. Si identifica come persona nonbinaria e i suoi pronomi sono they/them. Nel solco della tradizione femminista, lesbofemminsta e gay afroamericana (da Audre Lorde, Assoto Saint, Essex Hemphill, Melvin Dixon, fino allo slang delle «ballroom» e del «voguing») la sua produzione esplora il legame e il confine incerto fra pubblico e privato, personale e politico, fondendo la narrazione individuale con l’esplorazione di tematiche come la discriminazione razziale, la sessualità, il conflitto sociale. Ha partecipato e partecipa al movimento Black Lives Matter (si veda in proposito, per esempio, la traduzione di Pina Piccolo su «La Macchina Sognante») e ha co-fondato il collettivo di artisti Dark Noise Collective.
Dancin (In Bed) with White Men (With Dreads)
Audre, the master’s tools brought my house down.
I begged him with my own hands. I’ve been floorboards,
wing nuts & slow blues at his pale hard feet. his full moon
flesh my new moon flesh, his braided glued yarned
unwashed attack against our tentacled blaze
is pulled sugar to my mouth. Lorde, he doesn’t know
how long it takes to look the mirror in the eye,
love what the world won’t. Lorde, forgive me
for not grabbing the shears the night
I let him stay in my bed after he said race wasn’t real.
Lorde, there are brown boys I never called back
plump, sun descended men, but none of them made me fail
as joyous, none of them so undid my spine’s subtle tension.
Lorde, we just didn’t relate past our hued past & isn’t that
what uppity people say? Is my name’s new spelling T-O-M?
I want to tell you about the president. I don’t want to tell you
about being four & playing with white barbies,
about frat parties in Wisconsin, the fake black bodies
made discoballs, about rent & the men who paid it for a while,
their wrinkling ghosting bodies, about Chicago & how she bleed,
& still, Lorde, his hair. What is your word? he’s in my bed,
dreads splayed, taking up too much space. Audre, gravity is pulling me
everywhere. I sit on the edge. if I fall, I’m not sure where I’ll go.
Danzando (a letto) con uomini bianchi (coi dread)
Audre, gli strumenti del padrone mi han buttato giù casa.
L’ ho implorato, io, con le mie stesse mani. Sono stato assi di pavimento,
dadi, rondelle, e lenti blues ai suoi piedi pallidi, forti. La sua carne di luna
piena la mia carne di luna nuova, il suo colloso, intrecciato
non lavato, attacco contro i nostri tentacoli di fiamma
è cristallo di zucchero nella mia bocca. Lui non sa, Lorde
quanto ci vuole a guardare lo specchio negli occhi,
ad amare ciò che il mondo non amerà. Perdonami, Lorde
se non ho afferrato le forbici, quella notte.
Ha detto che la razza non esiste, e l’ho fatto rimanere nel mio letto.
Ci sono ragazzi scuri, Lorde, che non ho mai richiamato,
uomini figli del sole, turgidi, ma nessuno di loro mi ha fatto fallire
così gioiosamente, nessuno ha sciolto così la sottile tensione della mia spina dorsale.
Con lui abbiamo condiviso, Lorde, il nostro passato di tinte, solo il passato
e non è questo che dice la gente presuntuosa? è ZIO TOM il mio nuovo nome?
Vorrei raccontarti del presidente. Non vorrei dirti
che a 4 anni giocavo con le barbie bianche,
delle feste all’università in Wisconsin, di finti corpi neri
fatti discoball, dell’affitto e degli uomini che me l’hanno pagato per un po’,
dei loro corpi invecchiati e evanescenti, di Chicago e del suo sangue,
e però Lorde, i suoi capelli. Qual è il tuo responso? Lui è nel mio letto,
dread dappertutto, e occupa troppo spazio. Audre, mi tirà la forza di gravità
da ogni lato. Sto seduto sul limite. Non so, se cado, dove finirò.
(Traduzione di Goffredo Polizzi, da: [insert] Boy, 2014).
Note
[1] F. Wilderson, Red, White & Black: Cinema and the Structure of US Antagonisms, Duke University Press, 2010, p. 11.
[2] J. Gillespie, Black Dada Nihilismus Theorizing a Radical Black Aesthetic, «Journal of Critical Ethnic Studies», 4.2, 2018, pp. 100-117.
[3] J. Sexton, The Social Life of Social Death: On Afro-Pessimism and Black Optimism, «InTensions Journal», 5.5, 2011, pp. 1-47.
***
Lorenzo Mari (Mantova, 1984) vive e lavora a Bologna. Ha pubblicato alcuni libri di poesia, tra i quali i più recenti sono Querencia (Oèdipus, 2019) e Soggetti a cancellazione (Arcipelago Itaca, 2022), e alcuni saggi, tra cui Il taccuino dell’intellettuale. Disegno e narrazione nell’opera di John Berger (Mimesis, 2020). Traduce dall’inglese e dallo spagnolo, come nel caso del saggio Riot Sciopero Riot. Una nuova epoca di rivolte (Meltemi, 2023) di Joshua Clover e del libro di poesia Trilce di César Vallejo (Argolibri, 2021). Ha curato l’edizione italiana di ZURITA. Quattro poemi di Raúl Zurita (Valigie Rosse, 2019) nella traduzione di Alberto Masala.
Comments