Genealogia dell’autonomia tra le due sponde dell’Atlantico
Il testo ripercorre la storia militante, le analisi e le inchieste che il gruppo statunitense conosciuto come Johnson-Forest Tendency, guidato da C.L.R. James, Raya Dunayeskaya e Grace Lee Boggs, condusse dentro le lotte e la composizione della classe operaia americana a partire dalla fine degli anni Quaranta del XX secolo. Il recupero di Marx oltre il marxismo, l’affermazione del punto di vista dell’autonomia operaia, lo strumento strategico dell’inchiesta, sono solo alcune delle caratteristiche principali della Tendency che la portarono in stretto contatto sia con l’esperienza francese di «Socialisme ou Barbarie» sia con il futuro operaismo politico italiano. L’autrice dell’articolo è Marianna Sica, di formazione storica, con una particolare attenzione al rapporto tra radicalismo nero e marxismo militante; è una delle animatrici dei Giovani italiani in rete – Svizzera.
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La seconda metà degli anni Trenta del Novecento segna un momento di profonda crisi del marxismo internazionale: i famigerati processi di Mosca, il patto Stalin-Hitler, l’avanzare inevitabile della guerra in Europa, l’invasione sovietica della Polonia e della Finlandia, richiedono, come noto, una presa di posizione chiara rispetto alla questione russa e alla definizione dello stalinismo.
In questa fase l’opposizione di sinistra riunita intorno a Trockij aveva conquistato una notevole influenza negli Stati Uniti. Sotto l’impulso degli eventi che segnarono gli anni Trenta, il Socialist Workers Party (Swp), la principale organizzazione trockjista americana, si ritrovò sin da subito lacerato da conflitti interni che provocarono spaccature tra i suoi ranghi. Fra queste, da una costola del neonato Workers Party nasce la Johnson-Forest Tendency (Jft), dagli speudonomi dei due fondatori C.L.R. James (J.R. Johnson) e Raya Dunayevskaya (Freddie Forest).
Se è vero che lo studio e la riflessione della Tendency, negli anni che vanno dal 1941 al 1947, furono finalizzati a intervenire nel dibattito trockijsta rispetto alla questione russa, necessario era sollecitare un’analisi marxista della storia, della cultura e delle trasformazioni capitalistiche intervenute nella società americana, con il preciso obiettivo di individuare i compiti organizzativi da assumere rispetto alla lotta di classe, nelle forme in cui questa si presentava negli anni a cavallo della Seconda guerra mondiale. Per la Jft, nella valutazione della disponibilità ai processi di trasformazione da parte dei diversi strati del proletariato americano, non contava tanto una formalistica coscienza operaia, quanto la conoscenza e l’esperienza diretta sia dei rapporti sociali che dei comportamenti antagonistici e di classe.
«Un’attenta indagine da parte di osservatori addestrati e l’esperienza nella fabbrica da parte di operai competenti mostrano che le idee politiche degli operai sono una cosa, le risposte profonde al proprio lavoro [...] sono qualcosa d’altro [...] gli stessi operai che esprimono sentimenti conservatori o addirittura reazionari fintanto che sono in discussione politiche generali, riguardo al loro lavoro quotidiano cambieranno immediatamente rotta ed esprimeranno sentimenti con le maggiori implicazioni rivoluzionarie concepibili» [1].
Nel periodo bellico e postbellico, le fabbriche americane furono attraversate da scioperi selvaggi, sitdown, sabotaggi, picchetti mobili, e nuove forme di opposizione e lotta che gli operai stessi avevano elaborato autonomamente, «per prove ed errori», contro il no-strike pledge, cioè l’accordo firmato dai leader sindacali per impedire gli scioperi durante la guerra. Dinanzi al fronte compatto formato da governo, datori di lavoro e sindacati, dunque, gli operai americani organizzarono scioperi improvvisi, illegali e indipendenti che iniziarono ad aumentare nell’estate del 1942, per arrivare nel 1944 al più alto numero mai registrato nella storia americana. Questi misero in luce la forza dell’iniziativa autonoma della classe operaia nella gestione politica delle proprie rivendicazioni, rivelando il rigetto profondo della leadership sindacale e il rigore politico degli operai nel conquistarsi il proprio spazio di lotta all’interno dello sforzo bellico del capitale statunitense.
L’elaborazione e la gestione autonoma delle iniziative da parte degli operai permisero anche lo sviluppo di comportamenti e di una cooperazione sconosciuti prima di allora, così come si iniziarono a sperimentare «forme di vita e rapporti sociali migliori di quanto si fosse mai ottenuto nella società industriale» [2], come spiega James Boggs, anch’egli militante del gruppo, in Pagine dal block-notes di un lavoratore negro, resoconto e analisi dal vivo di queste lotte. La soggettività operaia assumeva così tratti che si contrapponevano alla figura astratta e idealizzata che ne avevano gli intellettuali fuori dalle fabbriche.
Supportati dalla convinzione che l’elaborazione teorica nascesse solo in seno alla prassi politica, e che lì vi facesse ritorno per sostenerne l’efficacia, i membri della Jft assunsero il compito di «documentare, riconoscere e registrare» [3] i comportamenti e le nuove forme di lotta espresse dal proletariato americano in quegli anni. Per la Tendency, se il capitalismo americano rappresentava lo stadio più avanzato, allora l’esperienza politico-organizzativa della classe operaia americana rivestiva un’importanza cruciale a livello internazionale; diventava, quindi, indispensabile che essa fosse al centro degli sforzi conoscitivi.
Alcuni membri del gruppo utilizzarono l’aumento del bisogno di forza lavoro nell’industria durante la guerra per farvi ingresso, stabilendo contatti diretti con gli operai di fabbrica. Martin Glaberman e Philip Singer, ad esempio, si spostarono a Detroit ed entrarono nelle industrie automobilistiche, altri seguirono strade diverse del conflitto che si stavano sviluppando nel paese. C.L.R. James, nel 1941, sarà nel Missouri tra gli organizzatori dello sciopero dei raccoglitori di cotone – fino al 1940 ancora una delle maggiori voci di esportazione degli Stati Uniti. James rimase sei mesi tra i mezzadri del Missouri, vide lo scontro armato tra i mezzadri neri e le forze di polizia come «un punto di riferimento nella storia della lotta di classe […] il mucchio esplosivo più pericoloso che si possa trovare in qualsiasi area regionale degli Stati Uniti» [4].
Il contatto diretto con le lotte confermò ai membri della Jft la forza rivoluzionaria dell’iniziativa autonoma operaia. Rifiutando ogni delega, sindacale e di partito, la classe operaia americana elaborava le proprie forme organizzative che pervadevano la società attraversata da linee non solo di classe ma di genere e di razza, di cui la Tendency seppe intravedere ante litteram l’intersezione, non teorica, ma nella prassi militante delle stesse soggettività in campo:
«Gli scioperi selvaggi contro il no-strike pledge furono una rivolta a livello nazionale della classe operaia dentro e fuori la fabbrica. Fu un tentativo di massa di cambiare la società americana alla radice, attraverso la liberazione dal dominio della produzione capitalistica e la sua sostituzione con una società fondata sulla cooperazione di uomini liberi» [5].
Per seguire maggiormente i conflitti che stavano attraversando la società americana, usciti definitivamente dal Swp, nel ’51 la Tendency spostò la propria sede operativa a Detroit e si costituì come gruppo autonomo con il nome di Correspondence Publishing Committee, dal movimento dei corrispondenti operai nella prima fase della Rivoluzione d’ottobre. Pur rimanendo un gruppo piuttosto minoritario, negli anni si arricchì di membri impegnati nelle lotte operaie, delle donne, dei neri e nei movimenti anticoloniali.
Insieme a C.L.R. James una figura centrale è stata la già citata Dunayevskaya, i cui contributi furono molteplici: la teorizzazione dell’Unione Sovietica come un regime a «capitalismo di Stato»; gli intensi studi sul marxismo, che contribuì a divulgare negli Stati Uniti; le traduzioni di diversi scritti del movimento rivoluzionario russo, fra le più significative quella dei Quaderni filosofici di Lenin. Altra figura di rilievo del gruppo fu Grace Chun Lee, la cui conoscenza della lingua tedesca le permise, tra le altre cose, di tradurre per la prima volta in inglese alcuni saggi dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 di Marx, pubblicati dal gruppo nel ’47. Grace lavorò a stretto contatto con suo marito, James Boggs, militante del gruppo e operaio metalmeccanico presso la Chrysler Corporation di Detroit. Va ovviamente ricordata Selma James, autrice di A Woman’s place (pubblicato nel 1953 dalla Tendency) e che insieme a Filomena Daddario contribuì ad approfondire il dibattito femminista all’interno del gruppo. E poi Martin Glaberman, operaio automobilistico e attivo nelle lotte operaie delle industrie dell’auto a Detroit come organizzatore del United Auto Workers; Phil Singer, anch’egli lavoratore industriale, che scrisse nel 1947 con lo pseudonimo di Paul Romano e il contributo di Grace Lee (pseudonimo Ria Stone) – un opuscolo dal titolo The American Worker.
L’inchiesta della Jft, trait d’union con «Socialisme ou barbarie» e l’operaismo politico italiano
L’esperienza diretta e anche il materiale autobiografico divengono i mezzi privilegiati per entrare nei pensieri, nelle lotte e nel corpo della classe. Si tratta di contributi originali degli operai stessi, redatti con l’aiuto dei militanti, capaci di tematizzare la condizione operaia nei contesti di produzione, assumendo il punto di vista operaio come lente per guardare lo specifico stadio di sviluppo capitalistico e della società da esso plasmata, facendo emergere le contraddizioni che la attraversano.
Fu in questa prospettiva che James stimolò Phil Singer ad affidare alla scrittura i suoi pensieri, le sue frustrazioni, le sue esperienze quotidiane nella produzione di massa.
«Phil Singer, un giovane operaio della General Motors, parlava sempre delle sue frustrazioni come operaio di linea. C.L.R. James ascoltandolo gli propose di tenere un diario delle sue esperienze, successivamente pubblicate in The American Worker» [6].
Scritto nel ’47, è composto di due parti complementari: la prima è scritta da Singer, con lo pseudonimo di Paul Romano, la seconda da Grace Lee, che utilizza lo pseudonimo di Ria Stone. La prima parte, La vita di fabbrica, è un diario dell’esperienza quotidiana di Romano nel «laboratorio di massa» dell’industria americana postbellica; la seconda parte, La ricostruzione della società, è un saggio critico di Grace che contestualizza l’esperienza di Romano. La doppia autorialità e organizzazione del pamphlet riflette l’obiettivo del gruppo: la ricerca sulla soggettività operaia deve preliminarmente porre, su un piano di parità, operaio e intellettuale. Ciò, come ricorda Glaberman, non era mai stato tentato da nessun gruppo marxista. The American Worker rappresentava, tuttavia, anche la prova della separazione esistente tra queste figure e insieme il tentativo di superarla.
I racconti e le espressioni di altri lavoratori, riportati da Romano, rafforzano poi il quadro di
una quotidianità entro la quale si definisce la contraddizione vivente incarnata dall’operaio,
tra consapevolezza e odio verso la propria condizione, costante rifiuto e spinta liberatrice e insolubile necessità materiale. La testimonianza di Romano si sofferma sui cambiamenti della composizione della classe operaia americana, avvenuti, come abbiamo visto, a cavallo della Seconda guerra mondiale. Diverse linee attraversano la classe, modificandone radicalmente il profilo, e generando nuove contraddizioni e divisioni interne: linee di genere, di razza, di generazione, di nazionalità. Romano insiste, in particola modo, sulla soggettività nera, sugli effetti dell’ingresso dei neri nella produzione dopo aver combattuto la guerra, in un contesto imperialista segnato dal colonialismo, dal retaggio della schiavitù, dal razzismo strutturale.
The American Worker rappresentò il primo esperimento condotto dal gruppo di indagine e ricerca sulla soggettività operaia, mettendo in evidenza gli aspetti antagonistici dell’esperienza quotidiana della produzione. Le fabbriche fordiste americane, nel periodo bellico e postbellico, furono infatti – come si è cercato brevemente di delineare – teatro di importanti cambiamenti, che investirono la stessa composizione della classe operaia. Le nuove figure della produzione di massa si fecero portatori di bisogni, desideri e comportamenti nuovi che strutturarono i contenuti e le forme di contrapposizione al capitale. La Jft intuì la carica innovativa che il proletariato americano stava esprimendo e decise di dotarsi di strumenti capaci di intercettarne la portata.
Il legame marxiano tra sapere e prassi proletaria prende dunque corpo con straordinaria chiarezza, a partire dalle esperienze e condizioni degli operai di linea documentate da Romano. Il riconoscimento dell’autonomia del proletariato americano condusse i membri della Tendency tra gli operai e tra le altre soggettività, affermando che solo questo collegamento diretto con la classe e le sue lotte avrebbe consentito di rinnovare le proprie categorie di analisi ed elaborarne di nuove, da utilizzare come supporto concreto ai processi di emancipazione che questi soggetti stavano praticando. Il nesso fondamentale tra la ricerca sulla soggettività proletaria e le sue lotte e forme di organizzazione, all’opera nel progetto marxiano di inchiesta, è il presupposto che spinge il gruppo a dotarsi di strumenti di indagine diretta nel proletariato americano. Il metodo sperimentato e avviato con The American Worker divenne così un modello di intervento politico per la Tendency, influenzandone gli sviluppi e permettendo l’istaurazione di legami con altre esperienze al di là dell’Atlantico, come i francesi di «Socialisme ou barbarie» e l’operaismo politico italiano.
La crescente crisi del trockijsmo americano durante il periodo bellico e postbellico, da cui la stessa Tendency emerse, si registrò anche in Europa; ciò condusse alcuni membri del gruppo, in particolare Raya Dunayevskaya, a condurre diversi viaggi allo scopo di «stabilire relazioni con i compagni europei – come Cornelius Castoriadis – e presentare la posizione del “capitalismo di Stato” alla conferenza della Quarta Internazionale» [7]. Come noto, infatti, soprattutto in Francia, dove il movimento era rimasto per tutti gli anni Trenta abbastanza saldo e coeso internamente, si sviluppa una crisi analoga a quella americana nei presupposti e contenuti. La medesima insoddisfazione rispetto all’analisi di Trockij sulla natura dell’Unione Sovietica e sul ruolo del partito, portarono alcuni membri della sezione francese della Quarta Internazionale a formare prima una fazione di opposizione interna al Partito comunista internazionalista, e in seguito un gruppo autonomo che dal 1949 si riunì intorno alla rivista «Socialisme ou barbarie».
Nonostante la critica della burocrazia stalinista sviluppata dal gruppo francese differisse per diversi aspetti dalla teoria del capitalismo di Stato elaborata dalla Tendency, i due gruppi condividevano il rifiuto delle categorie reificate del marxismo ortodosso e l’accento posto sull’analisi delle lotte autonome del proletariato, non mediate da nessuna organizzazione tradizionale, sia nella produzione sia nella comunità. Tale condivisione condusse i due gruppi a sviluppare un contatto diretto con i diversi strati della classe operaia. Pubblicarono a vicenda, sulle rispettive riviste, i propri materiali, e firmarono insieme alcuni documenti che indicano la vicinanza delle loro posizioni. Questo proficuo scambio tra «Correspondence» e «Socialisme ou barbarie» derivava dalla convinzione, maturata in entrambi i gruppi, che il proletariato stesse elaborando comportamenti autonomi rispetto al lavoro industriale, allo sfruttamento, all’organizzazione della produzione e alla vita sociale, e che di conseguenza soltanto l’espressione proletaria potesse offrire un’adeguata analisi delle nuove trasformazioni capitalistiche e indicare la direzione del suo rovesciamento.
L’attenzione del gruppo francese per le lotte autonome del proletariato portò «Socialisme ou barbarie» a tradurre in francese nel 1949 The American Worker, pubblicato a puntate con il titolo L’ouvier américainnei primi otto numeri della rivista. Nell’introdurre il documento, Philippe Guillaume – storico membro della rivista francese – sottolineava l’universalità della condizione proletaria espressa da Romano:
«Ogni operaio, qualunque sia la sua patria di sfruttamento, vi troverà l’immagine della sua esistenza di proletario. Vi sono infatti caratteri profondi e immutabili nell’alienazione proletaria, che non conoscono né frontiere né regimi. Inoltre, ogni operaio, e questo è proprio il risvolto dello sfruttamento «sans phrase» che ci viene dato, sarà anche riempito di una fiducia senza limiti nei destini storici della sua classe» [8].
Terminata la pubblicazione di L’ouvier américain, il gruppo inizierà la pubblicazione in cinque puntate di La vie en usine di George Vivier, con l’obiettivo di dare espressione alla condizione operaia in Francia utilizzando il metodo dell’inchiesta appreso sull’altra sponda dell’Atlantico. La pubblicazione di questo documento sarà seguita da due inchieste condotte da operai e sindacalisti militanti, Daniel Mothé e Henri Simon. Come Romano scrisse della sua vita quotidiana e delle sue lotte nella fabbrica automobilistica della General Motors, Mothé riportò la sua esperienza di operaio alla Renault di Billancourt e Simon della sua attività militante in una grande compagnia di assicurazione. Castoriadis, insieme agli altri membri di «Socialisme ou barbarie», contribuì all’analisi di queste inchieste e di altre situazioni di lotta operaia che stavano attraversando nel secondo dopoguerra le fabbriche francesi.
Il lavoro di comunicazione politica e di inchiesta svolto da Mothé nella fabbrica Renault portò nel 1954 alla pubblicazione del primo numero del quotidiano indipendente «Tribune ouvrière». L’inchiesta operaia condotta da «Socialisme ou barbarie» ha permesso al gruppo di concentrarsi sull’esperienza reale dei lavoratori, di carpire le specifiche problematiche sul posto di lavoro, il pensiero, le frustrazioni e la rabbia operaia nella produzione, e contribuì a instaurare legami tra i diversi lavoratori. Le forme di organizzazione sviluppate erano basate sulla critica fondamentale della gerarchia sociale, che fu uno dei principali contributi di «Socialisme ou barbarie».
Danilo Montaldi e The American Worker in Italia
Proprio in seno al trockjismo francese e a parte del bordighismo italiano troviamo figure di straordinaria importanza per gli sviluppi successivi dell’operaismo politico italiano, e come ponte di collegamento tra le due sponde dell’Atlantico. Se abbiamo già visto l’esperienza di «Socialisme ou barbarie», troviamo oraDanilo Montaldi. Cremonese, con una precoce esperienza nella Resistenza, aveva abbandonato il Partito comunista nel 1946 per un radicale disaccordo con la linea intrapresa dalla direzione togliattiana. In quegli anni conosce Giovanni Bottaioli, dirigente del Partito comunista internazionalista che, tornato a Cremona dalla Francia, aveva portato con sé molti materiali sul dibattito rivoluzionario internazionale. Sebbene non aderisca ufficialmente al Partito, Montaldi ne segue le attività e inizia a conoscere le esperienze di diverse organizzazioni marxiste internazionali. Proprio grazie a Bottaioli conosce anche «Socialisme ou barbarie», con il quale entra per la prima volta in contatto nel 1953, durante un viaggio a Parigi. Montaldi, figura rilevante nella genealogia di quello che in seguito sarà l’operaismo, fu il primo a relazionarsi organicamente con questo gruppo e a lui si dovrà buona parte dell’influenza che esso eserciterà in seguito.
Tramite «Socialisme ou barbarie», Montaldi conosce i lavori d’inchiesta della Johnson-Forest Tendency, scoprendo The American Worker grazie alla già citata traduzione. Nel 1954 Montaldi tradurrà in italiano l’inchiesta di Romano «usando la versione francese e confrontandola con l’originale inglese» [9]. L’operaio americano apparirà a puntate su «Battaglia comunista» a partire dal numero di febbraio-marzo di quello stesso anno.
La particolare messa a fuoco del rapporto tra ricerca e prassi politica si evince fortemente già nell’introduzione dello stesso Montaldi al saggio di Romano:
«Il documento di cui iniziamo la pubblicazione, è stato scritto da Paul Romano, un operaio americano. Esiste un’America di cui nessuno ci parla, e che va ricercata al di là del mito del frigorifero, dell’automobile e della televisione, al di là del mito del benessere per tutti. È l’America delle fabbriche: un’America sconosciuta, la cui storia è fatta di scioperi, di sfruttamento e di miseria proletaria. I protagonisti di questa storia sono gli operai, e Paul Romano è un operaio che scrive sulla vita degli operai» [10].
Molti elementi del metodo politico che è alla base del documento di Romano lasciano prefigurare alcune future linee di sviluppo del pensiero e delle inchieste di Montaldi: la riaffermata necessità politica della ricerca sulla soggettività dei diversi strati del proletariato e il riposizionamento della realtà della condizione operaia al centro dell’intervento politico. La sostituzione, dunque, delle mistificazioni del Partito comunista e delle astratte certezze della burocrazia sindacale, con la conoscenza concreta, empiricamente fondata, delle forme in cui si articola la «contraddizione oggettiva» rappresentata dal proletariato e che definiscono le possibilità di costruzione del «potere operaio» [11]. Inchiesta come ricerca e prassi politica, che Montaldi ritrova nel lavoro d’inchiesta della Jft. Montaldi, come rileverà introducendo L’operaio americano, considera il lavoro di Romano come un contributo per tematizzare la condizione operaia nei contesti di produzione, affinché il punto di vista operaio torni a essere quella parzialità determinante da cui guardare alla società capitalistica e da cui poterla rovesciare.
L’operaio americano e più in generale «Correspondence» esprimono con molta forza e profondità l’idea, dal marxismo praticamente dimenticata dopo la pubblicazione del primo volume del Capitale, che l’operaio è innanzitutto un essere che vive nella produzione e nella fabbrica capitalistica, prima di essere l’aderente di un partito o il suddito di un futuro potere socialista; e che è nella produzione che si forma tanto la sua rivolta contro lo sfruttamento quanto la sua capacità di costruire un tipo superiore di società, la sua solidarietà di classe con gli altri operai e il suo odio per lo sfruttamento e gli sfruttatori, i padroni classici di ieri e i burocrati impersonali di oggi e di domani. Lo sviluppo di questa idea fondamentale è l’apporto principale del gruppo al movimento rivoluzionario contemporaneo. Ma il valore documentario del libro di Romano risiede anche in questo: che rivela come sia universale la condizione operaia [12].
È qui contenuta, e poi sviluppata dalla conricerca alquatiana, la scelta di privilegiare l’espressione diretta del proletariato, tramite racconti autobiografici o interviste, per afferrare l’origine dei nuovi comportamenti che la soggettività proletaria stava elaborando contro i nuovi assetti del sistema capitalistico. Non vi è dunque nessuna linearità deterministica, bensì la continua tensione ad anticipare degli elementi di tendenza, il cui piano di sviluppo dipende dalle specificità dei contesti e dalle forme di lotta. Sarà questa, successivamente e con altri sviluppi, una peculiarità forte e centrale del metodo operaista. Non a caso l’introduzione di Montaldi si chiude con un invito ai lettori a inviare propri contributi e scritti relativi alla loro condizione operaia:
«Per questo noi invitiamo i compagni, gli operai, i lettori, a scrivere a «Battaglia» confrontando la propria situazione con quella dell’«operaio americano», vale a dire con quella dell’operaio di tutti i paesi, con l’operaio per quello che è là, là dove essi la sentono simile e là dove la vedono diversa» [13].
Dinanzi alla nuova soggettività operaia l’inchiesta sociologicamente intesa si frantuma sui suoi due distinti livelli su cui poneva il ricercatore e l’operaio. Nell’invito di Montaldi possiamo scorgere al contrario, senza troppe forzature, l’importanza della produzione di conoscenza della classe operaia nel contesto di una cooperazione militante tra intellettuale e lavoratore condotta nello spazio politico di lotta. È l’inizio di un nuovo metodo che avrà con Alquati e con la conricerca il massimo sviluppo. Un metodo che non poteva essere contenuto entro un momento fisso, ma era una pratica in continua evoluzione che trasformava entrambi i soggetti della ricerca, i militanti e gli operai, con lo scopo di produrre avanzamenti nella lotta.
Note [1] C.L.R. James, American Civilization, Blackwell, Oxford-Cambrige, MA. 1993, p. 167. [2] J. Boggs, Pagine dal block-notes di un lavoratore negro. James Boggs: La rivoluzione Americana, Jaca Book, Milano 1968, p. 9. [3] C.L.R. James – G. Lee Boggs – P. Chaulieu, Facing Reality, Bewick, Detroit 1974. [4] C.L.R. James, With sharecroppers, in S. McLemee, a cura di, C.L.R. James and the «Negro Question», University Press of Mississippi, Jackson 1996, p. 22. [5] M. Glaberman, Timbrando all’uscita, in B. Cartosio, a cura di, Classe operaia, imperialismo e rivoluzione negli Usa, Musolini, Torino 1976, p. 14. [6] G. Lee Boggs, Living for a Change: An Autobiography, University of Minnesota Press, Minneapolis 1998, p. 60. [7] F. Rosengarten, Urbane Revolutionary: C.L.R. James and the struggle for a new society, University Press of Missisipi, Jackson 2008, p. 82. [8] Cit. in Cartosio, Classe operaia, cit., p. 20. [9] Cfr. Cronologia della vita e delle opere di Danilo Montaldi, in Bisogna sognare. Scritti 1952-1975, Colibrì, Milano 1994, p. XI. [10] D. Montaldi, Introduzione, in P. Romano, L’operaio americano, in Montaldi, Bisogna sognare. Scritti 1952-1975, Colibrì, Milano 1994, p. 501. [11] E. Campelli, Note sulla sociologia di Danilo Montaldi: alle origini di una proposta metodologica, «La critica sociologica», n. 49, 1979, p. 31. [12] Montaldi, Introduzione, cit. [13] Ivi.
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