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Intervista a Giangiacomo Feltrinelli


Sigarette di Giangiacomo Feltrinelli

Il testo che segue è un’intervista poco conosciuta di Nanni Balestrini a Giangiacomo Feltrinelli comparsa sul primo dei due numeri della rivista «Compagni,», nell’aprile 1970. I temi riguardano il clima politico venutosi a creare in Italia all’indomani della strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 a Milano e le motivazioni a fondamento della scelta dell’editore di rendersi irreperibile all’autorità giudiziaria, di fatto il suo passaggio alla clandestinità che si concluderà con la sua morte sotto un traliccio dell’alta tensione a Segrate il 14 marzo 1972.


***


L’editore Giangiacomo Feltrinelli è assente dall’Italia da diversi mesi. Sulle presunte ragioni di tale assenza i giornali cosiddetti d’informazione hanno formulato ipotesi e illazioni che – per altro – non sono mai state comprovate da fatti precisi. L’intervista che di seguito pubblichiamo risale alla fine di gennaio, al momento – cioè – in cui più violenta era la campagna di un certo tipo di stampa contro l’editore milanese. Ci pare interessante proprio per questa ragione: come testimonianza umana e politica e perché chiarisce una serie di elementi sui quali fino a questo momento è stato possibile fornire interpretazioni che rimanevano soltanto tali. Quale ritiene, Feltrinelli, il fatto più importante di questi ultimi mesi? Il fatto più importante di questi ultimi mesi è la brutale repressione che si è scatenata in Italia a seguito delle lotte dell’autunno, a seguito dei criminosi attentati fascisti del 12 dicembre. Le decine di migliaia di denunce contro lavoratori per gli scioperi dell’autunno, le centinaia di arresti, le perquisizioni e soprusi di ogni genere contro operai e militanti sindacali, compagni del Pci o di altre organizzazioni politiche fanno parte di un piano preciso per intimidire, colpire i lavoratori e le loro organizzazioni, per impedire una loro ulteriore avanzata, per bloccare le loro ulteriori rivendicazioni politiche e economiche. Ma c’è di più. Secondo me stiamo già attraversando una fase avanzata di esecuzione di un disegno strategico della coalizione delle destre italiane e internazionali per imporre una involuzione reazionaria della società italiana; una involuzione reazionaria che, secondo i piani dei promotori, deve portare a un radicale sovvertimento delle istituzioni e dell’equilibrio politico italiano, ad un virtuale e forse non solo virtuale colpo di stato. Il piano padronale mi sembra chiaro: una graduale e sistematica stretta repressiva, inframezzata e accentuata da azioni provocatorie quali gli attentati del 25 aprile del ’69, dell’estate e infine del dicembre dello stesso anno. Una sistematica e progressiva stretta repressiva contro la base operaia, le sue organizzazioni e i suoi militanti approfittando del possibilismo tattico dei vertici delle organizzazioni politiche tradizionali che, per non turbare o compromettere le prospettive di una loro possibile partecipazione diretta o indiretta al governo – dico governo e non potere — preferiscono sottovalutare i pericoli oggi esistenti in Italia, frenare la indignazione e la ribellione popolare, preferiscono disconoscere i reali rapporti di forza fra la classe lavoratrice e chi detiene il vero potere politico, economico e militare in Italia. Si lasciano quindi per ora indisturbati gli alti papaveri della politica i cui manifesti, appelli e proclami non sono poi tanto pericolosi, mentre s’inizia a colpire a fondo la classe operaia e il proletariato italiano.

Ma oggi la classe operaia è forte, una simile involuzione reazionaria non può passare.


Sì, oggi la classe operaia è forte, così come era fortissima anche nel 1919 e nel 1920. Ma oggi come ieri, malgrado la forza obbiettiva del proletariato italiano, l’involuzione reazionaria passa, si rafforza e si consolida quotidianamente. Dal ’21 ad oggi sono cambiati i nomi dei partiti ma non cambia la loro incapacità di trasformare le lotte economiche in lotte politiche, di trasformare la difesa contro il fascismo e contro l’offensiva padronale in offensiva rivoluzionaria utilizzando, al pari dell’avversario, tutte le armi e tutte le tattiche della lotta di classe. Bisogna, a mio avviso parlare chiaro. La violenza padronale, dello Stato e dell’imperialismo, la violenza dei fascisti e degli agenti dei colonnelli greci in Italia non si ferma, non si arresta con delle petizioni, con discorsi in parlamento, con commissioni di inchiesta e di controllo parlamentare. Non si arresta né con un nuovo governo di centro sinistra né con la partecipazione del Pci a un governo virtualmente privo di potere, incapace di controllare il grande capitale, l’esercito e la burocrazia statale. La violenza delle destre si ferma e si blocca solo mobilitando e impegnando il proletariato italiano in una lotta che abbia come obiettivo la distruzione stessa della coalizione delle destre. Con una lotta in cui scendano in campo le avanguardie del proletariato italiano sostenute e appoggiate da tutte le classi lavoratrici. E tutto ciò a maggior ragione se, come giustamente si afferma, il proletariato italiano è forte politicamente, maturo e combattivo.



Cosa ne pensa, della ricostituzione di un governo di centro sinistra organico? Ritiene che esso rappresenti un momento di stabilizzazione della situazione politica del paese? Anche ammesso che si giunga ad un governo quadripartito contesto che, anzitutto, questo governo possa essere definito di centro sinistra organico quando uno dei partiti che parteciperebbe alla coalizione si governativa, il Psu, si trova ormai all’estrema destra dello schieramento politico italiano. È questo quindi un governo – se le trattative in corso tra i partiti vanno in porto – che non rappresenta affatto una scelta chiara a sinistra. A ogni passo può essere ricattato dai socialdemocratici del Psu e pertanto rappresenta, questo governo, un ulteriore passo verso un graduale ma sistematico spostamento a destra. Le posizioni del Psu e del Psi, fra l’ala destra e l’ala sinistra del governo non sono equilibrate. Il Psu infatti non aspetta che l’occasione per aprire una nuova crisi che porti allo scioglimento delle camere, che preluda ad un governo extraparlamentare, autoritario, molto più a destra del governo Rumor, magari seguendo l’esempio dei colonnelli greci e i consigli della Cia. Il Psi è da questa stessa prospettiva di ricatto e di crisi paralizzato in ogni sua decisione e non tanto come di centro sinistra organico, ma come governo transitorio di destra la cui durata dipende dalla sua capacità o meno di adeguarsi alle esigenze repressive della grande industria, della coalizione delle destre italiane e internazionali, un governo di transizione che l’estrema destra lascerà in carica solo fin quando questo le tornerà comodo.

Cosa pensa delle prossime elezioni? Le prossime elezioni, ammesso che si svolgano in primavera, che non vi siano altre provocazioni di destra, come gli atttentati di dicembre o peggio che ne consiglino il rinvio, rischiano di essere molto tumultuose. È prevedibile che i fascisti scateneranno le loro squadracce sulle piazze per disturbare sistematicamente il corso della campagna elettorale per le elezioni regionali, che cercheranno di ostacolare le elezioni stesse. Non dimentichiamo infatti che essi sono irriducibilmente contrari alle regioni, che essi dispongono di forze paramilitari addestrate alla lotta di strada. L’apparato statale metterà il governo, come sempre è avvenuto, in sistematica difficoltà, per la protezione che esso accorderà ai fascisti. Saranno attaccati in particolare i socialisti e in questo senso è sintomatico l’ignobile attacco di Almirante a Scalfari in pieno Parlamento. Gradualmente il paese verrà portato, almeno secondo i piani della coalizione delle destre, ad accettare e ad assuefarsi alla violenza dei fascisti fin tanto che le destre non giudicheranno venuto il momento per il colpo finale. Fino a che la coalizione delle destre non sarà battuta e sconfitta – non mi stancherò di ripeterlo — non vi possono essere serie prospettive di riforma, di democrazia e di progresso sociale.

Nel corso di questi ultimi mesi è stato da più parti fatto ripetutamente il suo nome in riferimento alle indagini di polizia sugli attentati di Milano e di Roma del 12 dicembre. In particolare la stampa italiana, nella sua stragrande maggioranza, ha condotto contro di lei una violenta campagna. Cosa vuol dirmi a questo proposito?


Quanto è avvenuto non mi ha affatto sorpreso. Abilmente orchestrata dalla polizia e da certi ambienti della magistratura e del mondo politico italiano si è compiuta, in quest’ultimo mese una violenta denigratoria campagna di stampa contro di me e contro la mia casa editrice. Essa non è che l’esecuzione di un progetto preparato da tempo da certi ambienti politici italiani e stranieri, probabilmente gli stessi fra cui si trovano i mandanti della strage di Milano e degli attentati di Roma. Di questo progetto, per quanto riguarda cioè un imminente durissimo attacco contro di me personalmente e contro la casa editrice, avevamo da tempo notizie precise: sapevamo infatti che tanto in alcuni settori del governo che in alcuni ambienti della Dc si stava preparando un’azione per «sistemare la Feltrinelli», una casa editrice le cui iniziative politiche sfuggivano a qualsiasi controllo e condizionamento del governo e del padronato, una iniziativa editoriale che si era distinta per il suo coerente appoggio agli interessi e alle rivendicazioni operaie, bracciantili e contadine, delle popolazioni del Sud sottosviluppato, degli studenti italiani, una casa editrice che coerentemente e sistematicamente appoggia tutti coloro che, nel mondo, lottano contro l’imperialismo per la libertà e per l’indipendenza, per il socialismo e il comunismo. Non mi sorprende quindi affatto che quelle stesse forze che hanno ordito i criminosi e provocatori attentati e la strage di Milano abbiano colto l’occasione insinuando miei immaginari contatti con gli ambienti e le persone a cui vengono attribuite le responsabilità degli attentati e della strage per sviluppare questo attacco contro di me contando sulla implicita complicità della stampa di destra e di tutti gli ambienti reazionari italiani.



La sua accusa è durissima. Su quali prove la basa?


La verità, anzitutto non ha bisogno di essere dimostrata, solo le tesi e le ipotesi hanno bisogno di un faticoso lavoro di documentazione. Ma a prescindere da questo, non le basta la documentazione prodotta dall’«Observer» sugli intrighi dei colonnelli greci con alcuni ambienti politici italiani, l’esplicita affermazione da parte dei greci che gli attentati del 25 aprile alla Fiera e alla stazione di Milano furono organizzati da loro, l’esplicito accenno sulla necessità di colpire e tacitare la stampa di opposizione italiana, sull’interesse suscitato negli ambienti della gendarmeria italiana (carabinieri) per il ruolo svolto dalla gendarmeria greca nella preparazione del colpo di stato? Non le basta tutto questo per mettere insieme gli elementi di un quadro preciso su quanto sta accadendo in Italia? Davvero, non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. Ma oltre tutti questi elementi, che sono gli stessi di cui lei pure dispone, avevo, per quanto concerne le iniziative che si stavano preparando contro la Feltrinelli, informazioni precise che, evidentemente, non posso rivelare.

Dove è stato, Feltrinelli dal 4 dicembre, da quando la stampa italiana ha perso le sue tracce? Sono stato da varie parti: prima in Africa e in Asia per contatti relativi alla mia attività editoriale, Poi in Europa e in Italia.



In Italia? anche dopo la disposizione del ritiro del passaporto? Sì, anche in Italia, per rendermi conto di persona dell’atmosfera che vi regnava, per sentire il clima politico del paese, quello che la gente semplice diceva per strada. Sono entrato e uscito, le assicuro del tutto legalmente, e senza alcuna difficoltà, dai posti di frontiera italiani.

Che impressione ha avuto dell’Italia? Anzitutto ho avuto l’impressione che la frattura fra le classi lavoratrici e il governo, i partiti governativi, la grande stampa padronale si è ulteriormente approfondita. Gli aumenti vertiginosi dei prezzi, lo sviluppo della repressione stanno rapidamente politicizzando anche coloro che credevano che con i nuovi contratti ci si poteva o doveva accontentare. Ma non solo. Malgrado la campagna di stampa, i risultati provvisori delle indagini sugli attentati del 12 dicembre, la popolazione italiana nella sua maggioranza respinge le conclusioni che se ne vorrebbero trarre e individua fra i provocatori fascisti i responsabili di questi atti criminosi.



Come giudica oggi la situazione italiana?


Estremamente grave e seria. La coalizione delle destre italiane e straniere è lungi dall’essere battuta, anzi è più forte e compatta che mai. È questa la logica conseguenza dei fermenti sociali e politici del paese, delle lotte sindacali di quest’autunno. In questa situazione le istituzioni democratiche borghesi rivelano tutti i loro limiti: incapaci di raccogliere le rivendicazioni delle classi lavoratrici, di rinnovarsi e di rafforzarsi appoggiandosi interamente sulle classi lavoratrici e sostenendo fino in fondo i loro interessi antagonistici a quelli del grande capitale, le istituzioni rivelano tutta la loro ambiguità con le destre, che oggi in Italia controllano tutti gli strumenti effettivi di potere: il grande capitale, l’esercito, la polizia, la magistratura e godono, naturalmente, dell’appoggio incondizionato delle destre internazionali. Il centro sinistra, e in particolare la Dc, si rivelano incapaci di operare scelte adeguate alle esigenze del paese. Non possono scegliere a sinistra, oltre che per una forte vocazione di destra che pervade tanto la socialdemocrazia quanto larghi strati della Dc, anche per un freddo calcolo delle proprie forze: Rumor dichiarava recentemente che il governo non controllava più né l’esercito né la polizia, entrambe forze politicamente determinanti nella attuale situazione. Non c’è quindi da meravigliarsi se il governo è incapace di difendere le istituzioni o i cittadini contro la minaccia delle destre, se gli autori e i mandanti della strage di Milano e degli attentati di Roma vanno impuniti: il governo e la Dc sono costretti a concedere a queste forze una virtuale impunità e immunità in cambio delle briciole di potere che gli sono rimasti. Ma consideriamo anche un altro punto, assai importante in una società democratica borghese: l’atteggiamento del terzo potere, della stampa di informazione. A questo proposito credo basti citare il seguente episodio: la sera del 12 dicembre, a Milano, nella redazione di uno dei massimi quotidiani italiani si discuteva sui tragici avvenimenti della giornata e sulla possibile provenienza politica degli attentati al fine di stabilire la linea che il giornale avrebbe dovuto prendere. Prevaleva, nella redazione, il parere che gli attentati fossero opera delle destre. Ma la decisione che venne presa fu di attribuire gli attentati alle sinistre. Nulla di strano, ma quello che colpisce fu la motivazione addotta dal direttore del giornale per giustificare tale decisione. Egli disse: «Lo so che gli attentati sono quasi certamente opera delle destre, ma se questo fosse domani l’orientamento del giornale, avremmo in pochi giorni il fronte popolare». Si intrecciano così nella situazione italiana i classici e tradizionali elementi di debolezza e paura dei gruppi politici da cui dipende la gestione della democrazia parlamentare borghese: debolezza che deriva dall’impossibilità di controllare il capitale, l’esercito, la polizia proprio nei momenti in cui si tratta di imporre alla destra la volontà democratica e le esigenze di rinnovamento e progresso della società, avanzate dalle classi lavoratrici e dalla maggioranza della popolazione. Paura di appoggiarsi decisamente sulle classi lavoratrici, di chiamarle a difendere e rinnovare le istituzioni, di dar loro, se necessario, le armi per difendersi e per difendere le istituzioni contro l’attacco, insidioso o aperto, delle destre. E così ancora una volta si ripete la lezione della storia. Si ripete l’esperienza dell’Italia nel ’21, della Spagna nel ’35, dell’Italia all’8 settembre quando per paura del popolo non furono date ai cittadini le armi per difendersi contro i tedeschi, la lezione dell’Indonesia dove l’alleanza di governo fra il Partito comunista e le forze democratiche borghesi fu schiacciata nel sangue da un colpo di stato militare, della Grecia, infine, nel 1967. Se oggi non si coglie l’occasione partendo dal livello di massa raggiunto dalle lotte dell’autunno per sferrare un attacco a fondo contro la coalizione delle destre, se questa prospettiva non viene chiaramente e irrevocabilmente realizzata fino alle ultime conseguenze ciò significherà il definitivo declino e tramonto delle organizzazioni politiche tradizionali della classe operaia. Di fronte all’incalzare della reazione, superato il momento in cui si poteva partire dal livello di massa che le lotte hanno raggiunto nell’autunno del ’69 per sviluppare un attacco rivoluzionario contro le destre coalizzate si dovrà inevitabilmente ricorrere ad altre, nuove forme o di lotta politica. Non saranno più queste dirette dai partiti ma da nuove avanguardie rivoluzionarie che dovranno con il loro esempio e la loro azione ridare fiducia alle masse, organizzarle e mobilitarle all’azione.

Lei crede che le organizzazioni politiche tradizionali si pongano il problema di sviluppare una lotta rivoluzionaria contro le destre partendo dal livello di massa raggiunto dalle lotte di questo autunno?


È difficile dirlo. Ma dubito fortemente che le organizzazioni politiche tradizionali, quelle che oggi ne avrebbero la forza, contemplino tale strategia. Per vent’anni si è lavorato secondo una prospettiva diversa, di tipo laburista; si è lavorato, si sono selezionati i quadri secondo una prospettiva parlamentare ed elettorale al socialismo. Non dimentichiamo che le lotte dell’autunno furono imposte ai sindacati dalla classe operaia, pena lo scavalcamento e la fine del sindacato, per cui oggi, di fronte ad una dimensione della lotta di classe che non è né prevista né voluta, forse l’organizzazione politica, almeno in molti luoghi, non sarebbe neanche adeguata ai compiti di lotta che una simile strategia comporta. Ma soprattutto credo che il gruppo dirigente di queste organizzazioni politiche tradizionali non possa o non voglia prendere atto della situazione, delle possibilità che essa offre, delle responsabilità che essa loro impone. E non è che non capisco il dilemma di questi gruppi dirigenti politici, il dilemma fra una politica offensiva che, per conquistare il molto che c’è ancora da conquistare, mette in gioco, compromette il poco che è stato conquistato e una politica di pura e semplice difesa dello status quo, con qualche piccola puntata difensiva per migliorare, qua e là, le condizioni delle masse, nella speranza di sfruttare le crisi e le crepe del sistema per inserirsi senza scosse al governo come elemento sia di stabilizzazione che di rinnovamento e progresso. Personalmente credo che se una volta posto il dilemma, si sceglie la seconda via, la via della evoluzione graduale, della politica di difesa, anche quando obiettivamente le condizioni sono favorevoli per un attacco, non si fa altro che scegliere una variante socialdemocratica inefficace, sia sul piano di conquistare gradualmente migliori condizioni di vita, di lavoro, maggiori diritti per le classi lavoratrici, quanto sul piano della difesa contro l’attacco avversario. Penso che il dilemma vada respinto perché porta a cadere in un tranello, significa subire un ricatto avversario e trasformarsi quindi, consapevolmente o inconsapevolmente, in elemento di difesa, ma almeno fosse efficiente, dell’ordine e degli interessi costituiti del capitale.

Ha visto che «l’Unità» ha polemizzato con le sue dichiarazioni a «L’Espresso»? So bene che «l’Unità » non è d’accordo con me, con il giudizio che io ho espresso sulla situazione politica italiana nella mia lettera a «L’Espresso» e di cui quanto sto ora dicendo non è che un logico completamento. Ma «l’Unità» polemizza anche con i sovietici, anche con la «Pravda». E l’ultimo caso verte proprio su un giudizio sulla situazione italiana: recentemente la «Pravda» in un articolo denunciava certi intrighi di generali italiani, certe loro manovre che potevano far pensare a dei preparativi per un colpo di stato. Ebbene, di tale articolo fu fatta menzione sul «Giorno», ma non, salvo che mi sia sfuggito, su «l’Unità».

Che cosa intende fare, Feltrinelli, quale contributo intende portare a una situazione che lei ha descritto in così fosche tinte? Il problema strategico fondamentale è quello di sconfiggere la coalizione delle destre. Come primo passo in questa direzione mi sembra necessario sviluppare e approfondire una piattaforma politica capace di esprimere tanto le rivendicazioni immediate, parziali delle classi lavoratrici, degli studenti e dei tecnici quanto le loro rivendicazioni economiche e politiche globali di potere di classe. Tale piattaforma deve cioè associare le lotte per obiettivi parziali con gli obiettivi finali della lotta delle classi lavoratrici. Una piattaforma politica intorno a cui unire tutte le forze sane della sinistra, che permetta di superare gli astrattismi di certe formulazioni ideologiche o il pragmatismo e l’economicismo di certe posizioni operaistiche. Una piattaforma politica che infine permetta di recuperare intorno ai grandi temi dell’antifascismo, del socialismo e del comunismo le organizzazioni di base dei partiti tradizionali, di quelle organizzazioni di base e di quei compagni che non condividono la strategia riformista degli accordi di vertice, che non si accontentano di affidare alle istituzioni della democrazia borghese la difesa dei loro diritti minacciati dalla colizione delle destre, di tutti quei compagni che si rendono conto che in una società capitalista le lotte e conquiste parziali, che modificano l’equilibrio capitalista ma lasciano sostanzialmente intatte e più forti le forze della reazione, devono essere seguite con ritmo incalzante da altre lotte capaci di distruggere la coalizione delle destre.

Lei lascia quindi l’attività editoriale? No. Continuerò ad occuparmi dell’attività editoriale per quanto concerne la raccolta di manoscritti, di documenti; continuerò a sollecitare amici e compagni a scrivere, discuterò con loro dell’impostazione del loro lavoro. Ma mentre in passato il mio interesse, il mio intervento nella politica era sempre mediato dall’attività editoriale, da ora in poi mi riprometto un intervento più diretto nel corso e nello sviluppo degli avvenimenti.

Che cosa intende fare contro la stampa che in questi ultimi tempi ha sviluppato una campagna di ingiurie e calunnie contro di lei? Nulla. Non ho intenzione di querelare alcuno dei giornali che mi hanno calunniato o ingiuriato. I vari Gianpaolo Pansa, i vari giornalisti del «Tempo», della «Nazione» dello «Specchio» o del «Borghese» non si preoccupino a questo proposito di essere querelati. Si tranquillizzino pure i vari Agnelli, Monti o Angiolillo, non dovranno sganciarmi una lira di indennizzo. Da parte mia, non ci saranno querele.

Perché?


Senta, la stampa italiana ha dato, nel suo complesso, in questi ultimi mesi un tale spettacolo di bassezza morale, politica e professionale, di inciviltà e ribalderia che non si può pensare di correggerlo con delle querele. E mi riferisco non solo alla campagna che hanno svolto contro di me, di cui io, visto da che parte viene, posso anche sentirmi onorato, ma alla maniera in cui, scavalcando la magistratura e la Costituzione hanno processato i singoli imputati frettolosamente individuati dalla polizia, mi riferisco alla maniera in cui hanno fatto ricadere la responsabilità su intere categorie di cittadini, sugli anarchici in primo luogo, ivi compreso il Partito comunista.

Basterà citare a questo proposito l’ignobile articolo di Notarnicola sul «Corriere d’informazione» contro Valpreda, colpevole o innocente che sia, per avere una idea esatta del terrorismo giornalistico in atto in Italia. Basterebbe l’esempio della stampa italiana in questi mesi per dimostrare che non viviamo in una società democratica, in un paese civile, per dimostrare il livello abbietto a cui sono giunti i gruppi politici capitalisti italiani, il livello di decadenza delle istituzioni, del clima politico italiano. Con una stampa del genere, nessuno in Italia oggi è sicuro e salvaguardato dei propri diritti. Non si devono preoccupare costoro che io un giorno presenti loro il conto delle mie personali recriminazioni. Si preoccupino fin da ora che giorno verrà, e non è lontano, che la classe operaia, il proletariato italiano presenterà al padronato italiano, ai suoi gruppi politici corrotti e a suoi servi un conto ben più lungo.

Il quotidiano «Il Tempo» di Roma ha affermato che lei, direttamente o indirettamente, avrebbe avuto dei contatti con dei fuorilegge in Sardegna?

Non ho letto l’articolo a cui lei accenna e comunque non mi abbasserei mai al punto dì discutere o polemizzare con il giornale che in Italia è uno dei portavoce dei colonnelli greci. Ma sulla questione della Sardegna vorrei dire qualche cosa. I Savoia prima e i governi della repubblica che si sono succeduti in un secondo tempo si sono sempre distinti per una lunga tradizione di rapina e sfruttamento di tipo coloniale ai danni della Sardegna e del suo popolo, per una politica di violenta e e talvolta sanguinosa repressione di un popolo usato alternativamente come carne da macello nelle varie guerre e, negli ultimi vent’anni, come forza lavoro da avviare alle fabbriche del Nord o alle fabbriche tedesche. Lo stesso, per inciso, si può dire di tutto il Mezzogiorno, solo che di i sardi hanno di questa colonizzazione da parte dello Stato e del capitale italiano e straniero una magiore consapevolezza. Gli sforzi del governo di installare nel Sud e in Sardegna complessi industriali non hanno modificato la condizione semicoloniale della Sardegna e del Mezzogiorno stesso, anzi le hanno accentuate. Affermare quindi che la via dello sviluppo economico e politico della Sardegna (come del Mezzogiorno e, in senso più generale, dell’Italia nel suo complesso) passa attraverso il rifiuto della politica capitalista di sviluppo, che la via dello sviluppo, sempre per adoperare un termine ormai logorato, passa invece per l’indipendenza e per il socialismo (proprietà comune della terra, esproprio senza indennizzo dei mezzi di produzione e delle banche) mi sembra una impostazione corretta del problema non solo per la Sardegna e per il Mezzogiorno, ma per tutto il paese nel suo complesso. Anni fa un giornale francese, mi sembra «Le Monde», ha correttamente definito la Sardegna l’Algeria dell’Italia. Si potrebbe soggiungere che l’Italia oggi è l’Algeria dell’Europa intera.

– E la questione dell’Alto Adige? Se per quanto la Sardegna lei ha pubblicato, presso la sua casa editrice, una serie di opuscoli che oggi sono all’esame della magistratura, perché non ha fatto altrettanto per l’Alto Adige? Considera forse il problema in maniera diversa? – Il problema del Sud Tirolo è assolutamente identico a quello della Sardegna, e forse anche più grave in quanto, in questo caso, abbiamo una popolazione di lingua tedesca sottomessa all’Italia con la forza delle armi cinquant’anni fa che ha rivendicato con forza la propria indipendenza. E il fatto che in passato queste rivendicazioni di libertà e indipendenza siano state egemonizzate dalle destre, dalla grande borghesia locale non cambia niente al fatto che si trattava e si tratti di una rivendicazione legittima. Infine dal fatto che la lotta per l’indipendenza del Sud Tirolo sia stata egemonizzata in passato dalla borghesia locale può spiegare il fatto che nessuno si sia mai rivolto ad una casa editrice di sinistra, come la Feltrinelli, per la pubblicazione di testi, documenti ecc. – Cerchiamo di concludere. Cosa pensa dei recenti attentati e della strage di Milano? – Mi sembra chiaro che gli attentati del 12 dicembre, come del resto quelli del 25 aprile a Milano e quelli dei treni quest’estate, siano opera di estremisti di destra, di gente che dipende da una centrale di destra che ha un piano politico preciso, che attua una precisa congiura sia contro le istituzioni della democrazia parlamentare, sia soprattutto contro le classi lavoratrici italiane. Il piano di questa congiura, l’obiettivo intermedio è quello di offrire una serie di pretesti perché le forze di repressione dell’apparato statale italiano scatenino un violento attacco in Italia, per creare un clima politico che giustifichi una involuzione reazionaria e un violento soffocamento delle rivendicazioni e delle lotte operaie e contadine. Non sono, questi attentati, il frutto di una iniziativa offensiva delle avanguardie politiche del proletariato italiano. Essi hanno in comune con gli attentati del 25 aprile a Milano proprio la mancanza di un qualsiasi significato politico esemplare, capace di mobilitare intorno a queste iniziative, in appoggio a un movimento qualsiasi di ribellione l’opinione pubblica o le classi lavoratrici. E non a caso siamo quindi venuti a sapere dall’«Observer» che gli attentati del 25 aprile erano opera di emissari dei colonnelli greci e un giorno verremo a sapere che dietro agli attentati del 12 dicembre c’erano le estreme destre. Sono convinto che ci troviamo quindi di fronte a una congiura, i cui membri si fanno scudo, per sviare le indagini, di giovani più o meno anarchici, infiltrati pesantemente da agenti provocatori e fascisti, di giovani che amano parlare con facilità di bombe, che di tanto in tanto possono anche far esplodere, dimostrativamente, qualche bomba carta che fa più rumore che danni. Di giovani che forse violano qualche disposizione legislativa e quindi prestano facilmente il fianco per essere indiziati di atti criminosi come gli attentati di Milano e di Roma, tanto più che è ben nota la parzialità degli organi inquirenti, della stampa italiana, soprattutto quando i veri responsabile godono di appoggi poderosi nell’ambito di certi ambienti e di certi gruppi politici italiani.

Ma la magistratura italiana è certamente immune da influenze politiche di questo tipo che, al massimo, si potrebbero supporre esistere nell’ambito di certi settori dell’esecutivo. In Italia si parla ormai apertamente di crisi della magistratura e non solo di crisi di efficienza ma anche di valori e contenuti. Non mi stupirebbe quindi che nella sua maggioranza la magistratura tenda ad accettare le conclusioni degli organi inquirenti, che in altri casi essa sia incapace di ottenere dalla polizia giudiziaria quelle indagini negli ambienti di destra che essa ritenesse necessari all’istruzione di un processo, alla conoscenza della verità, infine che in altri casi sembrasse quasi manovrata, inconsapevolmente, da chi forse conosce o da chi partecipa, in un modo o l’altro, al disegno criminoso dei congiurati. L’ipotesi che vi sia gente che abbia interesse a far ricadere la colpa e la responsabilità degli attentati su giovani che possono forse essere incriminati di reati minori ma che comunque sono estranei alle imputazioni che oggi vengono loro elevate non andrebbe a mio avviso scartata. Certo bisognerebbe iniziare daccapo l’inchiesta, scartare tutto l’evidente, tutti i facili indizi per concentrarsi anzitutto su chi è così prodigo di indizi come lo è uno degli imputati minori che come alibi cita personaggi di estrema destra, su chi ha troppa fretta di distruggere prove importanti o trasformare indizi in prove, su chi con la sua autorità riesce a spostare certe persone da una città all’altra perché si possano così accumulare su di esse una serie di indizi. Bisognerebbe vedere se ci sono state e da che parte provengono eventuali influenze per far assegnare al tale o tal altro inquirente mansioni particolarmente delicate nella istruzione dei vari processi. L’Italia non è la Grecia. D’accordo. Ma in Grecia almeno c’è stato un giovane magistrato che ha avuto il coraggio di smascherare i mandanti e gli esecutori dell’assassinio di Lambrachis.


Un’ultima serie di domande. Perché, Feltrinelli, lei non si ripresenta nel suo ufficio di via Andegari 6 a Milano, non affronta l’opinione pubblica che non comprende la ragione di questa sua prolungata assenza, e tanto più se lei è innocente, non affronta la magistratura per dimostrare la sua estraneità con gli ambienti responsabili degli attentati? Se domattina, approfittando della mia posizione e dei miei mezzi io mi presentassi nel mio ufficio, convocassi la stampa e i miei legali e organizzassi la mia difesa contro i tentativi di sopraffazione, da qualsiasi parte essi vengano, per dimostrare la mia estraneità agli ambienti e alle persone che sono indiziate per questo o quell’attentato, io avrei certamente la simpatia di gran parte della pubblica opinione. Dimostrerei infatti di avere fiducia nelle regole del gioco della nostra società, nella imparzialità della magistratura, negli ordinamenti e nelle istituzioni dello Stato. Questo è quello che buona parte della pubblica opinione vuole, perché ciò calmerebbe i dubbi, le incertezze e le ansietà che essa stessa nutre verso la imparzialità della magistratura, verso le regole del gioco della nostra società, verso gli ordinamenti e le istituzioni dello Stato. Quelle ansietà dubbi e perplessità che rodono la coscienza della maggioranza dei cittadini ma che ancora molti, troppi non vogliono ammettere. Ma questi dubbi, queste ansietà non devono essere assopiti o calmati, al contrario vanno evidenziati perché solo così si può raggiungere un primo grado di consapevolezza politica, premessa indispensabile per il rinnovamento della società. Ognuno deve sapere quello che sanno gli operai, i braccianti, i disoccupati e i pastori: che viviamo in un paese in cui la legge non è uguale per tutti, in una società in cui, per citare quanto ha detto il dottor Petrella in una recente intervista sul «Corriere della Sera», «la crisi della giustizia non è solo crisi di inefficienza ma è crisi di valori e di contenuti». Ognuno deve sapere quello che sanno gli operai, i braccianti, i pastori, che in questa società l’unica difesa è l’organizzazione, la solidarietà, che l’unica difesa è l’attacco, basandosi sulle proprie forze per resistere prima, poi per cambiare e modificare le strutture della società italiana. Se dunque non mi presento nel mio ufficio è perché di fronte alla congiura in atto da parte della coalizione delle destre italiane e straniere io non ho nessuna fiducia che la verità trionfi. Contro una stampa che sistematicamente svolge opera di terrorismo io mi sento, alla stregua di ogni cittadino, indifeso. Contro gli intrighi e le provocazioni delle destre e di certe forze dell’esecutivo io mi sento indifeso in un paese dove, al termine di un «normale» interrogatorio, si muore cadendo da una finestra del quarto piano della Questura. In un paese dove un magistrato ti informa che sei indiziato di reato (di quale reato, di grazia?) perché qualcuno ti ha mandato per posta un volantino, io mi sento indifeso. Ma soprattutto, se non affronto oggi questa battaglia è perché non ritengo che questa mia personale battaglia sia oggi la battaglia principale da condurre. Se anche per ipotesi, con i mezzi a mia disposizione io dovessi riuscire a ristabilire la verità, a vedere revocati i provvedimenti con cui si ordina il ritiro del mio passaporto, a vedere condannate decine di giornali, a vedere esonerati o trasferiti funzionari e magistrati, tutto questo non potrebbe essere acclamato come un trionfo della giustizia e della democrazia. Sarebbe solo l’ennesima mistificazione. La democrazia, la giustizia, la libertà non si misurano sul «caso Feltrinelli». Non si misurano sul grado di salvaguardia dei diritti politici e civili di un Feltrinelli. La democrazia, la giustizia e la libertà si misurano dal livello dei diritti economici, civili e politici del semplice operaio, del disoccupato, dell’edile, del bracciante e del pastore. Fino a che i diritti delle classi la-voratrici del proletariato italiano non sono riconosciuti e salvaguardati io rifiuto tanto le condanne che le assoluzioni di un sistema che discrimina fra i cittadini dividendoli fra quelli che hanno soldi, amici, avvocati e quindi diritti e potere, e quelli che non hanno soldi e sono quindi esposti quotidianamente alle peggiori vessazioni, ai più atroci arbitri.

Lei dunque si rifiuterebbe di rispondere alle domande dei funzionari di polizia o dei giudici istruttori? Certamente no, se sono domande pertinenti alle indagini sugli attentati.

Ha letto le ultime dichiarazioni del giudice istruttore Amati nelle quali si precisa che non vi è contro di lei mandato di cattura e che le indagini di polizia giudiziaria si limitano esclusivamente alla questione concernente un volantino che le sarebbe stato inviato per posta ai primi di aprile?


Ho letto le dichiarazioni del giudice istruttore dott. Amati. Tale dichiarazione a dire il vero solleva più quesiti di quanti non ne risolva. Resta infatti da chiarire: I) perché, dopo sette mesi di indagini, proprio ai primi di novembre il giudice istruttore di un processo che concerne alcuni anarchici mi comunica che sono indiziato di reato (quale? associazione a delinquere?) perché da una testimonianza risulterebbe che mi sia stato inviato, insieme all’Istituto di storia sociale di Amsterdam, copia di un volantino ritrovata sul luogo di un attentato dinamitardo il 1° aprile del ’69. L’assurdità e la pretestuosità della imputazione, mi sia permesso di dirlo, è evidente; II) quali ragioni hanno indotto il dottor Amati, dopo che alla questura si era, pochi giorni dopo gli attentati del 12 dicembre, da parte della Procura della Repubblica risposto con un rifiuto alla richiesta di autorizzazione a perquisire il mio ufficio in via Andegari, a concedere tale autorizzazione che, evidentemente, non aveva niente a che vedere con il famoso volantino; III) per quale ragione il dott. Amati, pochi giorni dopo che mi aveva convocato e che da parte mia si era

esaurientemente risposto alle sue domande circa il volantino in questione, nel bel mezzo delle prime, frenetiche indagini sugli attentati del 12 dicembre ordina il ritiro del mio passaporto, provvedimento davvero inusuale per delle indagini su un volantino e nemmeno preso in occasioni di imputazioni di bancarotta fraudolenta come nel caso del signor Felice Riva. I due ultimi quesiti mi sembrano di particolare importanza perché proprio da questi provvedimenti, ingiustificati tanto nel merito quanto per il momento in cui sono stati presi, ha avuto avvio quella campagna denigratoria di stampa che io considero parte del più generale complotto contro le istituzioni italiane della democrazia parlamentare, contro le classi lavoratrici italiane e contro ogni forma di libertà di espressione.

Ma per quali ragioni certi ambienti vorrebbero montare una provocazione contro di lei, perché certi ambienti vorrebbero colpirla, liquidarla?


Abbiamo visto, nelle ultime settimane, arrestare e denunciare compagni in base al codice Rocco. Abbiamo visto scatenarsi in Italia una campagna di stampa contro le sinistre di inaudita violenza e bassezza. In Parlamento abbiamo visto deputati come Scalfari attaccati e ingiuriati da delle canaglie fasciste. Da tempo sono ricomparse le squadracce fasciste. Con questi strumenti si cerca di colpire coloro che, come «L’Espresso» scriveva recentemente, pensano e quindi cospirano. Agli occhi della coalizione delle destre italiane e internazionali io sono colpevole per avere nella mia qualità di editore pensato e quindi cospirato, pubblicato e quindi istigato alla difesa della libertà, per avere denunciato gli intrighi e i piani della coalizione delle destre per una involuzione autoritaria, per un colpo di Stato; per aver cospirato e istigato alla difesa dell’indipendenza politica ed economica del nostro paese. Agli occhi della coalizione delle destre sono colpevole di cospirazione per avere pubblicato opuscoli in difesa della causa di libertà e indipendenza del popolo sardo, sono colpevole per avere difeso e sostenuto la causa dell’emancipazione politica ed economica del proletariato italiano, delle popolazioni delle regioni sottosviluppate, degli emigrati costretti con la violenza della fame e della miseria a lasciare le loro case e le loro terre. Agli occhi delle destre italiane e internazionali sono infine colpevole di aver sostenuto e appoggiato le lotte per l’indipendenza e per il socialismo dei popoli che, armi alla mano, lottano contro l’imperialismo. Con l’aggravante di aver usato dei mezzi a mia disposizione per pubblicare libri, documenti, opuscoli e messaggi che diffondessero l’idea di libertà, progresso e socialismo fra le classi lavoratrici italiane. Questi, agli occhi delle destre, sono no delitti che vanno colpiti. Ma di questi fatti che agli occhi delle destre sono delitti mi assumo la piena responsabilità; se questi sono delitti ebbene sono fiero di aver commesso questi delitti.


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Nanni Balestrini (Milano, 1935 – Roma 2019), ha vissuto tra Roma e Parigi. Negli anni Sessanta è stato tra i principali animatori della stagione della «neoavanguardia». Autore di numerose raccolte di poesia e di romanzi di successo tra i quali Vogliamo tutto, Gli invisibili, I furiosi. Con altri è stato ideatore di storiche riviste come «Quindici», «alfabeta» e «alfabeta2». La casa editrice DeriveApprodi ha pubblicato quasi tutte le sue opere.




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