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Anna Curcio

Uno spettro si aggira tra i razzisti: il maranza


Immagine di Angelica Ferrara
Immagine di Angelica Ferrara

Un commento di Anna Curcio sulla campagna imbastita dalla destra contro il libro Maranza di tutto il mondo, unitevi! di Houria Bouteldja, un tentativo goffo e spudorato di giustificare il razzismo quotidiano e le violenze perpetrate o avallate dallo Stato - come testimoniano le immagini della morte di Ramy - attaccando i giovani delle periferie razzializzate.


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Martedì 7 gennaio. Il razzismo istituzionale va in scena sui tg della sera. Scorrono le immagini degli ultimi istanti della vita di Ramy Elgamy, è la notte dello 24 novembre scorso. L’inseguimento di otto chilometri della gazzella dei carabinieri per le vie del centro milanese, il primo impatto con il motorino, le voci dei carabinieri, «vaffanculo non è caduto». E poi ancora, un nuovo tentativo: «Chiudilo, chiudilo… no, merda, non è caduto». Infine l’ultimo impatto, quello decisivo: l’auto dei carabinieri centra il motorino, i due ragazzi sono schiacciati contro il muro. La vita di Ramy finisce lì. «Bene», commentano finalmente soddisfatti i carabinieri, mentre altri militari provvedono a intimidire un ragazzo che si trovava casualmente lì e a sequestrargli il cellulare con cui aveva ripreso la scena.

Nei giorni successivi, il Corvetto si infiamma della rabbia di ragazze e ragazzi che chiedono verità e giustizia per Ramy. Perché sanno che non si è trattato di un incidente, ma della naturale conseguenza della violenza che ogni giorno subiscono. Esplicita, nella forma dei quotidiani comportamenti degli uomini in divisa. Implicita, nel ricatto costruito per chiunque sia ritenuto straniero, anche se è nato sul suolo italiano: lavora per due spicci, tieni la testa bassa e ringrazia che non ti rimandiamo da dove sei venuto, o da dove vengono i tuoi genitori. Un ricatto tracciato sulla linea del colore. Razzismo istituzionale non è un’invettiva, ma una pacata definizione sociologica. Ora la verità è sotto gli occhi di tutti. Ramy non è morto. Ramy è stato ucciso. Non si è trattato di una fatalità, ma di un omicidio. Un omicidio di Stato. E tuttavia, non c’è affatto giustizia.

Proprio nello stesso giorno, 7 gennaio (guarda caso è anche il giorno della commemorazione neofascista per i fatti di Acca Larentia del 1978, con centinaia di braccia tese che rievocano gli anni dell’eversione nera e inquietanti richiami all’immaginario del ventennio), «Libero» pubblica l’articolo: Pd, appello-choc nel circolo di partito: «Maranza, unitevi tutti». Nel bersaglio del giornalista-cecchino c’è il libro di Houria Bouteldja Maranza di tutto il mondo, unitevi!, uscito nel settembre 2024 per la collana hic sunt leones di DeriveApprodi da me curata e di cui è in programma, fra qualche giorno, la presentazione in un circolo culturale di Monza. Non una sede di partito come, in cattiva fede, lascia intendere il titolo di «Libero», ma uno spazio animato da varie realtà del territorio brianzolo. L’operazione, tuttavia, è chiara e ha poco a che fare con il libro in sé. È l’ennesima occasione per sollevare la cortina di fumo sulle scempiaggini di governo (l’ultima in ordine di apparizione l’affaire Starlink) attaccando la sinistra, dal Pd ai movimenti antagonisti senza soluzione di continuità e soprattutto per spostare l’attenzione pubblica e mediatica dalle immagini inquietanti di quella gazzella dei carabinieri che schiaccia contro un muro due ragazzi. Il libro, peraltro, «Libero», «il Giornale» (che si è accodato il giorno successivo) e gli altri esponenti della destra di governo che si sono affrettati a pubblicare dichiarazioni e commenti, non lo hanno neanche letto. Saprebbero altrimenti che propone una riflessione rigorosa sul rapporto tra razzismo, istituzioni e società civile, e muove una critica senza sconti proprio a quella stessa sinistra che l’articolo chiama in causa. Saprebbero anche che il termine maranza è una scelta, azzeccata, dell’editore italiano e soprattutto che la «saldatura pericolosa» che tanto li spaventa – «tra sinistra e maranza» – prescinde dai contenuti del libro e vive nella cattiva gestione delle periferie urbane, nell’impossibilità della mobilità sociale, nell’impoverimento diffuso e nelle violenze a sfondo razziale che costellano il nostro quotidiano. Tuttavia, nella superficialità pressapochista che contraddistingue l’agire della destra nostrana, hanno scambiato il comunicato di lancio dell’incontro con i contenuti del libro e se la sono presa con le considerazioni sacrosante di chi, come Ramy, come Moussa Diarra (ucciso il 20 ottobre dalla polizia a Verona) o come tante giovani donne e uomini che vivono quotidianamente, nelle scuole, nelle strade e nei contesti sociali che attraversano, la violenza razzista della marginalizzazione, della svalorizzazione e dello sfruttamento del lavoro. Sbeffeggiando e ridicolizzando forme di vita ed esperienze che non sono capaci di riconoscere, creano quel clima di violenza discorsiva e giustificazione concreta in cui il razzismo sguazza e si alimenta.

Quando poi a prendere parola, seguendo «Libero», sono esponenti di spicco di Fratelli d’Italia, è difficile non pesare che si tratti di un intervento coordinato. Soffiando sul fuoco del capodanno milanese in piazza Duomo, quando proprio i giovani delle periferie razzializzate hanno fatto irruzione nel salotto buono della città portando allo scoperto, ma rovesciata di segno, la violenza che per secoli è stata perpetrata oltre i confini dell’Europa e dell’Occidente, l’obiettivo diventa la caccia al maranza: costruire la nuova «classe pericolosa», capro espiatorio della ristrutturazione autoritaria del mondo in cui viviamo. Il tentativo goffo e spudorato di giustificare il razzismo quotidiano e le violenze perpetrate o avallate dallo Stato. Un’operazione utile anche a illuminare di un’aura positiva la feccia nera che, con l’approvazione delle forze di governo, sta rialzando la testa. Il problema dunque non sarebbe il fascismo e il razzismo delle forze di polizia o la violenza razzista e fascista che spopola nelle strade, ma una generazione di giovani donne e uomini razzializzati che non sono più disposti a vivere le condizioni di subordinazione e sfruttamento dei propri genitori e si prendono, talora in forme terribili, ciò che è loro negato.

Insomma, comprendere le radici della rabbia dei maranza non significa sostenere tutto ciò che i maranza fanno. Perché i maranza non sono un partito politico o un gruppo omogeneo, bensì individui ridotti da questa società alla frustrazione dei propri sfoghi impotenti e distruttivi. Maranza di tutto il mondo, unitevi! significa semplicemente affermare che, per lottare contro il razzismo, bisogna confrontarsi con quella rabbia per trasformarla in conflitto, tutte e tutti insieme, contro le gerarchie della razza che organizzano le nostre vite.

 


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Anna Curcio è ricercatrice e saggista. Cura la sezione «vortex» della rivista Machina. Studia le trasformazioni del lavoro produttivo e riproduttivo nel rapporto con la razza e il genere. Tra le sue diverse pubblicazioni, ha curato La razza al lavoro (Manifestolibri, 2012), Introduzione ai femminismi e Black fire (DeriveApprodi, 2019 e 2020). L'ultimo sui libro è L'Italia è un paese razzista (DeriveApprodi, 2024).

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