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L'irriverenza metodologica del fantasma

Recensione a Cose di fantasmi. Haunting e immaginazione sociologica di Avery Gordon (DeriveApprodi, 2022)

 



Cose di fantasmi
Immagine: Július Koller, Universal Fantastic Orientation (U.F.O.), 1978, Marinko Sudac Collection

Una lettura acuta e puntuale di un volume che da circa trent’anni sfida le barriere disciplinari tra sociologia e studi letterari e culturali e insiste sull’urgenza, tutta politica, di individuare e praticare quel «qualcosa che si deve fare» contro la «cattiveria del sistema». Un testo che resta di grande attualità in «questo momento storico regressivo», mentre il paese, e la società nel complesso, rinnova «il suo impegno a essere cieca» rispetto a razza, classe e genere o, come sempre più spesso accade, se ne serve in modo strumentale per la riproduzione del capitale.

 

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Lo scorso aprile, durante una conversazione da remoto con la studiosa e attivista Elaine H. Kim, autrice di Asian American Literature (1982), testo fondativo della critica letteraria asiaticoamericana, le chiesi se conosceva Avery Gordon.  Lei menzionò immediatamente Cose di fantasmi, libro che aveva letto all’epoca della sua prima pubblicazione nel 1997 e che descrisse come un testo pionieristico che voleva superare le barriere disciplinari, all’epoca molto rigide, fra sociologia e studi letterari e culturali.  Elaine Kim ricordava che Gordon era stata criticata per quella che era stata ritenuta la sua irriverenza metodologica e aggiunse che ne ammirava il libro.

Sfortunatamente non ebbi occasione di leggere Cose di fantasmi nel 1997, ma ora che l’ho letto capisco perché lo si ricordi facilmente anche a distanza di ventisette anni.  Cose di fantasmi è un libro affascinante e importante, ed è particolarmente benvenuta e necessaria, oggi, la sua traduzione in italiano curata da Stefania Consigliere e Federico Rahola e pubblicata da DeriveApprodi.  

Cose di fantasmi è importante per molti motivi.  L’analisi di Gordon sull’ingiustizia sociale e molti dei nodi metodologici e politici che affronta sono fin troppo rilevanti anche oggi. Vale la pena citare, per esempio, la sua ricerca di un tipo di scrittura che «cambi le persone», o la sua esortazione a «richiamare l’attenzione sui temi più ampi dell’invisibilità, della marginalità e dell’esclusione», o ancora il suo impegnarsi per arrivare a «un modo diverso di vedere, un modo che sia meno meccanico, più pronto a farsi sorprendere, a connettere immaginazione e critica». È notevole anche l’importanza metodologica del suo insistente «invito alla responsabilità, alla necessità di rendere conto», così come il monito che il passato non concluso, «il fantasma, [è] vivo» e che pertanto «dobbiamo riconoscerlo con gentilezza, cercando di offrirgli una memoria ospitale per scrupolo di giustizia» (94).

Ma la caratteristica di Cose di fantasmi che più colpisce come memorabile e generativa è l’attenzione della Gordon alla dimensione «affettiv[a]», e perciò potenzialmente più egualitaria, dell’analisi sociale.  Gordon esamina, e al contempo mette in pratica, la «passione per la giustizia sociale», la relazione con quei gruppi di persone marginalizzate che il sistema presenta come «intrinsecamente poveri, poco istruiti, malati e privi di diritti».  Cose di fantasmi fa propria la possibilità concreta di accorciare la distanza tra la rappresentazione e chi viene rappresentato, in modo da riuscire a «fare causa comune con i nostri oggetti e soggetti di analisi».  La consapevolezza ultima e più importante per la studiosa e l’attivista è che lo «scrupolo di giustizia è la sola ragione per cui vale la pena» occuparsi di tutto questo.

Sono queste le metodologie e le tematiche che permettono a Gordon di analizzare lucidamente la complessità e le continuità tra le ingiustizie sociali del passato e del presente in modi non a loro volta opprimenti o paralizzanti.  Da un lato, la scrittura di Gordon accompagna chi legge all’interno di questa complessità con elenchi evocativi e ripetizioni di frasi o citazioni che affrontano una realtà sociale o un concetto critico da una varietà di angolazioni e gradi crescenti di profondità analitica. Dall’altro, la sua analisi dei romanzi di Luisa Valenzuela e Toni Morrison e di situazioni drammaticamente esemplari di sfruttamento e violenza, quali il «terrore di stato in Argentina» o la schiavitù negli Stati Uniti, viene costantemente vivificata da un afflato propositivo e coinvolgente di attivismo nel tempo presente. 

Gordon cita la frase di Michel De Certeau sul «qualcosa che si deve fare» e la trasforma in un memorabile ritornello.  Insistere che c’è «qualcosa che si deve fare» non offre facili soluzioni, ma certamente apre nuovi orizzonti sull’impegno e sui processi di cambiamento sociale, interpellando e invitando chi legge a farsi coinvolgere in prima persona, a mettere «in scena una parola condivisa, un qualcosa che si deve fare, in tempo e per un altro mondo».

 Non c’è spazio né tempo per il lusso della disperazione.  Per citare Gordon, il passato non concluso, ovvero «il fantasma, quando ti appare, apre la necessità di farci qualcosa»: al passato ancora aperto dell’ingiustizia viene data vita «come leva per il lavoro del presente» per mettere «in atto un futuro diverso».

  Questo processo richiede di immaginare «oltre i limiti di ciò che è già comprensibile».  È questa la «possibilità utopica», che Gordon evoca in modo convincente evitando le connotazioni negative di idealistica impossibilità che il termine utopia ha purtroppo assunto nel linguaggio quotidiano.  Al contrario, Gordon rivaluta l’utopia come atto necessario della immaginazione radicale, come progetto, come realtà possibile e in via di costruzione, come «utopia concreta», per citare Ernst Bloch. 

Queste qualità di Cose di fantasmi lo rendono un libro generativo di domande, approcci di lettura e nuove prospettive. L’analisi proposta da Gordon del romanzo Amatissima (1987) di Toni Morrison e della sua rappresentazione del passato non concluso della schiavitù durante la Ricostruzione che seguì alla Guerra civile (1861-1865) negli Stati Uniti esemplifica come Cose di fantasmi apra nuovi modi di leggere anche altre opere letterarie.  Si può pensare, ad esempio, ai molti romanzi afroamericani che furono effettivamente scritti e pubblicati dopo la Guerra civile Americana, nella seconda metà dell’Ottocento, durante e dopo il periodo della Ricostruzione.  Questi romanzi vennero scritti da donne e uomini che avevano visto e in alcuni casi anche sperimentato la schiavitù.  Donne e uomini che, vivendo in un contesto di segregazione razziale, erano ancora circondati dai fantasmi inquieti e dalle conseguenze della schiavitù.   

Non si sta ora facendo riferimento a quelle brillanti «auto-etnografie» che sono le narrazioni degli schiavi fuggiaschi (slave narratives), ma a veri e propri romanzi scritti da autori quali William Wells Brown, Frances E. W. Harper, Sutton E. Griggs, Pauline E. Hopkins, Charles W. Chesnutt, and W.E.B. DuBois. Vivendo e scrivendo durante e dopo il periodo della Ricostruzione, questi autori non solo sperimentarono il «rapporto tra assoggettamento e soggettività» di cui scrive Gordon, ma lo analizzarono e rappresentarono in romanzi complessi e sperimentali.

Questi autori erano pienamente consapevoli, sia di vivere in un periodo storico epocale, sia di esserne relegati ai margini: le realtà sociali, politiche e culturali della segregazione razziale e del suprematismo bianco rendevano tale marginalità penosamente evidente in tutti i modi possibili.  Questi romanzieri hanno a lungo continuato a rimanere ai margini delle storie letterarie, hanno sfidato la novità del Modernismo e della modernità americani nel Ventesimo secolo, e sono a lungo rimasti presenze spettrali ignorate negli archivi.  Questi autori aleggiano anche nella rappresentazione narrativa post-diritti civili della Ricostruzione immaginata da Morrison in Amatissima. È questa la tradizione di «cose di fantasmi» in cui affonda le radici il romanzo.

Leggere Cose di fantasmi riporta l’attenzione sui numerosi «fantasmi» che popolano i romanzi e i racconti afroamericani del periodo durante e post-Ricostruzione.  Come la protagonista di Amatissima, Sethe, questi scrittori sapevano che «in quanto fatto proclamato, l’abolizione non è l’emancipazione», e che l’economia e la mentalità schiaviste non erano ancora morte.  In un contesto storico violentemente oppressivo, le autrici e gli autori afroamericani della seconda metà dell’Ottocento affrontarono nei loro romanzi il tema di una «disperazione razziale» paralizzante, come ha scritto Claudia Tate, ma sottolinearono anche e con maggior forza l'urgenza del «farci qualcosa», per citare Gordon.  La loro visione di un futuro diverso e realmente emancipato prende forma in narrazioni utopiche che articolano progetti di cambiamento sociale e danno espressione al desiderio, alla possibilità e alla sostenibilità di un futuro più giusto e di maggiore uguaglianza. 

Dopo aver letto Cose di fantasmi, ci si avvicina a questi romanzi in modi nuovi e con rinnovato «rispetto», per citare la studiosa Frances Smith Foster.  Ci si rende conto, per esempio, di come, durante e dopo la Ricostruzione, le autrici e gli autori afroamericani nobilitarono la morte stessa, e spesso la morte per linciaggio di vittime innocenti, per rafforzare l’impegno a realizzare un futuro migliore.  Si comprende con maggiore intensità la valenza politica di rispondere al potere con la verità e quindi anche la centralità narrativa del tema del «martirio» – martirio nel senso etimologico di «testimonianza».  La commemorazione, da parte della comunità, delle eroine e degli eroi che hanno subito il martirio emerge come una delle «metodologie riparatici» di cui ha scritto la studiosa Barbara Christian, ovvero come rituali che hanno la funzione di spronare alla resistenza attraverso la celebrazione degli abitanti-modello di un mondo più giusto.

Durante e dopo la Ricostruzione le autrici e gli autori afroamericani vissero, esaminarono e rappresentarono le dinamiche della disuguaglianza sistematica di razza, classe e genere.  C’era poco che non conoscessero delle «sottigliezze del dominio», e c’è molto che oggi si può imparare da loro se decidiamo di prenderci il tempo e fare lo sforzo di cercare di capire ciò che loro sapevano.  I loro romanzi corroborano il monito insistente di Gordon sulla necessità di prendere coscienza che «anche chi vive nelle condizioni più disperate ha una personalità e una soggettività complessa».  

In ultima analisi, Cose di fantasmi apre orizzonti nuovi sul nostro presente, su questo momento storico regressivo in cui, a dispetto delle dichiarazioni retoriche e programmatiche, «la nazione [ha] rinnovato il suo impegno a essere cieca: cieca alle parole razza, classe e genere».  Una cecità nella quale «ci si impegna, come mostra la Storia, quando la paura della perdita ha la meglio su quel che invece si potrebbe guadagnare». Cose di fantasmi ci ricorda «quel che invece si potrebbe guadagnare». Sprona chi legge a resistere, anche di fronte a incredibili ingiustizie, al lusso della disperazione e a concentrarsi sul «qualcosa da fare» per «poter lottare contro la complicata “cattiveria” del sistema».  

Come durante la Ricostruzione post-Guerra Civile, anche oggi desiderare, progettare e lottare per un futuro più giusto e per una «vita non amputata» continuano a essere atti di passione e impegno.


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M. Giulia Fabi insegna Letterature Angloamericane all’Università di Ferrara. Ha pubblicato in Italia e all’estero volume e saggi sulla letteratura americana e afroamericana e nell’ambito dei Women’s studies.

 

 

 

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