Due poesie di Giusi Drago: epicentro di rivoluzione e senza lo stigma dell'identità.
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epicentro di rivoluzioni
una disposizione al tumulto ha oggi
il prato di Marter, asfalto di erbe scucite e corrotte
non mima nemmeno il disordine del vento
non da piogge non da frane è sconvolto
il sistema-prato, luogo d'incontro
di tutti i ribelli, anche i più utopisti
la vite americana è malata di dualismo e rifiuta
di crescere nei vasi, la paura divide in due
anche le foglie: le iconoclaste – accavallate nei grovigli
le ottuse – pigmentate del proprio eliocentrismo
come se il prato fosse un blocco d’erba
umida o secca e non diaspora rigata da fratture,
coagulo di fazioni, asilo di congiure
la grondaia perde, il muro è inquinato
da muffe che dilagano in territori non previsti
tutti i ribelli, anche i più distratti e autolesionisti
si incontrano sotto il noce battuto dalla pioggia
le crepe nelle mattonelle, le fibre di legno deformato
sono per intelligenza eretica epicentro
di molte rivoluzioni, anche le più impensabili
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senza lo stigma dell’identità
sempre condannati a brevi fiati di crescita
così veloci seccano tarassaco e camomilla
con le radici dentro una terra dissestata
e collassano le cicute anche senza lo stigma
dell’identità che si perde che demorde
quel che resta, cosa resta: coesione provvisoria
e polivalente di programmi conflittuali - identità
inutile anzi dannosa come la pena
di morte secondo Beccaria, ma avventurosa
avventura che decora il carattere
di elementi realistici causando aritmia
o strappi che danno forma alla personalità
ma su ciò tarassaco e camomilla (perdute erbette
d’estate ostinate a scagliarsi dentro una terra
che dopo l’aratura si sfrangia in blocchi argillosi)
non aggiungono nulla né chiosano sulla differenza
fra spazio e tempo – nel tempo stanno
troppo poco e lo spazio lo occupano
in sottigliezza e in superficie come leggera peluria
che basta un falcetto a rasoiare via
e in questa maniera inapparente
di prender figura nel mondo
e per giunta nell’impossibilità
di lottare contro altri corpi in movimento
le nostre erbe d’estate così secche e sciocche
per idea fissa d’amore verso il sole
neppure riescono a soppesare sé stesse
per miopia o ignoranza in geografia chiedendosi
se la morte favorisca l’imporsi del bianco, la neve
su ampie distese, neve anche impura, infettata
di fango o piovischio e se dall’innevato fiorisca
una riflessione bianchissima
sul perché finora i fiocchi dei pensieri
abbiano turbinato disegnando archi
Immagini: Arrigo Lora Tutino, Nel bosco, 2003
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Giusi Drago, nata a Trento, vive a Milano. Ha pubblicato Partiture della memoria in 7 poeti del premio Montale (Scheiwiller, 1995), La pazienza della mano (Nicolodi, 2005), Tempo negoziato (La Camera verde, 2014) e Correggere le diottrie (Oèdipus, 2019).
Nel 2011 ha ricevuto il Premio italo-tedesco per la traduzione letteraria (Nachwuchspreis) con È morto Tito di Marica Bodrožić (Zandonai, 2010). Ha tradotto, fra gli altri, Carl Gustav Jung, Gustav Meyrink, Rainer Maria Rilke, Robert Walser e Ilse Aichinger.
Dal 2001 al 2005 ha diretto la rivista «Dialogica. Semestrale di ricerca e culture letterarie». È tra i redattori del blog «Perìgeion - un atto di poesia».
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