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La svolta contadina



La svolta contadina
Immagine: Ravi Agarwal, Alien Waters, serie fotografica, 2004-2006. Courtesy l'artista

Nel viaggio storico attraverso le vicende che hanno modellato la Food Governance sul finire del XX secolo, Evelyn Leveghi invita ora a soffermarsi sull’anno 1993, seconda tappa del percorso qui proposto.

 

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[...] we also call upon our governments and the multilateral organisations to be responsible and to establish a new policy that effectively resolves this reality that is about to explode[1]

 

È con questa esortazione che il 16 maggio 1993 una nutrita compagine di rappresentanti di organizzazioni contadine, provenienti da America, Europa, Africa ed Asia, concluse il documento di posizionamento della nuova coalizione contadina che venne a formarsi alla conferenza di Mons, in Belgio. In continuità con le determinazioni condivise nell’incontro di Managua[2], nell’aprile dell’anno precedente, si lavorò per concretizzare gli intenti comuni in un piano d’azione internazionale, al fine di trasformare il modello produttivo agricolo attraverso politiche volte alla sostenibilità. La conferenza del 1993 segnò un ulteriore cambio di passo: contadini vessati dalle insostenibili condizioni di vita e lavoro, giunsero da tutto il mondo, per coordinarsi e agire direttamente sul piano politico, facendo sentire la propria voce. Cooperarono per rafforzare la coesione tra i gruppi mobilitati di uomini e donne impegnati nell’agricoltura di piccola scala[3] e al contempo si adoperarono per redigere una serie di linee guida per la definizione di politiche alternative, di contrasto a quelle neoliberiste in essere. Per comprendere il clima in cui sì forgiò questa inedita forma di agentività contadina a scala transnazionale – che condusse alla nascita del movimento della Via Campesina – è importante chiarire i tratti del periodo considerato, in particolar modo le congiunture socio-politiche e i nessi con alcuni eventi coevi.

 

Questa realtà che sta per esplodere

La carica enfatica dell’asserzione non risulta affatto esagerata, bensì denuncia il livello allarmante della situazione, divenuto più palese all’inizio degli anni Novanta. Mentre una crisi multidimensionale si estendeva a tutto il globo, il mondo rurale risultava sempre più oppresso, materialmente e moralmente. Nonostante gli importanti volumi di surplus[4], la popolazione agricola mondiale era schiacciata nella morsa della povertà e della malnutrizione cronica, particolarmente acuta nei «Paesi in via di sviluppo»[5]. La condizione delle aree rurali era peggiorata anche in conseguenza dell'intensificazione degli esodi di massa dalle campagne che, a loro volta, contribuirono ad accentuare i processi di desertificazione[6], urbanizzazione e disoccupazione.

Alcune fonti storiche, coeve alla conferenza belga, comprovano e sostanziano il quadro appena tratteggiato e nella fattispecie mi riferisco a tre resoconti elaborati alla conferenza FAO (27ma sessione), tenutasi a Roma tra il 6 e il 24 novembre 1993: The State of Food and Agriculture 1993 (SOFA), il Food Security and Nutrition Status report e l’analisi dello studio globale Agriculture: Towards 2010.

Nel primo documento è presentato lo stato dell’arte dell’alimentazione e dell’agricoltura mondiale, regionale e nazionale. Le questioni affrontate furono la riduzione della produzione agricola globale, la disomogeneità del progresso tra Paesi e regioni, l’influenza negativa esercitata da conflitti e incertezze politiche e, soprattutto, il deterioramento della sicurezza alimentare (segnatamente critica nell’Africa subsahariana e in Europa centro-orientale). Le esigue performance agricole sono analizzate a partire dalle cause, ossia la diminuzione della domanda, il declino dei prezzi, l’accesso limitato al mercato, i sussidi alle esportazioni dei Paesi del Nord mentre nel Sud globale sussisteva un forte divario tra import e export e una pressione al ribasso dei prezzi dei prodotti d’esportazione. Il tema del debito dei «Paesi in via di sviluppo» con l’estero fu considerato un freno allo sviluppo ma continua tutt’oggi a gravare. Degna di nota è anche l’istanza presentata da vari delegati nazionali a non usare il cibo come strumento di pressione politica[7].

Vi sono due ulteriori temi di interesse nel report: le distorsioni nei mercati internazionali sono trattate come una necessità, parte integrante della graduale liberalizzazione del mercato[8] e le biotecnologie sono viste come una strategia salvifica, «promessa dei progressi» per sancire una soluzione definitiva alla presunta scarsità[9] delle forniture alimentari e della sicurezza alimentare, riducendo al contempo l’uso dei fattori produttivi e l’inquinamento ambientale[10]. Ad integrazione del quadro sopra descritto, il Food Security and Nutrition Status report affronta il problema della sottonutrizione cronica, registrando un ulteriore peggioramento, in particolar modo in Africa, America latina, Caraibi e Vicino Oriente, a fronte di un progresso disomogeneo nell’arco degli ultimi vent’anni (1973-1993).[11]

Infine, nel documento di revisione della FAO sullo studio globale denominato Agriculture: Towards 2010 emergono ulteriori elementi peculiari. L’indagine presenta delle difformità rilevanti: da una parte offre un’attenta disamina delle ingenti pressioni esercitate sulle risorse agricole e ambientali[12], dall’altra manifesta l’interesse al «potenziale agricolo delle risorse terrestri» dei «Paesi in via di sviluppo» in ottica di sfruttamento. Il miglioramento delle prestazioni agricole fu definito «quintessenza delle strategie», poiché si riteneva che fosse risolutivo dei problemi nutrizionali e in linea con la mission della FAO. Anche nei pareri interni alla Conferenza si ritrovano dei contrasti: «Alcune delegazioni hanno ritenuto i risultati in parte ancora troppo ottimistici e alcune [altre] delegazioni hanno proposto di studiare scenari alternativi».

 

For a frank assessment of successes and failures[13]

Sul finire del 1993 il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Boutros Boutros-Ghali[14], pronunciò un discorso molto schietto alla conferenza della Banca Mondiale dedicata alla fame globale[15]. Dichiarò che la fame è l’effetto del trittico causale crisi-povertà-insicurezza alimentare[16] ed ammise che essa ha una natura politica e sociale, non meramente tecnica: «Above all, it is a problem of political will»[17]. Il problema si fonda su condizioni di iniquità e limitazione di elementi correggibili: accesso, distribuzione, diritti e volontà politica. Boutros-Ghali affermò: «Abbiamo la comprensione, i mezzi e gli strumenti per eliminare la vergogna della fame dal mondo. Con la volontà politica possiamo – insieme – farlo». Parole e intenti che sono rimasti prive di una restituzione tangibile, assieme a molte altre magniloquenti orazioni, in quanto la vexata quaestio della fame persiste ancora a livelli esorbitanti, come conferma il Global Hunger Index 2023.[18]

L’apporto più significativo al summit della Banca Mondiale venne dato da Jimmy Carter, ex presidente degli Stati Uniti (dal 1977 al 1981). Egli asserì anzitutto che era urgente e necessario sviluppare una collaborazione tra le ONG e le organizzazioni internazionali[19] e tenere delle riunioni regolari, «inclusive e oneste», per la valutazione dei successi e dei fallimenti delle strategie attuate. Passò in rassegna una lunga serie di «problemi generici» che stavano fungendo da vincolo: la riluttanza al cambiamento politico delle agenzie («even in the face of failure»); l’inefficacia, la dispersione e la frammentazione dei programmi di assistenza per i Paesi in via di sviluppo; l’inadeguatezza nella relazione tra ricerca e bisogni; l’approccio scarsamente inclusivo verso attori non governativi; la mancanza di riconoscimento che le malattie sono la causa principale della malnutrizione; il protezionismo dei Paesi a reddito medio-alto; la deforestazione nei Paesi del Sud globale[20]; la crescita della popolazione; una comunicazione pubblica fuorviante[21].

La conferenza era stata preceduta da un workshop partecipato, preparatorio all’evento, in cui presero parte rappresentanti di ONG e ricercatori, oltre a membri dello staff di agenzie bi- e multilaterali quali IFAD, UNDP, WFP.[22] Questa apertura risulta in linea con l’approccio del «Vertice della terra» di Rio del ‘92 ma manifesta anche la progressiva istituzionalizzazione delle grandi ONG[23] e l’allontanamento dalle istanze dei contadini.

 

Una nuova politica che risolva efficacemente

Le condizioni insostenibili sopracitate condussero ad una risposta risoluta e programmatica del mondo contadino. La coalizione protagonista ebbe una crescita straordinaria: dalle 8 organizzazioni[24] presenti a Managua[25], provenienti prevalentemente dall’America centrale, si passò a 55 organizzazioni, provenienti da (quasi)[26] tutto il mondo, presenti a Mons. A distanza di un anno essi vollero riconfermare lo spirito e gli intenti condivisi, approfondire i temi discussi e fare delle considerazioni sul percorso partecipativo denominato “Managua process”[27]. L'intento primario del meeting del ‘93 era l’elaborazione di politiche agrarie trasformative che sancissero i diritti alla terra, al cibo e alla vita, in opposizione al modello capitalista, inadeguato ed energivoro.

Come avvenne a Managua, fu redatta una dichiarazione ufficiale ed essa costituisce una fonte storica rilevante: la Mons Declaration. Concretezza, chiarezza e condivisione sono i tratti che definiscono l’orientamento dei firmatari e dal testo emerge una spiccata agentività volta alla definizione di strategie per lo sviluppo rurale, azioni concrete per il raggiungimento degli obiettivi condivisi. Sono molteplici i passaggi significativi ma sono due gli elementi di interesse maggiore: in primo luogo, gli scriventi si definiscono «testimoni di una repressione estesa», mossa contro i leader delle organizzazioni contadine, ambientaliste e delle popolazioni indigene[28], come «soppressione delle culture locali tradizionali». I riferimenti sono agli effetti devastanti della logica della massimizzazione della produzione e della promozione delle esportazioni agricole, proprie del modello neoliberista, alla mancata soddisfazione dei bisogni alimentari di base nei Paesi del “Terzo Mondo” e alle gravi conseguenze generate dall’agricoltura industrializzata intensiva, che «provoca la sparizione dei piccoli e medi produttori [agricoli]».[29]

Non ritengo azzardato considerare anche delle ragioni di carattere biopolitico: i piccoli agricoltori costituivano al contempo una forza lavoro fondamentale nel modello produttivista del terzo regime alimentare,[30] sia un elemento scomodo poiché, quando organizzati in sindacati e organizzazioni, rappresentano una costellazione di unità disallineate rispetto al modello produttivista. Essi sono altresì i testimoni oppressi delle macchinazioni attuate con l’aggiustamento strutturale. Per questi motivi un indebolimento materiale di tali soggetti può essere interpretato come una forma di controllo della forza lavoro[31] e una repressione del dissenso degli stessi in quanto attori sociali mobilitati.

Il secondo punto è il carattere programmatico del documento e della nuova cordata di organizzazioni contadine. Sin dal principio l’iter avviato a Managua ha avuto come obiettivo la formulazione di opzioni politiche di un programma comune, fondato sui punti di consenso individuati in quel primo congresso. Meno conosciuta ma importante nel processo fu la riunione che si tenne a Guadalajara (Messico) nel gennaio del 1993. In quella sede si confrontarono i leader delle organizzazioni contadine delle Americhe e, per favorire un coordinamento internazionale, furono invitati, come osservatori, anche i rappresentanti di organizzazioni da tutto il mondo. Nel lasso temporale tra Managua e Mons le traiettorie politiche furono vagliate nell’ottica di poter generare degli effetti positivi per la sicurezza alimentare, la conservazione ecologica, l’occupazione lavorativa, la crescita economica e le esportazioni.

 

Fisionomia di una politica agricola sostenibile

Nel concreto la Dichiarazione di Mons presenta le condizioni per realizzare «uno sviluppo agricolo che sia ecologicamente sostenibile, socialmente giusto e che permetta ai singoli produttori un accesso reale al benessere generato quotidianamente [dagli stessi]»[32]. Primo: il diritto ad una campagna vivibile per i piccoli agricoltori, in ciò si comprende anche la facoltà di costituirsi in organizzazioni autonome e il riconoscimento della valenza sociale nel favorire lo sviluppo rurale (ma non solo). Secondo: il diritto a un’agricoltura diversificata, che garantisca la fornitura di cibo sano e di alta qualità per tutte le persone, nel rispetto dell’ambiente, per una società bilanciata e un accesso effettivo alla terra. Terzo: il diritto di ogni Paese a definire le proprie politiche agricole, in concertazione con le organizzazioni contadine e indigene, tramite una reale partecipazione.[33]

 

The Peasant Road

Tale denominazione si riferiva all’iniziativa politica autonoma dei contadini, formulata a partire dalle realtà di ogni organizzazione partecipante e dalla situazione politica, economica, sociale e culturale che ognuna di esse stava affrontando. I partecipanti proposero l’integrazione urgente delle organizzazioni contadine e indigene nello sforzo politico comune. A Mons si stabilirono gli assetti organizzativi per assicurare l’adesione agli obiettivi e per tal motivo venne eletta una Commissione di coordinamento formata dal Movimento dos trabalhadores Sem Terra (MST, Brasile) per l’America latina, ASOCODE per l’America centrale, l’area caraibica e il Nord America, Farmers’ Solidarity (Polonia) per l’Europa dell’est, KMP (Filippine) per l’Asia, CPE per l’Europa occidentale e con il ruolo di coordinatore generale. Un rappresentante della fondazione Paulo Freire svolse il compito del segretariato tecnico. Si sancì l’intento di supportare e promuovere nuovi sforzi nell’organizzazione e integrazione dei sindacati nei continenti africano e asiatico, scarsamente presenti. Lo scopo della commissione era rafforzare i processi di coordinamento regionali, avviati dalle organizzazioni e dai movimenti attraverso delle riunioni, e stimolare processi simili, promuovendoli ove assenti. Per formulare delle strategie di sviluppo rurale a Mons si definirono obiettivi e misure per realizzare un’agricoltura veramente sostenibile e si decise di rafforzare gli impegni per condividere proposte, saperi, dichiarazioni ed esperienze comuni. I firmatari promisero di agire su tre fronti: continuare a formulare proposte, integrare capacità di ricerca per supportare i diversi processi partecipativi all’interno delle organizzazioni coinvolte e proseguire con l’organizzazione di incontri e scambi tra le organizzazioni ed ampliare il range di mezzi di comunicazione.

Per raggiungere gli obiettivi e assicurare un impatto delle proposte successive attuarono tre macro-azioni: stabilirono meccanismi di azione e negoziazione con gli organi che disegnano le politiche agricole, ambientali e affini; concordarono che la pressione sui governi era fondamentale per ottenere una democratizzazione economica e politica e la partecipazione delle organizzazioni contadine nell’elaborazione e gestione dei programmi di sviluppo; l’implementazione di azioni solidali per rispondere alla difficoltà affrontate dalle organizzazioni.[34]

Oltre alla call-to-action diretta i governi e alle organizzazioni multilaterali, invitati a prendersi le proprie responsabilità e a stabilire una nuova politica risolutiva, la dichiarazione invitò le organizzazioni sociali a «tener conto delle proposte per la difesa del mondo rurale e agire in favore delle stesse».

Gli intenti, approcci e accordi sopradescritti tracciano «un modo contadino» di affrontare le criticità del mondo globalizzato, e da tale processo nacque lo straordinario movimento transnazionale della Via Campesina (LVC), «la voce internazionale dei contadini». A distanza di 31 anni, il movimento riflette ancora quello spirito e progettualità che si respirava a Mons, ove si forgiò il nucleo fondativo della più grande coesione contadina della storia. La Via Campesina ha sancito una vera e propria svolta contadina, poiché i piccoli agricoltori si sono resi pionieri e protagonisti di un cambiamento necessario ed epocale, ponendosi in prima linea nella definizione di politiche giuste. Il movimento testimonia come l’internazionalizzazione sia stata fondamentale ed è rappresentativo di una esigenza e tendenza assunta dai movimenti contadini in seguito alla liberalizzazione economica[35]. Rappresenta anche il più coerente e rilevante caso studio di Transnational Agrarian Movement (TAM) e il potenziale trasformativo generato da uno sforzo bidirezionale: le relazioni di solidarietà orizzontali e l’integrazione verticale nei sistemi decisionali.[36]

 

La politica rinasce lì dove riemerge un «popolo» che sia disposto a battersi nelle forme della democrazia e della non violenza per una vita comune degna. Questo comporta l’impegno in quella che a tutti gli effetti è una lotta per l’indipendenza. [...] La lotta per l’indipendenza non è un generico progressismo, è sollevazione nel senso proprio del termine, azione non violenta che solleva le persone dagli effetti oppressivi del sistema e inaugura processi di liberazione. (Roberto Mancini, 2016)

 

 Note

[1] Vía Campesina (1993). Mons Declaration, reprinted in Proceedings of the II International Conference of the Vía Campesina [1996], p.72. Consultabile online.

[2] Si veda l’articolo precedente: Fratture e alleanze nella gestione dell’oikos, consultabile qui.

[3] Il termine inglese impiegato solitamente è «small-scale farming».

[4] La compresenza di eccedenze di produzione agricola e un deficit alimentare per le fasce di popolazione a basso reddito, particolarmente per i lavoratori agricoli, costituisce uno dei maggiori paradossi del XX e del XXI secolo.

[5] Espressione comunemente usata per definire quei Paesi che sono caratterizzati da basso reddito e basso tenore di vita, diffusa povertà e una limitata attività industriale. Talvolta si fa riferimento anche ad un indice aggiuntivo, ovvero lo Human Development Index (HDI), indice di sviluppo umano. La formula «in via di sviluppo» sta ad indicare la presenza di un processo in corso che tenderebbe allo sviluppo. La definizione ha sostituito quella di «Terzo Mondo», ma è oggetto di critica perché insinua l’esistenza di un certo grado di inferiorità dei Paesi classificati come tali, rispetto ai Paesi cosiddetti «sviluppati» o «industrializzati» o ancora «ricchi». Inoltre, essendo Paesi soggetti ad un neocolonialismo commerciale (centrali nei flussi di import-export, cruciali per il Regime alimentare delle corporations) il processo di sviluppo è limitato allo sviluppo mercantile ma non ad una indipendenza economica. L’attuale sistema agroalimentare mondiale non consente un reale e autonomo sviluppo degli stessi. La scelta di porre tra virgolette tale espressione è dovuta dunque ad una valutazione critica di tale formulazione, che, seppur sia stata in gran parte soppiantata da «Sud globale» («Global South»), rimane ancora molto in uso.

[6] Il 1993 fu anche l’anno in cui si svolse la prima sessione dell’INCD, la convenzione internazionale per combattere la desertificazione (International Convention to Combat Desertification). L’incontro si tenne a Nairobi (Kenya), dal 24 maggio al 3 giugno.

[7] Il testo originale recita così: «Many delegates called for further debt relief and restructuring and for not using food as a tool for political pressure», Food and Agriculture Organization (FAO), 1993, The State of Food and Agriculture 1993 (SOFA), comma 50.

[8] Il documento tratta anche la relazione tra la sicurezza alimentare e la strategia della liberalizzazione economica sul breve-medio-lungo termine.

[9] La scarsità alimentare è spesso impiegata come leva comunicativa all’interno di discorsi carichi di retorica e paternalismo. Essa rappresenta una delle narrative che sono state maggiormente diffuse e che hanno avuto presa nell’opinione pubblica.

[10] Food and Agriculture Organization (FAO), 1993, The State of Food and Agriculture 1993 (SOFA), comma 50.

[11] A fronte di una diminuzione del numero di persone colpite sul totale, si è registrato per contro un aumento della gravità del fenomeno, soprattutto nei territori del Sud globale.

[12] Nel comma 79 si pone l’attenzione su una serie di trend in aumento che destavano forti preoccupazioni: uso intensivo delle risorse agricole, sfruttamento delle foreste, vincoli alla pesca, limitazione allo sviluppo dei Paesi del Sud globale (FAO 1993).

[13] Shaw, D. J. (2007). World food security: a history since 1945, Palgrave Macmillan, p.319.

[14] Fu in carica come Presidente USA dal 1992 al 1996.

[15] La World Bank Conference «Overcoming global hunger» si svolse presso l’American University di Washington DC, il 30 novembre e il 1 dicembre 1993.

[16] Ne parlò in termini di sbilanciamento tra la crescita demografica e l’offerta alimentare, il che rimanda alle teorie malthusiane di rapporto tra popolazione e risorse.

[17] Serageldin and Landell-Mills, Op.cit., p. 81.

[18] Secondo i dati del Global Hunger Index 2023 la fame nel mondo «rimane troppo alta e i progressi nella riduzione della fame sono in gran parte bloccati. Il punteggio globale del GHI per il 2023 è di 18,3, considerato moderato [...]. Il diritto a un'alimentazione adeguata viene violato ogni giorno per quasi tre quarti di miliardo di persone» (von Grebmer et al., 2023: 7).

[19] Serageldin and Landell-Mills, Op.cit., pp. 103–6.

[20] La deforestazione stava rapidamente diventando il problema più critico in molte aree colpite dalla povertà (Shaw, 2007: 319).

[21] Jimmy Carter affermò che «l'interesse pubblico per lo sradicamento della fame era scemato perché c'era cibo a sufficienza, ma l'attenzione era inadeguata al problema critico della distribuzione disomogenea sia a livello internazionale che all'interno dei Paesi in via di sviluppo».

[22] Nel dettaglio si tratta del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (IFAD), il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP), il Programma alimentare globale delle Nazioni Unite (WFP),

[23] Per approfondire si rimanda a Borras (2008) e Borras, Edelman & Kay (2008) e al discorso di Carolyn Long di InterAction pronunciato alla World Bank Conference «Overcoming global hunger», citato Shaw (2007: 320).

[24] Il primo nucleo dell’alleanza contadina era formato da UNAG (sindacato nazionale degli agricoltori e degli allevatori nicaraguensi), ASOCODE (sindacato regionale per la cooperazione e lo sviluppo di piccoli e medi produttori agricoli dell’America centrale), WINFA (sindacato nazionale delle isole Windward), CPE (coordinamento degli agricoltori europei), COAG (Coordinamento delle organizzazioni degli agricoltori e dei contadini spagnoli).

[25] Organizzata inizialmente in qualità di secondo congresso del sindacato nazionale degli agricoltori e degli allevatori del Nicaragua (UNAG), essa assunse in seguito la denominazione convenzionale di «Managua conference».

[26] Del continente africano era presente solo un’organizzazione dello Zimbabwe (ZFU), dall’Asia solo un sindacato delle Filippine (KMP) e una federazione indiana (IFTP), mentre fu totalmente scoperta l’Oceania.

[27] Il «Managua process» è un percorso di cooperazione e co-progettazione intrapreso a partire dalle intense attività di follow-up attivate subito dopo l’omonima conferenza. L’iter aveva l’obiettivo di aprire un processo concertato per capire come portare avanti i temi discussi al congresso e redarre un documento di discussione. Ciò venne realizzato anche grazie al coordinamento della fondazione olandede Paulo Freire Stichting (PFS), mettendo a terra le idee (e le esigenze) per tradurle in proposte politiche. Queste ultime vennero formulate da una commissione speciale nominata dal Consiglio dei direttori delle organizzazioni degli agricoltori partecipanti alla conferenza.

[28] Vía Campesina, Op. cit., p.71.

[29] Ibid, p. 70.

[30] Per approfondire si consiglia McMichael, P. (2013), Food Regimes and Agrarian Questions, Fernwood Publishing.

[31] Questa affermazione è sostanziata da numerose analisi che affermano che i lavoratori agricoli più indigenti, poveri e malnutriti sono quelli che insorgono meno per rivendicare i propri diritti.

[32] La Via Campesina, Op. cit., p.71. Le proposte ivi formulate sono da intendersi come «risposta alla logica della produzione irrazionale e irresponsabile e alle decisioni politiche che la supportano».

[33] In merito alla partecipazione reale o non, si suggerisce la consultazione della «Ladder of participation», una rappresentazione schematica, con i gradi di coinvolgimento o meno del pubblico. Fu elaborata da Sherry Arnstein nel 1969, in riferimento al tema della partecipazione dei cittadini nel processo di pianificazione urbanistica negli Stati Uniti. Lavorando come assistente speciale dell'assistente segretario presso il Dipartimento della Salute, dell'Istruzione e del Welfare degli Stati Uniti, ebbe modo di sviluppare le intuizioni che hanno portato allo sviluppo del suo documento fondamentale nel campo del processo decisionale partecipativo.

[34] A tal proposito i firmatari confermarono l’interesse a promuovere una campagna mondiale di salvataggio e promozione di gruppi contadini e indigeni.

[35] Per approfondire si rimanda alla definizione di «Peasant Movements» a cura di Debal K. Singharoy presente in The Wiley-Blackwell Encyclopedia of Social and Political Movements (eds D.A. Snow, D. Porta, B. Klandermans and D. McAdam).

[36] Si veda in merito l’articolo apparso su Dialectical Anthropology nel 2008 di Saturnino Borras Jr.


Bibliografia

 Borras, S. Jr. (2008). Revisiting the Agrarian Movement–NGO Solidarity Discourse, «Dialectical Anthropology», 32 (3).

Borras, S.M., and Edelman, M., (2016). Political Dynamics of Transnational Agrarian Movements, Rugby, UK: Practical Action Publishing

Borras, S. Jr., Edelman, M., Kay, C. (2008), Transnational Agrarian Movements: Origins and Politics, Campaigns and Impact, Journal of Agrarian Change, 8: 169-204.

Desmarais, A. A. (2007). La Vía Campesina. Globalization and the Power of Peasants. London: Pluto Press.

Food and Agriculture Organization (FAO), 1993, The State of Food and Agriculture 1993 (SOFA). Consultabile online.

Food and Agriculture Organization (FAO), 1993, Food Security and Nutrition Status report. Consultabile online

Food and Agriculture Organization (FAO), 1993, Agriculture: Towards 2010. Consultabile online.

Mancini, R. (2016). La rivolta delle risorse umane. Appunti di viaggio verso un’altra società, Rimini, Pazzini editore.

McMichael, P. (2013), Food Regimes and Agrarian Questions, Fernwood Publishing.

 Serageldin, I., Landell-Mills, P. (1994). Overcoming global hunger: proceedings of a Conference on Actions to Reduce Hunger Worldwide hosted by the World Bank and held at the American University, Washington, D.C. November 30-December 1, 1993, «Environmentally Sustainable Development Proceeding Series», n.3, World Bank.

 Shaw, D. J. (2007). World food security: a history since 1945, Palgrave Macmillan.

 SinghaRoy, D.K. (2022). Peasant Movements. In The Wiley-Blackwell Encyclopedia of Social and Political Movements (eds D.A. Snow, D. Porta, B. Klandermans and D. McAdam).

 Vía Campesina, 1993, Mons Declaration, reprinted in Proceedings of the II International Conference of the Vía Campesina [1996].

Vía Campesina, 1996, Proceedings of the II International Conference of the Vía Campesina, Brussels: NCOS Publications.

von Grebmer et al. (2023). 2023 Global Hunger Index: The Power of Youth in Shaping Food Systems. Bonn: Welthungerhilfe (WHH); Dublin: Concern Worldwide.


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Evelyn Leveghi è dottoranda in Ecogastronomia, scienze e culture del cibo presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e l’Università di Torino. Il suo progetto di ricerca intende esplorare il potenziale dell’agentività dei movimenti sociali rurali nella definizione delle politiche agroalimentari.



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