Un ritratto della rivoluzionaria francese Louise Michel, scritto da Fernanda Mazzoli.
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Già dalla nascita – maggio 1830 – la vita di Louise Michel è posta sotto il segno dell’anomalia, se non dello scandalo: sua madre è una giovane contadina che lavora come domestica nel castello di Vroncourt, in Haute Marne e suo padre il figlio dei proprietari del maniero. Il padre non la riconoscerà e, infatti, la futura rivoluzionaria porta il cognome della madre, Marianne Michel, alla quale voterà un affetto profondo e protettivo. Storia dolorosa, ma tutto sommato non poi così originale, se non fosse che la piccola viene cresciuta amorevolmente nel castello dai nonni paterni, Charlotte e Charles Demahis, presso i quali Marianne continua a lavorare circondata dalla stima di tutti. Il padre, invece, si è trasferito in una fattoria dei dintorni, si è sposato con un’altra donna e sembra estraneo al singolare gruppo familiare, al quale va aggiunta un’altra figlia, separata dal marito, che è tornata a vivere con i vecchi genitori insieme al figlio Jules, cugino e compagno di giochi di Louise. Il nonno – discendente di un’antica famiglia – è un seguace di Voltaire, trascorre il suo tempo immerso nei libri, ama l’arte e la musica e coltiva la memoria dei grandi rivoluzionari dell’89. È lui ad occuparsi personalmente dell’istruzione della bambina.
Il castello ha conosciuto tempi migliori, le sue quattro torri dominano una campagna fatta di vigneti, prati e boschi, da lontano sembra un mausoleo o una fortezza, ma è in gran parte in rovina ed aperto ai venti come una nave. Ed abitato da animali di ogni sorta – cani, gatti, uccelli, caprioli, puledri – che entrano tranquillamente nella grande sala al pianterreno dove nelle sere d’inverno la famiglia al completo- comprese Marianne e la nonna materna di Louise, una contadina del villaggio – si riunisce intorno al grande tavolo, ascoltando le letture ad alta voce fatte dai padroni di casa e lavorando a maglia. La curiosità intellettuale della ragazzina e la sua sfrenata fantasia trovano fertile terreno in questo ambiente particolare dove alle suggestioni colte e politicamente orientate in senso democratico si mescolano le vecchie leggende fantastiche raccontate in paese, mentre il carattere si tempra in una vita estremamente frugale e a diretto contatto con la natura. Ricorderà nelle sue Memorie che fra i sei e sette anni aveva pianto sul libro di Lamennais Les paroles d’un croyant e che da quel momento in un certo senso la sua vita si era decisa, da quel giorno era appartenuta alla folla, aveva intrapreso quel percorso che l’avrebbe poi portata all’anarchia. Ben presto, legge Victor Hugo e si diverte a recitarne i drammi, arrangiati per due personaggi, con il cugino Jules. Altrettanto avidamente, ascolta i racconti sul feullot, una fantastica creatura rossa come il fuoco, narrati da Maria Verdet, la centenaria animatrice delle veglie paesane.
La campagna intorno a Vroncourt è teatro delle escursioni di Louise e anche delle sue bravate, come quella volta che, insieme a Jules, percorre i viottoli alla testa di una torma di maiali che i due bambini avevano liberato dal porcile. Adora gli animali, ha imparato dal nonno a prendersi cura di loro; in una torre del castello, tiene una splendida civetta dagli occhi fosforescenti cui ha dato il nome di Olimpia e dei piccoli pipistrelli che nutre con il latte e per i quali scrive una canzone da cantare sul suo liuto. Il mondo dell’infanzia, caratterizzato dall’attaccamento viscerale ai luoghi e alle persone amate, costituisce un fondo inesauribile di immagini, sensibilità e forza morale cui attingerà negli anni successivi, turbolenti ed avventurosi. È allora che nasce e si consolida quel sentimento di profonda unità con tutti gli esseri viventi che accende le due fiamme della compassione – davvero da intendersi in senso etimologico – e dell’indignazione verso le ingiustizie che si alimentano reciprocamente e che segneranno tutto il suo cammino, indirizzandola alla rivolta sociale e politica e ad un’autentica pratica di solidarietà con i più disperati.
Louise è una bambina estremamente sensibile e le allusioni malevole alla sua nascita, che riescono a varcare le mura in rovina del castello dove l’affetto e la sollecitudine dei familiari hanno steso intorno a lei una coltre protettiva, la feriscono profondamente. In particolare, corre per il villaggio una voce che suona come un’ingiuria per la madre (e a cui lei farà accenno una sola volta in vita sua, e per respingerla con sdegno ed orrore, in una lettera a Victor Hugo), secondo la quale suo nonno sarebbe in realtà suo padre.
Malgrado ciò, gli anni di Vroncourt scorrono felici, stampo fecondo e non conformista in cui maturano cultura e carattere, ma si concludono troppo presto con la morte del proprietario, il nonno, cui faranno seguito, in breve torno di tempo, quella del padre e della nonna paterna. Il castello viene venduto con sua grande disperazione, Louise riceve un’eredità di diecimila franchi in terra (che coltiverà la madre) e si trova nella necessità di procurarsi un lavoro, con il quale mantenere se stessa e garantire una serena vecchiaia a Marianne. Soprattutto, diventa per sempre Louise Michel; fino a quel momento era conosciuta come Mademoiselle Demahis e così aveva firmato la sua prima poesia, pubblicata sul giornale locale, l’Echo de la Haute Marne. Di fronte alle scandalizzate rimostranze di una zia che la rimprovera di usare un nome cui non ha diritto, non essendo stata riconosciuta, comprende che un’epoca della sua vita si è chiusa per sempre e che è venuto il momento di aprire una nuova pagina, contando solo sulle proprie forze. La passione per lo studio la spinge ad intraprendere la via dell’insegnamento: nel 1851 si diploma nella scuola di Chaumont, conseguendo il massimo livello di scolarità allora consentito alle donne, e nel 1882 ottiene l’abilitazione come institutrice. Nel gennaio dell’anno successivo apre una scuola libera ad Audelancourt: infatti, repubblicana intransigente, rifiuta di prestare giuramento all’imperatore e pertanto è esclusa dall’insegnamento pubblico. Nelle Memorie, ricorda che le sue lezioni iniziavano e terminavano con il canto della Marsigliese e che aveva spiegato alle sue piccole allieve che pregare per l’imperatore era sacrilego. Intanto, continua a scrivere: poesie che invia di tanto in tanto a Victor Hugo, ricevendone consigli ed incoraggiamento, e un feuilleton storico in una gazzetta locale. È proprio questa pubblicazione ad attirare su di lei le prime attenzioni delle autorità: il prefetto crede di avere indovinato che dietro la figura del tirannico imperatore romano Domiziano si nasconda in realtà un riferimento a Napoleone III. La ragazza rivendica apertamente di avere proprio voluto prendere di mira quest’ultimo e all’avvertimento del prefetto che solo la sua giovane età la salva dall’essere spedita alla Cayenna, risponde provocatoriamente (e anche profeticamente) che le sarebbe piaciuto aprire laggiù una scuola e che, non avendo i mezzi per pagarsi il viaggio, avrebbe volentieri approfittato dell’occasione. C’è molto del carattere di Louise in questa fulminante risposta: coraggiosa, impulsiva, incapace di calcolo, pronta a prendersi beffe di coloro che disprezza, come ad assumersi la cura di coloro che ama. Comunque, nei tre anni successivi, lavora in altre due scuole libere in Alta Marna, poi nel ‘56 lascia la regione natale per Parigi dove affianca all’attività di maestra (prima nel pensionato di Madame Vollier, nel X arrondissement, poi in scuole libere da lei fondate) la scrittura e la frequentazione degli ambienti antibonapartisti. Sono anni intensi: scrive, poesie soprattutto, dove l’evocazione degli amati paesaggi dell’infanzia cede sempre più spazio alla passione politica, ma anche articoli spesso pubblicati sotto lo pseudonimo di Enjolras (lo studente rivoluzionario de Les Misérables) e intanto, per preparare le prove del baccaularéat, segue due o tre volte la settimana i corsi di istruzione popolare tenuti in rue Hautefeuille dai repubblicani Jules Favre, avvocato e giornalista, e Eugène Pelletan, scrittore amico di Georges Sand e di Lamartine, più tardi oggetto entrambi dei feroci strali di Jules Vallès che, attraverso il loro impietoso ritratto, volle colpire tutta una generazione di uomini della gauche inclini al compromesso con il potere, attendisti e più occupati a contenere le rivendicazioni popolari, di cui paventavano il radicalismo, che a contrastare l’odiato Badinguet, soprannome poco lusinghiero affibbiato a Napoleone III dai suoi oppositori[1].Tuttavia, in questo periodo in cui l’opposizione si cerca, si confronta e si organizza in modo più o meno pubblico, la loro scuola «formava, nel bel mezzo della Parigi imperiale, un ritiro pulito dove non si avvertiva l’odore della fossa comune; qualche volta, le lezioni di storia rimbombavano del canto della Marsigliese e si sentiva l’odore della polvere». Louise frequenta le lezioni di fisica, di chimica, di diritto, riprende lo studio di una vecchia passione, l’algebra.
Nella capitale si moltiplicano i corsi d’istruzione popolare e professionale, molto frequentati anche dalle donne, da lì usciranno diversi combattenti della Comune; Louise, dopo le lezioni del mattino, tre sere a settimana insegna letteratura e geografia alla scuola professionale gratuita di rue Thévenot; può capitare che, fra gli auditori, ci sia qualche poliziotto venuto a sorvegliare.
Il suo orizzonte politico si è andato allargando, dall’originario repubblicanesimo trasmessole dal nonno, in senso socialistico e verso gli anni ‘70 è vicina alla corrente rivoluzionaria di Blanqui. Conosce alcuni giovani dalle posizioni piuttosto radicali che saranno poi fra i principali esponenti della Comune, come Vallès, Eudes (la cui moglie era stata sua allieva, poi assistente ed amica), Varlin, Rigault.
Da sempre convinta sostenitrice dell’uguaglianza fra i sessi, nel 1869 è segretaria della Société démocratique de moralisation che si occupa della condizione delle operaie e poi, insieme ad altre compagne che prenderanno parte alla Comune, dà impulso ai gruppi di Droit des femmes il cui programma verte intorno a due punti molto chiari e concreti: pari istruzione e pari retribuzione, condizione indispensabile per battere la piaga della prostituzione, l’infame mercato delle carni delle donne delle classi popolari contro il quale scriverà pagine di fuoco nelle sue Memorie.
La sua riflessione sulla situazione femminile parte da un assunto altrettanto chiaro: spetta alle donne prendere in mano direttamente la battaglia per la propria emancipazione, senza attendere che i diritti vengano loro generosamente concessi, tanto più che il cosiddetto sesso forte è schiavo non meno di quello debole. L’uomo «non può dare ciò che lui stesso non possiede e tutte le ineguaglianze cadranno insieme, quando uomini e donne si impegneranno per la lotta decisiva».
Dunque, la liberazione effettiva o è di tutti o di nessuno: il femminismo di Louise si inserisce da subito in una prospettiva rivoluzionaria e socialista, pur nella consapevolezza (confermata in seguito anche dall’osservazione della vita quotidiana in una società arcaica come quella dei Canachi della Nuova Caledonia) che il carico di sofferenza riservato al genere femminile è di gran lunga superiore.
Una nuova battaglia si annuncia in quell’anno 1870 che segnerà una svolta significativa nella storia della Francia e anche in quella personale del diversificato mondo degli oppositori repubblicani: venti di guerra soffiano sempre più insistenti fra Parigi e Berlino e Louise è in prima fila, insieme a Jules Vallès, nelle manifestazioni per la pace che, non troppo numerose, sfilano, invocando pace e libertà, per le vie della capitale, prontamente represse dai tutori dell’ordine. Aderisce all’appello ai lavoratori tedeschi redatto dalla sezione parigina dell’Internazionale che ha preso a frequentare e nel quale si cerca di scongiurare la guerra fratricida tra operai.
Nell’agosto, una cinquantina di blanquisti attacca una caserma di pompieri per procurarsi le armi con cui dare avvio ad un’insurrezione; il tentativo fallisce e diversi fra i suoi promotori, fra cui Eudes, vengono condannati a morte. Louise è fra le promotrici di una petizione in loro favore, scritta dal grande storico Michelet. Accompagnata da André Léo, molto attiva nell’istruzione popolare e nei gruppi per i diritti femminili, nonché futura comunarda, cerca invano di consegnare personalmente la petizione al generale Trochu, governatore di Parigi. Fortunatamente, pochi giorni dopo il disastro di Sedan travolge Napoleone III e apre la via alla proclamazione, il 4 settembre, della Repubblica e i suoi amici vengono liberati. Due settimane dopo sarà lei a finire in carcere.
La neonata République non è certo quella per la quale Louise e i suoi compagni hanno lottato, essa è espressione, piuttosto, della preoccupazione di arginare con un opportuno cambio di facciata le spinte rivoluzionarie che la sconfitta militare e la presenza dei Prussiani alle porte di Parigi sembrano favorire. È arrestata per avere capeggiato una manifestazione di donne (molte erano maestre) che reclamavano armi per la difesa nazionale e volevano arruolarsi volontarie per andare a portare il loro aiuto a Strasburgo che, assediata, rifiutava la resa. Di fronte all’invasione tedesca, la pacifista Louise non ha esitato a rendersi conto della necessità di una risposta armata popolare, nel solco della grande tradizione rivoluzionaria dell’‘89. Sarà liberata dopo qualche giorno dai rappresentanti di Montmartre, guidati da Théophile Ferré, futuro sostituto procuratore della Comune e – sembra – grande amore di Louise Michel.
Davanti alla palese e voluta incapacità del Governo di Difesa nazionale di dirigere la lotta contro i Prussiani e di gestire la terribile situazione venutasi a creare con l’arrivo dell’inverno nella città assediata, il Comitato centrale dei venti arrondissements cittadini gioca un ruolo sempre più decisivo nell’organizzazione di un movimento di resistenza dal basso che sfocerà, poi, in marzo nella proclamazione della Comune. Louise, in qualità di presidentessa del Comitato repubblicano di vigilanza delle cittadine del XVIII arrondissement, cerca di fare fronte alla carestia che si sta profilando e alla necessità di procurare lavoro ai disoccupati. Si rivolge al sindaco dell’arrondissement, Georges Clemenceau, per sottoporgli il suo piano per fronteggiare l’emergenza e chiedere il suo appoggio. Propone la requisizione immediata delle case abbandonate del quartiere per potervi alloggiare chi è restato senza un tetto e aprirvi degli asili, la distribuzione ai malati del vino e del carbone di chi se ne è andato, l’abolizione completa dei laboratori religiosi e delle case di tolleranza e, per finire, la fusione delle campane di Montmartre per fabbricare dei cannoni. Clemenceau, che farà poi una brillante carriera politica fino a divenire nel 1906 Primo Ministro, allontanandosi definitivamente dai suoi compagni di gioventù, accetta subito i due primi punti. Louise organizza un asilo in cui accoglie bimbi dai tre ai sei anni che affida alla madre, nel frattempo trasferitasi a vivere con lei, ma non lascia l’insegnamento nella sua scuola che conta ormai duecento ragazzine dai sei ai dodici anni.
I giorni tragici ed eroici che seguiranno, fino all’epilogo sanguinoso del maggio 1871, vedono Louise animare instancabile la resistenza ai Prussiani e ai Versagliesi, sia sul piano militare, sia su quello dell’organizzazione della vita quotidiana alle prese con le mille difficoltà della guerra e, contemporaneamente, progettare, con i suoi compagni, la nuova società cui la Comune cerca di dare voce e forma.
Montmartre è il quartiere che più strenuamente continua a combattere, respingendo ogni ipotesi di capitolazione; i suoi abitanti, malgrado le loro finanze non siano prospere, hanno fatto una sottoscrizione per comperare cannoni e mitragliatrici collocati sulla sommità della collina e affidati alle Guardie nazionali e ai volontari. Con loro, nella notte fra il 17 e il 18 marzo si trova Louise; sui bastioni c’è allerta, si sospetta un colpo di mano da parte di Thiers, capo dell’esecutivo eletto dall’Assemblea Nazionale riunita a Bordeaux e fautore di un armistizio con i Tedeschi estremamente penalizzante per la Francia. Lei è la prima a dare l’allarme, scende per la collina gridando al tradimento, in breve si forma una colonna, di cui fanno parte anche tante donne, capeggiata da Ferré. I soldati, che sono arrivati in cima alla Butte, vengono circondati dalle donne che si mettono davanti ai cannoni. La truppa rifiuta di eseguire l’ordine di tirare dato dal generale Leclerc e fraternizza con la folla. È l’inizio dell’insurrezione che guadagna in breve tutta la città, mentre il Governo fugge a Versailles. Louise propugna l’idea che si debba marciare su Versailles, ma l’impresa non incontra troppe adesioni; allora, decide di andarci da sola per pugnalare Thiers. Rigault, nuovo prefetto di polizia, e Ferré la dissuadono a fatica; tuttavia, travestita da borghese (ovvero in un abbigliamento insolitamente elegante per lei) si reca comunque nella cittadina per rendersi conto dello stato dell’esercito di cui dispone il governo in fuga.
Il pomeriggio del 28 marzo Louise si trova in mezzo alla folla che sulla Piazza dell’Hôtel de Ville acclama la Comune, fra i cui eletti ritrova tutti gli amici – intellettuali ed operai – con cui ha condiviso le battaglie di quegli anni. Nelle Memorie, ricorda che nei due mesi di governo rivoluzionario nella città sotto assedio non dormì quasi mai, se non quando non c’era niente di meglio da fare e che come lei fecero tante donne che si mostrarono ben più impassibili di molti loro compagni, eressero barricate e le tennero sino all’ultimo. Malgrado la disfatta sia all’angolo, è chiara in tutti la consapevolezza che stanno tentando qualcosa di completamente nuovo, che- per dirla con le sue parole- stanno spalancando le porte all’avvenire. «La nave di Parigi è in rada, bene in rada da una nuova riva, danza sulle sue ancore, i migliori dell’equipaggio sono stati dati in pasto ai pescecani, ma la nave approderà».
Gli eventi incalzano, Parigi è stretta nella morsa nemica -Prussiani e Versagliesi uniti nel tentativo di stroncare l’insurrezione – ai membri della Comune restano una manciata di giorni, di ore per tracciare la nuova rotta, la penna in una mano, il fucile nell’altra. Louise Michel è in prima linea sulle barricate che non abbandona quasi mai in quei due mesi della primavera 1871: una foto che ci è pervenuta la ritrae in divisa da guardia nazionale. Trova, tuttavia, il tempo, richiamandosi ai metodi già sperimentati nelle sue classi, per buttare giù alcune indicazioni sulla riforma dell’insegnamento intrapresa dal governo rivoluzionario e le trasmette ad un amico presente nella Commissione dell’insegnamento appello alle facoltà visive del bambino, niente premi, né ricompense, in quanto, conformemente alla sua rigorosa visione della vita, il sentimento del dovere compiuto deve bastare. Al Comitato di vigilanza delle donne del XVIII, alle cui riunioni non riesce più a partecipare, ha fatto pervenire un messaggio nel quale chiede che vengano immediatamente istituite delle scuole professionali e degli orfanotrofi laici al posto di quelli religiosi. Louise accoglie con entusiasmo le misure sociali immediate prese a favore delle classi popolari, come la proroga degli affitti scaduti, l’immediata disponibilità da parte degli operai degli ateliers abbandonati dai proprietari, il divieto del lavoro notturno per i fornai, la soppressione della vendita degli oggetti depositati al monte di pietà, ma non interviene direttamente nella loro elaborazione, in quanto ha deciso che il suo compito, ora, è quello del soldato e si batte con il 61° battaglione di Montmartre, alle Hautes Bruyères, a Monrouge con il generale garibaldino La Cecilia e a Neuilly con Dombrowski. La morte la schiva miracolosamente, malgrado l’innegabile gusto di Louise per azioni avventate che suscitano talvolta le proteste dei suoi compagni, come quando si espone, a rischio della sua stessa vita, per andare a recuperare un gatto che miagola su una barricata. L’amore per gli animali, come scrive, e l’orrore per i maltrattamenti loro inflitti è all’origine, sin dall’infanzia, del suo senso di giustizia.
Intanto, i quartieri occidentali di Parigi sono già stati occupati da trentamila soldati, la situazione militare è quanto mai confusa, i comunardi perdono posizioni, il fuoco divampa nella città ad opera di entrambe le parti in lotta, le esecuzioni di spie e traditori si moltiplicano e la disfatta finale si annuncia, malgrado l’eroismo e la volontà di resistere sino all’ultimo dei comunardi. Il 23 maggio, uscendo da una riunione drammatica all’Hôtel de Ville in cui si discute animatamente della messa a morte degli ostaggi (misura che lei condivide), decide di andare a trovare sua madre per metterla fuori pericolo, ma trova l’appartamento vuoto e apprende dalla portinaia che Marianne è stata prelevata dai soldati che cercavano la figlia. Allora, sceglie di consegnarsi nella speranza di farla liberare. Lo scambio è accettato, ma a Louise non basta: pretende di riaccompagnare la madre a casa, rue Oudot, per proteggerla durante il tragitto, essendo la situazione ormai fuori controllo. Dà la sua parola che si riconsegnerà e l’ufficiale, esasperato dalla sua insistenza, finisce per acconsentire; così Louise, sola, ritorna al bastione 37 e prende posto fra i prigionieri, tra i quali ritrova gli amici dei Comitati, dei club e del battaglione di Montmartre.
In lunghe file, i prigionieri vengono accompagnati di notte al castello della Muette, dove subiscono un simulacro di esecuzione allo scopo di minarne lo spirito combattivo (un bimbo di dieci anni ne morirà, di spavento e fatica) e poi vengono condotti al tristemente celebre campo di Satory, vicino a Versailles, che finì per accoglierne ben quarantamila, mentre a Parigi la semaine sanglante si conclude con montagne di cadaveri ammassati nelle strade. Per una lunga settimana, Louise attende di essere condotta ai pali dove, uno dopo l’altro, cadevano fucilati i suoi compagni, poi è trasferita alla prigione di Versailles, da dove il 4 settembre 1871 (anniversario della Repubblica) scrive ai presidenti del Consiglio di guerra per chiedere che si aprano le porte della galera per i tanti che si trovano lì per caso o errore. Quanto a lei, è stata un soldato, non un’infermiera delle ambulanze e dunque ha diritto alla morte e la reclama. Conclude, inneggiando alla République. In carcere apprenderà la morte di Théophile Ferré, a lei particolarmente caro, il quale ha rifiutato di difendersi e sul cui capo pendono accuse di estrema gravità. Louise aveva scritto invano alla Commissione di grazia, prendendo su di sé le responsabilità dell’amico che aveva firmato la condanna a morte di sei ostaggi e dato l’ordine di incendiare la Prefettura. Inoltre, avverte che «la testa di Ferré sarebbe una sfida lanciata alle coscienze e la risposta una rivoluzione». Questa sua testardaggine nel volere salvare l’ex sostituto procuratore della Comune le vale i motteggi delle compagne di cella che si prendono gioco del suo sentimento, a proposito del quale lei mantiene un invincibile riserbo. In un biglietto che, grazie al disponibile cappellano del carcere, riesce a fare giungere a Ferry, gli rivela che è davvero duro dovere essere rinchiusa con delle donne. «Ci sono dei momenti in cui ne prenderei una per battere l’altra. È che hanno, più o meno, le qualità e i difetti delle donne. Precisamente, ciò che io non ho. (C’è un po’ d’orgoglio, ma è vero.) Arrivederci, fratello». E lui, sempre attraverso l’ottimo abate Folley: «Non uccideranno tutti i socialisti, sono troppo numerosi...e tutti quelli che si salveranno faranno discepoli...L’avvenire ci appartiene. (…) Permettetemi di strapparvi l’impegno ad avere cura di voi, contrariamente alle vostre abitudini; non lasciate supporre ai nostri nemici che la loro prigione possa nuocerci. Quanto a me, vi sono abituato, così sto benissimo. A voi, cara cittadina, e all’eguaglianza».
Malgrado le sue dure parole, Louise si prodiga per le compagne di detenzione, alcune delle quali partoriscono in cella e continua instancabile a rivolgere appelli inascoltati per i condannati della Comune. E a scrivere versi. Nelle Memorie, redatte una quindicina di anni dopo, rievoca in modo veramente spiazzante, attraversato da una punta d’ironia su se stessa, l’esperienza carceraria, a testimonianza che essa non aveva fiaccato il suo spirito. Per una maestra, osserva, abituata alla confusione delle classi e alla sfiancante cura di decine di allievi, la solitudine ed il silenzio della prigione sono davvero una risorsa per ritemprarsi. La notte, poi, c’è tutto il tempo per pensare, leggere, scrivere, sentirsi liberi.
Louise Michel, considerata fra le detenute una delle peggiori per il suo carattere indomabile ed in fama di pétroleuse (incendiaria) viene processata dal Consiglio di guerra nel dicembre; non si preoccupa di difendersi, risponde sprezzante che lei appartiene alla rivoluzione sociale e che accetta la responsabilità di tutte le sue azioni e chiede di essere giudicata sul campo di Satory dove sono già caduti i suoi fratelli. È condannata all’unanimità alla deportazione; le restano, tuttavia, 24 ore per fare ricorso. Conformemente alla sua attitudine noncurante del pericolo personale e ostile ad ogni compromesso, rifiuta. Qualche giorno dopo, Victor Hugo dedicherà al suo coraggio e alla sua coerenza di fronte al tribunale militare un componimento in cui la celebra come Viro Major, donna di fiera maestà, tanto pronta all’odio verso chi disconosce l’umanità degli altri, quanto dolce e soccorrevole per i sofferenti.
Comincia a nascere il mito di Louise Michel, Vergine o Monaca rossa per gli uni, Baccante del Terrore, o lupa avida di sangue per gli altri, per tutti una donna irremovibile nelle proprie idee.
Informata che qualcuno, anche in seguito al clamore suscitato dal suo processo, vuole chiedere per lei la grazia, reagisce con lettere infuocate, in cui minaccia il suicidio, piuttosto che subire una tale ingiuria. Scrive a Hugo che lei è di quelli che «portano tanto più alta la bandiera quando questa è stata strappata» e che, nonostante il grande affetto che prova per sua madre, il suo solo dovere «è di restare degna di coloro che sono morti, e di ciò che volevamo». Alla commissione di grazia manda un messaggio del seguente tenore: «Che la maledizione dei morti e l’orrore delle nazioni vi accompagnino. Finché non mi avrete uccisa, mi troverete sulla vostra strada».
Fine agosto 1873, viene imbarcata a bordo del Virginie con un gruppo di 150 compagni, fra cui 22 donne, destinazione la Nuova Caledonia. La traversata la inebria, sul mare in tempesta le sembra di ritrovare le stesse sensazioni conosciute da bambina quando cantava in chiesa e, più tardi, nella febbre rivoluzionaria, quando si mescolava alla folla: il sentimento estatico di annullarsi, di fondersi nel tutto. «La vista di questi abissi inebria/ Troppo angusto diventa vivere!/ Non sarebbe meglio /Nel fracasso degli elementi/Alla fonte consegnarsi,/Mescolarsi alle ardenti correnti?/Gonfiate le vele, tempeste!/Aprite le ali, uragani!/ Ce ne andiamo verso i cicloni;/ In avanti, nave, in avanti!».
Il 10 dicembre la fregata avvista la barriera corallina della Nuova Caledonia. I comunardi sono inviati alla penisola di Ducos, cinta fortificata strettamente sorvegliata dove ritrovano molti compagni parigini che li hanno preceduti, fra cui il garibaldino Amilcare Cipriani. Louise affronta con il consueto coraggio le difficoltà dell’insediamento in un luogo semiselvaggio, la cui natura da subito l’affascina. In breve, fa conoscenza con gli indigeni, i Canachi, ne ascolta affascinata le storie e ne apprende la lingua. Passerà sull’isola quasi sette anni, prodigando la sua solita infaticabile attività: lavori di sistemazione in una località priva di quasi tutto, studio intenso, sperimentazioni botaniche, discussioni politiche e letterarie con i compagni, scrittura, insegnamento, innanzitutto ai piccoli indigeni e poi alla scuola comunale femminile di Nouméa, la capitale, grazie all’interessamento del sindaco per nulla spaventato dalla sua fama. Quando, nel 1877, i Canachi si ribelleranno in seguito all’ulteriore occupazione delle loro terre, la sua voce sarà una delle poche a levarsi in loro difesa.
In Francia si moltiplicano le iniziative per l’amnistia dei Comunardi; Louise viene graziata nell’ottobre del 1879, ma, fedele ai suoi principi, rifiuta di partire senza gli altri. Finalmente, l’11 luglio 1880 viene promulgata l’amnistia totale dei condannati e il 9 novembre 1880 Louise Michel, accompagnata da cinque gatti da cui non ha voluto separarsi, è accolta trionfalmente alla stazione di Saint-Lazare da migliaia di persone. La sera è in Haute Marne, dove può finalmente riabbracciare la madre, seriamente ammalata. Quindici giorni dopo, tiene una conferenza all’Elysée Montmartre, dove si presenta tutta in nero con una cravatta rossa ed un mazzolino di garofani rossi sul cappello. Nel suo discorso rievoca i morti della Comune e promette vendetta. Due mesi dopo, pubblica un romanzo a puntate, La misère, che conosce un discreto successo. Louise ha scritto tanto: poesie, romanzi a carattere sociale, drammi, ma la militante ha oscurato la grande poetessa che avrebbe potuto essere. Gettatasi a capofitto nel turbine della lotta, scriveva di getto, senza mai rileggere, disputando alle esigenze della rivoluzione la forza immaginativa che covava in lei sin dall’infanzia.
Gli anni successivi vedono il suo impegno incrollabile alla testa del movimento rivoluzionario; organizza scioperi e manifestazioni, anima incontri e conferenze, collabora a diversi giornali d’opposizione sociale, nel 1883 viene di nuovo arrestata e condannata a sei anni di reclusione per avere capeggiato un corteo di disoccupati, poi degenerato nel saccheggio di tre forni. È lei a rendere popolare in seno al movimento libertario la bandiera nera, simbolo del lutto e per i morti e per le illusioni; durante il lungo viaggio verso la Nuova Caledonia, sospesa tra cielo e mare, ha avuto molto tempo per pensare e ha finito per avvicinarsi alle idee anarchiche. L’esito tragico della Comune con il suo olocausto di vive intelligenze e di animi retti l’aveva convinta che gli onesti al potere sono altrettanto incapaci quanto risultano nocivi i disonesti: da qui la sua conclusione che la libertà non possa allearsi ad alcun potere. Chiunque arrivi al potere, finisce per identificare lo Stato con se stesso e per attaccarvisi come il cane che rosicchia l’osso.
Mentre è in carcere a Saint-Lazare, la madre si aggrava; è solo grazie alle pressioni del vecchio amico Clemenceau, sempre più influente all’interno della III Repubblica, che Louise può ottenere un permesso per vederla l’ultima volta. La sua perdita è per lei un colpo durissimo che la immerge in uno stato di profonda depressione. Sono in molti a mobilitarsi perché sia graziata e come al solito lei rifiuta, sottolineando che mentre un prigioniero non ha che da combattere contro i suoi nemici, una donna nelle stesse condizioni deve anche temere gli interventi degli amici che le attribuiscono debolezze di ogni sorta. Un anno dopo, il 14 gennaio 1886 il Presidente firma, malgrado i suoi dinieghi, la grazia.
Liberata, riprende la sua indefessa attività militante; nel corso di una conferenza è ferita alla testa da un colpo di pistola tirato da un avversario politico. Rifiuta di sporgere denunzia, tanto più che ha intrapreso una campagna contro la pena di morte. Sostiene l’imponente sciopero dei manovali nel 1888 ed in questa occasione indica nello sciopero generale il solo modo a disposizione dell’operaio per creare una nuova società. Due anni dopo è di nuovo incarcerata in seguito ad un discorso in preparazione del 1° maggio in cui attacca la religione e la proprietà privata e proclama che solo la forza può trasformare la società. Rifiuta la libertà provvisoria, perché il provvedimento non è esteso agli altri imputati. In cella, spacca tutto, si parla di internarla, ma il governo teme la stampa dove Louise conta degli amici, e non se ne fa nulla. Una volta scarcerata, si reca a Londra dove per qualche anno gestisce una scuola libertaria. Al ritorno in patria nel 1895 fonda, con Sébastien Faure, un giornale, Le Libertaire. Sono gli anni dell’affaire Dreyfus, nel quale Louise non si fa troppo coinvolgere; antimilitarista, non riesce a dimenticare che Dreyfus resta, nonostante l’ingiustizia subita, un ufficiale di quell’esercito che ha schiacciato la Comune e, inoltre, il suo grande amico Rochefort[2], militante antibonapartista della prima ora, comunardo, deportato con lei in Nuova Caledonia da cui è riuscito a fuggire, è risolutamente antidreyfusardo. A Londra, in occasione di un Congresso internazionale dei Lavoratori che sancisce l’esclusione delle correnti anarchiche a profitto di quelle a tendenza marxista il cui dogmatismo la spaventa, conosce Malatesta. Nel 1904 si iscrive alla loggia massonica La philosophie sociale, e tiene una conferenza sul femminismo nella loggia Diderot, sempre appartenente alla Grande Loggia Simbolica Scozzese. Malgrado l’età ormai avanzata, non conosce riposo: intraprende un giro molto faticoso di conferenze in Algeria e in Francia, organizzate da Faure e dalla coppia anarchica dei Giraud. Il suo nome attira ovunque folle entusiastiche. Di ritorno da una di queste conferenze in una località alpina, si ammala gravemente di polmonite e muore a Marsiglia il 9 gennaio 1905.
La sua salma arriva a Parigi il 22 gennaio, accolta da una folla commossa al canto dell’Internazionale e della Carmagnole. Secondo la sua volontà, è sepolta a Levallois, accanto alla madre, a pochi passi dalla tomba della famiglia Ferré. É la giornalista Sévérine a pronunziare il vibrante discorso funebre per «Louise della miseria e della misericordia».
Piace qui congedarsi da lei con alcuni suoi versi evocanti la dimora natale in cui si avverte, dietro il tono nostalgico, il soffio potente che attraversò e plasmò la sua vita.
Addio al mio ritiro di sogno nel maniero!/Addio alla mia alta torre aperta a tutti i venti!/Ai tuoi muri non resta che il muschio della loro cresta/E io, fragile ramo spezzato dalla tempesta,/ Lontano da te seguirò le rapide correnti./Senza di me rivedrai tornare le rondini / Che nei giorni d’estate cantano sul bordo dei tetti./Ma, se io me ne andrò come loro errando /Non mancherà nulla, dimmi, sotto le torrette, /Quando i loro tristi echi più la mia voce non diranno?
Per ricostruire la vita di Louise Michel, ho fatto riferimento innanzitutto alle sue Memorie, nella ristampa anastatica dell’edizione del febbraio 1886, Mémoires de Louise Michel écrits par elle-même, e al testo di Xavière Gauthier, La Vierge rouge.Biographie de Louise Michel, Les éditions de Paris, Paris, 1999 che propone numerosi stralci della sua corrispondenza.
Le parti virgolettate e in corsivo sono una mia traduzione.
Per una storia generale della Comune, resta imprescindibile il testo di P.Lissagaray, Histoire de la Commune de 1871, tradotto in italaino nel 1962 dagli Editori Riuniti.
Note [1]J. Vallès, L’insorto, Petite Plaisance, Pistoia, 2019. Entrambi si schiereranno contro la Comune e in questo Louise Michel, incapace di dimenticare la loro generosità e dedizione prima dei grandi eventi iniziati con la caduta dell’Impero, vedrà una delle manifestazioni peggiori della capacità corruttiva del potere. [2]Personaggio quanto mai controverso, grande amico di J.Vallès, con la Comune sino alla fine, sosterrà economicamente diversi compagni; finirà per aderire al boulangismo e sposare posizioni apertamente antisemite che lo allontaneranno sempre più dai suoi amici di un tempo, al punto che verrà escluso dai funerali di Louise che aiutò, anche finanziariamente, fino all’ultimo. Dal canto suo, accusò Faure e i Giraud di essere i Barnum della Michel per la quale, malgrado le loro posizioni politiche fossero sempre più lontane, provava, da combattente nato quale era, un’ammirazione sconfinata.
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Fernanda Mazzoli si è occupata di letteratura orale e processi di stregoneria, lavorando in particolare su fonti ungheresi e collaborando con alcune riviste; ha pubblicato nel 2016 per Sensibili alle foglie un testo sulla deriva aziendalistica della scuola pubblica (insegna in un Liceo linguistico), Scuola liquida. La liquidazione della scuola pubblica, ha curato nel 2019 una nuova traduzione de L’insurgé del comunardo Jules Vallès per Petite Plaisance che ha editato nel 2020 il suo racconto Di argini e strade. Un racconto di pianura e nel 2022 il saggio In viaggio con Pinocchio. Collabora con la redazione della rivista «Koiné» e scrive recensioni sul blog Invito alla lettura della casa editrice Petite Plaisance. In uscita il suo libro Giuseppe B. Una vita di avventura, di fede e di passione.
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