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Lo sviluppo dell’università neoliberale in Italia (Seconda parte)

Riforme universitarie e movimenti studenteschi. L’onda anomala




Cominciamo i lavori di questa sezione con alcuni testi provenienti dalla più recente inchiesta di «Sudcomune», della quale Machina ha già pubblicato un paio di Note (www.machina-deriveapprodi.com/post/l-università-indigesta-note-da-un-inchiesta; www.machina-deriveapprodi.com/post/l-università-indigesta-2). Più precisamente, per i prossimi tre mesi, a cadenza quindicinale, affronteremo il tema dell’avvento dell’università neoliberale in Italia dal punto di vista dei movimenti studenteschi che l’hanno combattuta e delle riforme legislative che l’hanno imposta. Ripercorrere storicamente tale questione riteniamo sia ancora oggi utile, perché se è vero che solo gli studenti, in potenza, possono cambiare le sorti aziendali dell’università, è altrettanto vero che rivolgendosi alle generazioni precedenti possono scoprire e, soprattutto, attualizzare i motivi autentici per rimettersi in movimento.


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Come la Pantera anche il movimento studentesco dell’onda è stato animato da una Riforma, si è costituito cioè “contro” le intenzioni politiche del governo nei confronti dell'università. Se gli studenti della Pantera insistettero sulle conseguenze scientifiche e politiche che gli interessi privati e i criteri “economici” di gestione avrebbero generato nell’immediato futuro, gli studenti dell’Onda hanno convissuto con dette conseguenze, hanno cioè capito sin da subito che scuola e università stavano per essere definitivamente sottomesse alle esigenze del mercato del lavoro e che la Riforma Gelmini stesse per istituzionalizzare una nuova condizione di subordine, per la quale lo studente veniva di fatto assimilato a un lavoratore cognitivo precario. «Se ci bloccano il futuro noi blocchiamo la città», uno degli slogan più urlati nelle manifestazioni del 2008, è indicativo di quanto quei giovani avessero chiaro che le trasformazioni universitarie stavano costituendo in Italia ciò che oggi definiamo università neoliberale. Basterebbe leggere i loro documenti per capire che seppero intuire lucidamente ciò che divenne evidente e dibattuto nel nostro ultimo decennio: tra l’altro: che dietro l’ideologia del merito (e tramite la sua valutazione) la nuova università nascondesse una sorta di dipendenza dal mercato della forza lavoro e si prestasse cosi a formare personale all’occorrenza docile, flessibile e precario. I più sensibili a queste tematiche, inoltre, che seguirono ed analizzarono da vicino l’intero decennio di Riforme, già agli inizi del 2000 dichiaravano sepolta la distinzione tra formazione e lavoro e definivano gli studenti, pertanto, come dei lavoratori precari effettivi:

«sul lavoro non ci sarà più quella distinzione tra momento formativo e momento performativo, tra l’imparare e il fare, ma il tutto viaggerà indissolubile nello stesso processo (…) se la base della definizione improduttiva della formazione risiede nella distinzione di tale fase dall’ingresso nel mondo del lavoro come continuare a definire improduttiva la formazione quando per lavorare e nel lavorare bisogna apprendere continuamente? Come continuare a definire improduttivo l’apprendimento e la formazione quando questi processi avvengono come relazioni del lavoro vivo dentro l’attività produttiva, feconda di pluslavoro e plusvalore? L’inestricabilità del lavoro formativo da quello performativo rende allora obsoleta l’idea che la formazione e l’apprendimento siano da ascrivere alla categoria del lavoro improduttivo, e apre alla concezione dell’apprendimento come lavoro vivo dentro l’economia dei saperi, e la forma con cui questo lavoro vivo si presenta come quella della relazione, adeguata, propria e specifica della cooperazione sociale messa al lavoro (…) Al divenire azienda dell’università fa da contraltare questo divenire università dell’azienda, questo incorporare la formazione direttamente all’interno dei processi produttivi, che pone nuovi terreni di sfida per l’affermazione dei nuovi diritti e desideri delle soggettività che attraversano, nello stesso movimento, precarizzazione e immaterializzazione, flessibilità e formazione, temporaneità e intellettualizzazione dei processi lavorativi» [1].

L’onda anomala prende il nome dagli tsunami che in quel periodo hanno sconquassato il globo. Nel mese di ottobre del 2010 avviene il battesimo di fuoco. Il 7 e 8 viene occupato il rettorato di Pisa, il 13 quello di Milano, il 14 c’è un corteo interno alla Sapienza di Roma, che termina però fuori dall’università con l’occupazione dei binari della Stazione Termini. Il 15 viene occupata la Facoltà di Lettere a Bologna, il 16 è il giorno di Lettere a Roma, il 17 gli studenti prendono la parola al congresso della Fiom/CGIL. Il 21 è il turno di Fisica, Chimica e Scienze Politiche a Roma, Lettere a Firenze e Palazzo Nuovo a Torino. E così via, giorno dopo giorno altre università hanno occupato le sedi e bloccato le lezioni per contrastare una Riforma sciagurata, che violentemente è intervenuta nelle loro vite, ribattezzandole al credo del Capitale Umano [2]. Dopo le vigliacche aggressioni fasciste al corteo della scuola secondaria il 28 ottobre a Piazza Navona la Riforma Gelmini diventa legge. Il 30 è indetto lo sciopero generale della scuola e sfilano trecentomila studenti a Roma, più di un milione in tutta Italia. Il 31 un portavoce degli studenti interviene - fragorosamente applaudito - all’assemblea nazionale della FIOM, parlando di un “noi”, di una nuova alleanza tra studenti e operai nel “post industriale”:

«un noi che non è mai rimasto chiuso nella piccola dimensione corporativa degli studenti, ma è sempre stato un noi aperto ai lavoratori dell’università , ai precari. Un noi che si rivolge direttamente anche ai metalmeccanici cosi come a tutti i lavoratori dipendenti di questo paese, un noi, di classe insomma, che urla l’indignazione di tutti i deboli e i subordinati di questo paese, decisi a non pagare più le politiche dei sacrifici voluti dai governi di destra e di sinistra negli ultimi anni (…) Noi crediamo che sia necessario uno Sciopero generale che blocchi tutta la produzione di questo paese (…) Queste leggi che decretano la dismissione definitiva del sistema di formazione pubblico di questo paese, devono essere ritirate subito, perché un paese senza scuola pubblica è un paese incivile, un paese senza sistema pubblico di formazione è destinato alla barbarie» [3].

Nel mese di novembre la lotta continua, il 14 duecentomila studenti assediano Piazza Montecitorio, sede del parlamento, e il 15, all’Assemblea generale della Sapienza, si contano più di 200 interventi. In questa sede il movimento si spacca, come già vent’anni prima la Pantera, su due posizioni alternative, intorno al tema della rappresentanza: da un lato, ci fu chi sostenne che la “durata” del movimento potesse darsi tramite una struttura nazionale di rappresentanza; al lato opposto, chi sostenne l’impossibilità di “rappresentare” quel movimento a fronte della ricerca di nuove forme di lotta politica studentesca adeguate al passaggio capitalistico in corso, detto altrimenti, adeguate alle nuove funzioni economiche che l’università di apprestava a svolgere una volta che le trasformazioni indotte fossero divenute legge.

Così questo straordinario movimento si disperde in pochi mesi, perché non è riuscito a trovare forme organizzative nella durata; nonostante avesse precisamente inquadrato, come già a suo tempo la Pantera, le tendenze universitarie in corso e alcune questioni strategiche per i movimenti a venire (nessi sapere/potere, modalità di lotta, eccetera). Quella del 2008 è stata un’Onda che si è consumata velocemente ma che ha avuto l’intelligenza e il coraggio di opporsi al definitivo sgretolamento dell’università in agenzia di formazione qualificata, nella quale il ruolo dello studente è stato assimilato a quello del lavoratore competente e il sapere è stato frammentato in mille rivoli e discipline di cui spesso sfugge il senso stesso della loro esistenza e utilità. Vista alla distanza, possiamo dire che quello dell’Onda è stato un movimento che ha avuto qualche amico, tanti simpatizzanti ma nessun alleato, che è stato lasciato solo dalle forze di sinistra che non avevano meglio da suggerire di “entrare” nelle tradizionali organizzazioni partitiche e sindacali, cercando cosi di “assorbire” quanto di innovativo ci fosse in quell’esperienza. I fatti sono noti, nel mese di dicembre l’Onda comincia a perdere la sua energia e si disperde, lasciando l’università tra le rovine che le riforme neoliberali cominciate con Berlinguer e finite con la Gelmini avevano generato. Quanto mai chiare, in tal senso, sono le parole di Davide, uno studente che ha partecipato alle mobilitazioni di quegli anni e che resta spiazzato nel vedere quanto siano cambiati, poco tempo dopo le occupazioni, i luoghi universitari e le relazioni che in essi venivano intessute:

«Dall’essere luoghi carichi di partecipazione democratica dal basso e conflittualità costituenti, in pochissimi mesi le aule e i corridoi delle università del paese si sono taciuti, e da quel momento fino ad oggi solo in rari casi le soggettività accademiche hanno avuto la capacità di prendere parola pubblicamente per condividere delle riflessioni su sé stesse» [4].

Prendere la parola, ripartire da se stesse, porre domande e cercare le risposte insieme, fare scienza. Da qui tutto comincia, da qui bisogna ripartire, per un nuovo movimento studentesco contro l’università neoliberale.



Note [1] A. Conti, “Da un mondo all’altro. Il divenire azienda dell’università e il divenire università dell’azienda”, in Posse. Il lavoro di Genova, Manifestolibri, Roma 2001. [2] Sull’identificazione degli studenti come capitale umano e la dimensione “religiosa” di quest'ultimo vedi le riflessioni di Roberto Ciccarelli, Il Capitale Disumano, la vita in alternanza scuola lavoro, Manifestolibri, Roma 2018. [3] “Intervento dell’Onda all’assemblea nazionale delegati Fiom”, in L’onda anomala. Alla ricerca dell’autopolitica, Edizioni Alegre, Roma 2008 (p. 130 - 132). [4] Davide Filippi, Vita Curriculi. Ricercatori precari, università neoliberale e la rincorsa al CV, tesi di dottorato in sociologia, dipartimento di scienza della formazione, università degli studi di Genova.

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