L’11 maggio 2023 il giovane studioso Andrea Ampollini poneva a Mario Tronti questioni importanti: dalla neutralizzazione del conflitto amico-nemico alla deriva anti-politica, dalla guerra alla vocazione weberiana, dal movimento operaio alla sinistra, dal destino del progetto europeo al compito catecontico della politica. Si tratta dell’ultima intervista a Tronti, da leggere, ascoltare e riflettere insieme al suo dialogo con Adelino Zanini. L’intervista, nella sua forma scritto, costituisce l’appendice della nuova edizione de La politica al tramonto (DeriveApprodi, marzo 2024), in questi giorni in libreria.
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Domanda 1: La neutralizzazione del contrasto verticale tra Freund und Feind sembra essere, in fondo, alla vera radice della crisi di lungo corso che riguarda la politica in Occidente. Eppure, tale neutralizzazione s’inserisce essa stessa all’interno di un progetto che è – o meglio, si vuole – politico: mi riferisco al neoliberalismo, che da decenni soffoca l’antagonismo di classe, cuore pulsante della politica moderna, celebrando, in sua vece, l’«insocievole socievolezza» dell’homo oeconomicus. Tuttavia, il progetto neoliberale oggi non soltanto rivela la sua totale inadeguatezza a garantire una sicura via dello sviluppo alle società del mondo contemporaneo, ma si trova anche nel mezzo di una delicata fase d’impasse, di cui non s’intravede la fine. Se è vero, infatti, che quella che lei chiama – servendosi di un’espressione nietzscheana – la grande politica ha lasciato orfano l’Occidente nel momento in cui l’«assalto al cielo» si è tradotto in una disfatta per i «dannati della terra»2, d’altra parte l’assetto economico-politico che si è instaurato a livello internazionale al termine del cosiddetto «secolo breve» attraversa ora il solco di una profonda crisi di legittimità e sembra sgretolarsi al suono di nuove sirene di guerra. Quali scenari schiude, dal Suo punto di vista, questa particolare congiuntura storica? È possibile che il disfacimento di quegli equilibri che si credevano un tempo consolidati apra una «piccola porta» attraverso cui la grande politica potrà far ritorno?
Domanda 2: Secondo la filosofa americana Nancy Fraser, negli ultimi anni si sono attestati due orientamenti politici solo apparentemente antitetici: da una parte, il neoliberalismo progressista, risultato di un’alleanza tra «le correnti liberali tradizionali dei nuovi movimenti sociali (femminismo, antirazzismo, multiculturalismo, ambientalismo e diritti LGBTQ+)» e «i settori più dinamici, lussuosamente simbolici e finanziari dell’economia»3; dall’altra, il populismo reazionario, nato formalmente come rifiuto della globalizzazione finanziaria, ma avverso a qualsiasi visione emancipatrice e antigerarchica, abituato a direzionare la propria rabbia contro facili capri espiatori e sempre pronto ad adottare politiche convenzionali in caso di vittoria elettorale. Il fatto che oggi nessuna di queste correnti riesca più a «offrire un’immagine autorevole della realtà sociale», né ad affrontare adeguatamente problemi come l’«esplosione del debito» o il «cambiamento climatico», apre per Fraser una prospettiva favorevole alla crescita del populismo di sinistra, principale candidato alla costituzione di un nuovo «blocco controegemonico»4. La stessa Chantal Mouffe ha recentemente definito il «momento populista» come un’occasione concreta per il ripristino del «carattere agonistico della democrazia», nonché per la radicalizzazione e l’estensione dei suoi princìpi fondamentali. Tuttavia, lei ha ribadito che «[n]el populismo di oggi non c’è il popolo e non c’è il principe», che la «pulsione populista attuale» non è «originata dal richiamo difensivo ad antiche tradizioni comunitarie», bensì «dall’adattamento aggressivo alla scomposizione di ogni legame sociale»6. Crede che questo fenomeno sia esclusivamente destinato a produrre un approfondimento della deriva anti-politica?
Domanda 3: In una delle due conferenze che tenne a Monaco tra il 1917 e il 1919 di fronte ai giovani universitari tedeschi, Max Weber affrontò il tema della Politik als Beruf. Discutendo delle caratteristiche fondamentali del politico di professione, cioè di «colui al quale è consentito di mettere le proprie mani negli ingranaggi della storia», Weber giunse a individuare tre qualità decisive: passione, «nel senso di Sachlichkeit: dedizione appassionata a una “causa” [Sache], al dio o al demone che la dirige»; responsabilità, in primis nei confronti della causa stessa, che deve farsi «stella polare» dell’agire; lungimiranza, ovvero la «capacità di far agire su di sé la realtà con calma e raccoglimento interiore: dunque, la distanza tra le cose e gli uomini». Certo, «chi ha a che fare con la politica – vale a dire con la potenza e con la violenza – stringe un patto con potenze diaboliche», continuava Weber, ma se è privo dell’«intima vocazione», se non possiede alcun senso di responsabilità, ecco allora che incappa in un «peccato mortale». Nello scenario istituzionale contemporaneo, gremito di tecnici, opportunisti, dilettanti e demagoghi, c’è ancora posto per la figura del politico descritta da Weber? Lo spirito del capitalismo è riuscito a erodere anche ogni autentica vocazione per la politica?
Domanda 4: A proposito della sinistra, scriveva: «Un conto è un cambiamento della propria forma, un conto è la rinuncia alle ragioni della propria esistenza. Queste stanno nella storia viva e non si aboliscono per decreto dall’alto. E non è vero che comunque esse ritorneranno a farsi sentire sotto nuove vesti. La verità è che si possono perdere. Il dramma è che si sono perse. Così accade che si smette di essere e poi non si sa che fare»9. La sinistra ha da tempo rinunciato alle ragioni della propria esistenza; c’è ora il rischio che smarrisca anche il ricordo della propria storia, dileguandola nel «culto profano del nuovo che avanza»?
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Andrea Ampollini ha studiato filosofia a Bologna, Lovanio e Milano. Sotto la supervisione di Andrea Tagliapietra e Alberto Burgio, ha lavorato a una tesi magistrale sull’idea di crisi nella modernità europea, la quale si è aggiudicata, nel 2023, il premio di laurea indetto dall’Istituto Gramsci della Sardegna e dal Centro di studi internazionali gramsciani (GramsciLab). É stato borsista presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli e ha collaborato con l’Università di Urbino nell’ambito del progetto «Genesi e sviluppo del neo-marxismo europeo». Attualmente, grazie a una borsa di studio, si trova a Vienna, dove si occupa di storia concettuale e storia del pensiero politico.
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