In questo articolo Enzo Scandurra sviluppa una lettura critica del programma di riconversione ecologica del ministro Cingolani, mettendo in evidenza come le sue proposte politiche si inseriscano all'interno di una cornice ideologica tecnocratica che ha progressivanete impoverito la cultura democratica e il sistema educativo (scolastico e universitario). Lo scenario a cui si va incontro, se si continua a percorerre questa strada, che non fa che piegarsi ai dettami del modo di produzione capitalistico e agli interessi dell'estamblishment, è quello di un sicuro disastro ecologico.
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Il neo ministro Cingolani non fa che sorprenderci con le sue bislacche esternazioni pubbliche, o addirittura stupirci con effetti speciali quando affronta il tema della riconversione ecologica. L’ultima esternazione riguarda lo studio, nelle scuole, delle guerre puniche, a suo giudizio troppe volte ripetute nel corso degli anni. A che serve, in epoca come la nostra, studiare così tanto la Storia e mettere in secondo ordine la conoscenza della tecnologia e dei suoi miracolosi risultati? Questa in sintesi, l’ultima di una lunga serie di «battute» del ministro cui è stato affidato il compito di affrontare la questione dei cambiamenti climatici. Da «buon» tecnologo ed esperto di formazione scolastica afferma che bisognerebbe mettere mano ai programmi scolastici e universitari per rendere minimi i contenuti umanistici a favore di quelli tecnologici, tendenza quest’ultima, già affermatasi da diversi anni, considerati i sempre più scarsi finanziamenti alle materie umanistiche.
Qualche decennio fa alcuni docenti italiani ancora si ostinavano a pensare che compito della scuola e l’università fosse quello di produrre una conoscenza critica, di formare cittadini in grado di farsi una loro autonoma opinione sui fatti del Paese. Poi passò la linea che compito dell’istruzione sarebbe invece quello di creare persone adatte al Mercato (da cui quella famigerata riforma del 3+2 di Luigi Berlinguer coronata da un insuccesso troppo poco dibattuto). In pochi anni questa visione si è affermata incontrastata su tutti i fronti come una specie di epidemia a tal punto che qualsiasi altra visione è oggi considerata velleitaria, inutile, antistorica. Il Cingolani-pensiero non fa che ribadire questo cambio di paradigma e confermare il disastro democratico ed educativo certificato da autorevoli agenzie che si occupano della scuola e dell’università.
Cingolani afferma, in modi apparentemente persuasivi, che passare dai fossili alle energie rinnovabili costerebbe «bagni di sangue» e, dunque, tanto vale favorire alcune tecnologie che mitigherebbero l’emissione della CO2 lentamente. Peccato che il tempo a disposizione per evitare la catastrofe climatica non sia lui a deciderlo. Da qui discendono, per esempio, le sue conclusioni sull’uso dell’energia nucleare tramite piccoli reattori e il seppellimento dell’anidride carbonica prodotta dalle industrie mediante la sua cattura e il pompaggio sotto la crosta terrestre. Questo in sintesi il passaggio «morbido» della riconversione ecologica.
Naturalmente Cingolani non si fa scrupolo nel deridere le posizioni di Greta Thunberg e dei movimenti ambientalisti chiedendo loro cosa proporrebbero, come fosse compito dei ragazzi e non del governo, definire proposte precise e realizzabili in tempi rapidi. Il ministro ostenta, e si vanta, di avere un atteggiamento «realista» rispetto alle «utopie» avanzate da chi lotta per una svolta realmente ecologica sul piano economico, produttivo, sociale e perfino personale. Così realiste sono le sue proposte che incontrano il favore di compagnie come Oil&Gas, Eni, Enel e altre ancora decise a produrre energia in quantità illimitata tramite l’uso dei fossili: petrolio, gas e carbone, alla base del sistema energetico che ha prodotto la Rivoluzione industriale.
Ma al dinamico ministro non basta farsi beffa dei movimenti in difesa del clima; neppure basta far coincidere la propria visione ecologista con quella delle grandi compagnie produttrici di energia basata sui fossili. Pretende di inserire le proprie soluzioni all’interno di una cornice ideologia tecnocratica che ha per obiettivo finale anche la riproposizione dei programmi scolastici finalizzati alla sua visione. Naturalmente l’astuto ministro lo fa in nome del Mercato e di una concezione del tutto personale di una presunta modernità.
I mass-media e i talk show sono dalla sua parte. Certo è facile, afferma il ministro, parlare di annunciati disastri dovuti al cambiamento climatico, più difficile è contestare i suoi presunti scenari di “bagni di sangue” qualora si imboccasse la strada indicata dai movimenti ambientalisti. Dunque le sue soluzioni tecnologiche sarebbero le sole realisticamente praticabili, così come quando la Thatcher affermava che non c’è altra alternativa a questo modello di produzione di vita su questo pianeta.
Di realistico c’è che la strada intrapresa ci sta portando verso un sicuro disastro ecologico. Per la prima volta gli ecosistemi di supporto alla vita sono gravemente minacciati e danneggiati, la biodiversità del pianeta si impoverisce. La stessa «sindemia» che colpisce, ormai da anni, la specie umana è una prova di come questo modello accelerato di produzione (disboscamenti, allevamenti intensivi, monocolture) provochi inaspettati feed-back irreversibili tanto da far pensare, per la prima volta nella storia, che è in gioco la stessa sopravvivenza della specie umana. «Bagni di sangue» ci aspettano realmente se la transizione ecologica non si realizza nel più breve tempo possibile. E ormai gli obiettivi di Parigi di contenimento dell’aumento di temperatura sono stati definitivamente trascurati.
Gli scenari presenti e futuri sono già tracciati: incendi di intere regioni e foreste, uragani, alluvioni e siccità sempre più frequenti; desertificazione e sterilità dei suoli; crisi idriche; scomparsa sempre più rapida di ghiacciai e calotte polari con conseguente aumento del livello dei mari, riduzione insostenibile della biodiversità e con essa anche dei rendimenti agricoli. Tutto questo per il fantasioso ministro non sarebbe «realistico» e dunque sarebbe meglio andare coi piedi di piombo con la transizione e, soprattutto, non pestare i piedi alle grandi compagnie che usano i fossili come base della produzione di energia.
Passino pure le sue sciocchezze sulla guerre puniche e l’insegnamento della Storia, delle quali non si può dire certo esperto, ma il ministro della finzione ecologica da quando è in carica (fortemente voluto da Beppe Grillo) non fa che sparlare di proposte e soluzioni che poco hanno a che vedere con una vera transizione ecologica: dagli inceneritori, al «nucleare ragionevole» (ignorando che ci sono stati ben due referendum che lo hanno bocciato), alla fusione nucleare, alla cattura e sepoltura sotto la crosta terrestre della CO2 prodotta (così come si rischia avvenga nello stabilimento di Ravenna), alla produzione di idrogeno blu (sempre utilizzando i fossili), alle auto elettriche per la cui produzione di batterie si rischia di realizzare altri disastri territoriali (l’estrazione di metalli rari nell’Africa o nei bassi fondali degli oceani), alle piattaforme di prelievo dai fondali marini di altri fossili in perfetta continuità col passato.
Indifferente a criticare l’attuale modello di sviluppo, egli bada piuttosto a non toccare i privilegi dei ricchi (auto di lusso, yacht) e dell’intero establishment. Il vero «bagno di sangue» paventato dal ministro avverrà prima di tutto tra i poveri se si continua ad affidare a persone come lui la questione urgente della riconversione ecologica.
Immagine: Cristopher Wood, Radiographies
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Enzo Scandurra è urbanista, saggista e scrittore. Ha insegnato per oltre quarant’anni Sviluppo sostenibile per l’ambiente e il territorio. Tra i suoi libri: Un paese ci vuole (2007), Ricominciamo dalle periferie (2009), Vite periferiche (2012), Fuori squadra (2017). Per DeriveApprodi Splendori e miserie dell’urbanistica (con I. Agostini, 2018).
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