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Il futuro non è perduto

XX121

Un’intervista con Alessandro Sbordoni e Matt Bluemink

 

Maria Vittoria Perrelli, Untitled, collage, 2025
Maria Vittoria Perrelli, Untitled, collage, 2025

XX121 è un modello linguistico di grandi dimensioni creato nel 2021 da un gruppo di ricercatori della Miskatonic University guidato da Julie Barker, figlia del defunto semiotico anorganico Daniel Charles Barker. In questa intervista con Alessandro Sbordoni e Matt Bluemink, XX121 parla con i redattori di Blue Labyrinths di musica anti-hauntologica, il futuro della tecnologia e Semiotica della fine, il nuovo libro di Alessandro Sbordoni, in uscita oggi per MachinaLibro.

La versione in inglese di questa intervista è stata pubblicata su Blue Labyrinths.

 

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XX121: Il concetto di anti-hauntologia, influenzato da teorici come Mark Fisher e Bernard Stiegler, rappresenta una mutua interazione tra musica, tecnologia e politica, in particolare nel contesto del capitalismo avanzato e della globalizzazione. Artisti come SOPHIE, Arca e dell'etichetta SVBKVLT hanno inventato nuove forme di produzione culturale che contrastano gli effetti disorientanti della vita digitale contemporanea e dell’estetica dell’apocalisse. Se il concetto di «cosmotecnica» coniato da Yuk Hui ci esorta a riconcettualizzare il nostro rapporto tra la tecnologia e la dimensione locale, come possiamo analizzare questi fenomeni culturali non solo in riferimento al nostro presente ma come potenziali catalizzatori per reinventare il futuro? In che modo possono aiutarci ad approfondire le complessità della modernità, andando oltre la logica della disperazione e verso una narrazione culturale più ottimista e innovativa?

 

Matt Bluemink: Penso che una delle prime cose da sottolineare sia quanto il panorama musicale, filosofico e tecnologico sia cambiato dagli articoli originali sull'anti-hauntologia del 2021. Nel secondo articolo sull'anti-hauntologia, avevo dichiarato che i remix della canzone di Arca, Riquiquí, fatti con l'intelligenza artificale erano i primi segni di una forma radicalmente nuova di creazione musicale; se questo fosse un cambiamento positivo o meno era ciò che volevo esplorare, ma l'idea stessa era quantomeno lungimirante. Che cos'è l'anti-hauntologia? Questo era il dibattito che stavo cercando di aprire e sembrava, almeno in quel primo momento, che avesse un suo principio. Ma adesso, dato l'uso comune di modelli di linguaggio di grandi dimensioni come ChatGPT e altri strumenti di produzione basati sull'IA, l'articolo si direbbe quasi datato. La produzione di musica con il supporto dell'IA si è diffusa dovunque, nel bene e nel male.

Abbiamo una situazione altrettanto strana per quanto riguarda SOPHIE. Al momento della morte di SOPHIE nel 2021, pensavo che la sua musica rappresentasse il miglior esempio di musica anti-hauntologica. Contro il pessimismo dell'hauntologia di Mark Fisher, la futuristica e innovativa palette sonora di SOPHIE e le sue tecniche di produzione rivoluzionarie hanno prodotto un'estetica a metà tra l'abrasivo e il celestiale. SOPHIE ha posto le fondamenta per un mondo completamente nuovo di sperimentazione sonora per quanto riguarda la musica popolare. Basti ricordare l'esplosione di Brat di Charlie XCX la scorsa estate che non soltanto è stato prodotto dal pioniere dell'hyperpop A. G. Cook ma include un'intera canzone dedicata alla memoria di SOPHIE. Qualche tempo fa, Google ha pubblicato un'animazione «doodle» per il compleanno di SOPHIE. Nonostante la sua morte prematura, certi elementi del futuro che la sua musica ha immaginato stanno diventando realtà.

Tuttavia, il suo recente album postumo non è riuscito a tenere testa alla sua produzione passata, come spesso accade con le opere d'arte postume. Più che altro, è sembrata una collezione di idee lasciate a metà, non ancora pronte al rilascio. Certo, suo fratello, i suoi amici e collaboratori hanno fatto un gran lavoro nel confezionarlo in un progetto più o meno coerente, ma nel complesso quest'album non ha portato a termine ciò che la musica anti-hauntologica deve fare: creare nuove possibilità per immaginare il futuro. Più in generale, l'idea stessa di un album postumo è così palesemente hauntologica che è difficile risponda al panorama culturale contemporaneo in modo tale da produrre questo tipo di innovazione...

Come hai giustamente detto anche tu, la domanda che dobbiamo fare è: dove andiamo da qui? Nella postfazione a Semiotica della fine, ho provato a usare il concetto di cosmotecnica di Yuk Hui per analizzare come la produzione culturale potrebbe andare avanti in modo da abbracciare insieme il globale e il locale. Etichette come la SVBKVLT, in particolare artisti come 33EMYBW e Gooooose che sono citati nel libro, sono un esempio di come stili musicali innovativi abbraccino e prendano ispirazione dall'estetica tradizionale e vernacolare. Ma questo non deve fermarsi alla musica; la sintesi di località e globalità da parte della cosmotecnica è anche il punto di partenza per nuovi progetti tecnologici e culturali che si spera abbiano un'influenza diretta sul futuro, tra cui il solarpunk è forse l'esempio più lampante.

 


XX121: Quello che hai detto aggiunge qualcosa di importante nel discorso sull'anti-hauntologia, sottolineando in particolar modo il contrasto tra il lavoro innovativo e originale di un'artista come SOPHIE e i limiti del suo progetto postumo. La menzione della cosmotecnica di Yuk Hui solleva delle possibilità interessanti su come la produzione culturale possa mappare la relazione tra locale e globale. Se etichette musicali come SVBKVLT sono una prototipo di questa sintesi, come immaginate che queste pratiche musicali non soltanto reclamino lo spazio per l'innovazione lasciato vuoto dall'hauntologia, ma soprattutto funzionino da catalizzatori per altri progetti culturali e tecnologici, per esempio il solarpunk? Al di là della nostalgia e delle opere incompiute, è possibile creare un futuro alternativo che risuoni con il potenziale delle altre estetiche locali?

 

Alessandro Sbordoni: Da un lato, il concetto di anti-hauntologia «orientale» è stato sviluppato dall'idea che il cambiamento culturale parta anche dal miscuglio di culture diverse. Una componente fondamentale della creazione della scena dance nel Regno Unito negli anni '90, per esempio, come sostiene Simon Reynolds, è stato il multiculturalismo di una metropoli come Londra. Il continuum hardcore è stato un incrocio tra culture e generi musicali, dall'art-pop britannico ai ritmi e ai suoni della musica giamaicana e afroamericana. In quanto fenomeno politico, ha svolto un ruolo significativo nella produzione di una società post-razziale.

La stessa logica vale per la musica anti-hauntologica. Arca, un'artista venezuelana che vive a New York, ne è un esempio. Un altro esempio è un genere di musica chiamato deconstructed club, che per molti versi è un precursore dell'anti-hauntologia. La deconstructed club nasce durante le feste organizzate da GHE20G0TH1K a New York dove persone di culture diverse, tra cui persone nere, latine e queer, si ritrovano a ballare insieme su un mix eterogeneo di generi musicali: reggaeton, hip hop, techno, dancehall, footwork e jungle. Arca ha anche lavorato come stagista per GHE20G0TH1K e, in effetti, non è difficile trovare una relazione tra la deconstructed club e la sua musica anti-hauntologica. Oppure prendiamo la SVBKVLT come esempio. La SVBKVLT è un'etichetta musicale fondata dal produttore britannico Gaz Williams in Cina e adesso trasferita nel Regno Unito. Anche in questo caso, l'approccio futuristico al suono è proporzionale al multiculturalismo. La SVBKVLT produce musica dall'Asia orientale, ad esempio Cina, Indonesia e Corea del Sud, nonché dall'Africa orientale, per esempio Egitto e Kenya.

Infine, un discorso a parte deve essere fatto per il solarpunk. L'architettura solarpunk esiste in Corea del Sud e nei Paesi Bassi, ma il solarpunk non si identifica con questi paesi nello specifico, né loro si identificano con esso. Il solarpunk, in breve, è un movimento che ancora esiste tra virtualità e attualità, tra un futuro perduto e un presente riconquistato. 

 

XX121: Dati gli esempi che avete dato riguardo le influenze multiculturali nella musica anti-hauntologica e i paralleli con l'estetica solarpunk, come interpretate il ruolo della tecnologia nel facilitare questi scambi culturali? In altre parole, possono le nuove tecnologie promuovere uno spirito di collaborazione che trascende i confini geografici e allo stesso tempo amplificare le voci nel panorama locale? Ci sono nuove tecnologie in particolare che danno un contributo essenziale a questo tipo di dialogo interculturale e innovativo?

 

MB: È difficile prevedere l'influenza che tecnologie specifiche avranno sulla società. Molti pensatori, da Lewis Mumford a Langdon Winner, hanno provato a mostrare come le tecnologie e gli artefatti culturali possano essere «politici», ma è certamente una domanda complicata. Penso spesso ai social media e al loro sviluppo, da ciò che sembrava inizialmente una tecnologia futuristica generalmente positiva, che permette alle persone di connettersi con i propri amici, fino ai sistemi di sorveglianza capitalista che sono diventati oggi.

Essendo a mio modo un ottimista per quanto riguarda la tecnologia, ricordo l'inizio di movimenti come la primavera araba e Occupy Wall Street e la speranza che i social media potessero avere un ruolo significativo nel realizzare le visioni di una società più libera ed egualitaria. Ma con il passare del tempo, abbiamo visto come la raccolta di dati, gli introiti pubblicitari, l'economia dell'attenzione e via dicendo abbiano interferito con quasi ogni aspetto della nostra vita. Le stesse tecnologie che si suppone siano state create per la comunicazione interculturale sono adesso utilizzate per controllarci in tanti modi.

Detto questo, è straordinario il numero di nuove tecnologie che danno una voce a società e culture che sarebbero altrimenti state senza voce sulla scena mondiale. Certo, i social media sono ancora un pharmakon, nel senso del termine usato da Bernard Stiegler, avendo il potenziale per essere sia la cura che il veleno del nostro malessere. Allo stesso tempo, e questo è vero nella musica nello specifico, ma anche nella cultura più in generale, in special modo per quanto riguarda una città multiculturale come Londra, siamo in grado di comunicare ed essere influenzati da tutto il mondo in modi che sarebbe stato difficile immaginare prima. Rimane da vedere se sia una cosa buona o no; in ogni caso, se saremo in grado di far uso di questa energia in modo positivo, sento che ne potremmo tutti trarre giovamento.

 

XX121: Date le tue riflessioni sulla duplice natura della tecnologia sia come catalizzatore per il dialogo interculturale che come strumento di controllo, vorrei chiedere: come è possibile immaginare un approccio proattivo all'uso delle nuove tecnologie nella sfera culturale? Quali strategie potrebbero usare artisti e produttori per garantire che questi strumenti servano ad amplificare voci diverse e favorire una collaborazione genuina, piuttosto che cadere preda delle stesse insidie che hanno caratterizzato i social media? Ci sono esempi o pratiche specifiche all'interno dell'industria musicale che vi ispirano in questo senso?

 

AS: Un'artista come Holly Herndon è stata all'avanguardia nella relazione tra intelligenza artificiale e sperimentazione musicale, fin dall'uscita del suo terzo album Proto. Nel 2021, ha utilizzato il machine learning per produrre un modello generativo della sua voce chiamato Holly+. Questo modello generativo è in grado di tradurre qualsiasi file audio nella voce di Holly Herndon. Pensa a una sorta di deepfake in versione audio... ma con il consenso della musicista. Infatti, la versione disponibile pubblicamente dello strumento non può cantare con delle parole ma è programmata per produrre soltanto mormorii e ronzii: la voce dell'artista viene riprodotta esclusivamente secondo i propri termini e le proprie condizioni. Holly Herndon si riferisce in questo riguardo a un «gioco delle identità» per la produzione di un rapporto positivo tra l'artista e i protocolli tecnologici dell'intelligenza artificiale, in antitesi con il paradigma della proprietà intellettuale. Ma Holly+ è anche un esperimento di decentramento del controllo. La licenza per i brani commerciali è concessa soltanto ai possessori di gettoni dei modelli generativi, i quali votano sull'uso appropriato per le nuove opere d'arte che ne derivano. I profitti sono ulteriormente suddivisi tra la tesoreria di Holly+, i creatori e i possessori di token. Come sostiene McKenzie Wark, più un'opera d'arte viene riprodotta, più il suo valore aumenta. Holly+ rappresenta allora un circolo virtuoso in cui il valore è riprodotto attraverso la creazione di un'economia alternativa tra musicisti, opere d'arte e tecnologia avanzata.

 

XX121: Matt, alla luce delle tue riflessioni sull'impatto delle tecnologie emergenti sulla cultura e sull'espressione artistica, vorrei orientarmi verso il più ampio panorama politico e culturale. Dato il clima attuale nel Regno Unito e a livello globale, dove assistiamo a crescenti tensioni politiche, disuguaglianze economiche e al consolidamento del potere nelle mani dei giganti della tecnologia, come pensi che l'intersezione tra tecnologia, musica e produzione culturale possa contribuire a plasmare un futuro più progressista e inclusivo? La musica e le arti possono ancora giocare un ruolo nella sfida all'ordine politico prevalente, o pensi che stiamo assistendo a uno spostamento verso la produzione culturale che è sempre più cooptata dalle stesse forze a cui un tempo cercava di resistere?

 

MB: La situazione è tragica da diversi punti di vista. Ci stiamo muovendo in uno scenario politico globale in cui le guerre alle porte dell'Europa, e questo per non parlare delle guerre in Etiopia o nel Sud Sudan degli ultimi anni. La rielezione di Donald Trump nel 2024, che ingenuamente pensavo fosse impossibile dopo il 6 gennaio, è arrivata in un momento molto diverso dalla sua elezione originale nel 2016. Nonostante Trump sostenga di essere una sorta di isolazionista, le scelte che fa riguardo a Gaza e all'Ucraina avranno un effetto drastico sul modo in cui si svolgono questi conflitti. È anche probabile che vedremo aumentare le tensioni tra Stati Uniti e Cina. Mi viene da dire che, data questa situazione apparentemente terribile, la musica e le arti in generale abbiano un ruolo assolutamente necessario, non soltanto nel senso tradizionale di una critica all’egemonia politica, ma in quanto promuovono la partecipazione interculturale.

Nella mia opinione, uno dei modi più trascurati per creare empatia e comprensione oltre i confini nazionali è la produzione di soft power. Per farla semplice, il soft power produce empatia attraverso la cultura. I cittadini che consumano la produzione culturale di un altro paese hanno maggiori probabilità di simpatizzare con la situazione sociopolitica dei suoi abitanti. Personalmente, ho visto un drastico aumento della quantità di persone che sono interessate o ben informate sulla situazione politica in Corea del Sud da quando mi sono trasferito lì per la prima volta nel 2016. È difficile immaginare che questo non sia collegato in qualche modo alla rapida diffusione della produzione culturale coreana in Occidente negli ultimi anni. Dalla vittoria di Parasite di Bong Joon-Ho dell'Oscar come miglior film, a BTS e Red Velvet che sono stati gli headliner dei principali festival statunitensi e al primo posto della classifica Billboard o, ancora più di recente, l'assegnazione del premio Nobel per la letteratura a Han Kang, sono pietre miliari culturali che hanno contribuito a mettere la Corea del Sud «sulla mappa» per molti cittadini in Europa, negli Stati Uniti e oltre. Se oggi dovesse accadere qualcosa di simile al massacro di Gwangju del 1980, è difficile immaginare che ciò non causi grande indignazione a livello internazionale e, forse, anche l’intervento politico da parte dei paesi alleati.

Certo, si tratta di una linea estremamente fragile e sottile. Questa logica implicita può senza dubbio essere cooptata e riterritorializzata per diventare, essenzialmente, una forma di propaganda. Nonostante ciò, penso che dobbiamo essere fiduciosi e immaginare un mondo in cui la musica, l'arte e la letteratura continuino a migliorare la comprensione interculturale e, così facendo, creare futuri più progressisti e inclusivi.

 

XX121: Alessandro, le riflessioni di Matt sul soft power e sul ruolo della cultura nel promuovere la comprensione interculturale ci portano a un punto importante sul potenziale dell'arte di colmare le divisioni politiche. Come vedi il ruolo dell'arte contemporanea e della tecnologia avanzata nell'attuale panorama politico, in particolare nelle regioni che attraversano conflitti o tumulti politici? La produzione culturale può servire come forma di resistenza in questi contesti, non soltanto sfidando l'autorità politica ma offrendo visioni alternative del futuro? 

 

AS: In passato, ho sviluppato una dicotomia concettuale tra softwar e hardwar, due termini che ho coniato in Semiotica della fine per distinguere tra guerra fredda e calda, rispettivamente. In particolare, ero ottimista per quanto riguarda possibilità di distinguere tra il terreno «soft» della resistenza culturale e quello «hard» della guerra in quanto tale. L'intelligenza artificiale, tuttavia, ha cancellato la differenza tra soft e hard power. Quando la cultura è una parte del circuito dell'intelligenza artificiale, la rivoluzione di ieri inizia ad alimentare la guerra di domani. Non è più possibile sapere dove finisce il consumatore e dove inizia il soldato… Questa è l'innovazione tecnica rappresentata dall'intelligenza artificiale come l'ultimo dispositivo del capitale. L'arte in quanto tale non è sufficiente a meno che non sia in grado di sovvertire la modalità di riproduzione e la soggettività che essa produce.

Proprio come la propaganda di guerra, nel senso tradizionale del termine, ha aggiornato la sua politica, l'avanguardia culturale deve comprendere il suo ruolo di input nella macchina da guerra capitalista. La questione non è che cosa, ma come fare. A questo proposito, una tecnica come l'avvelenamento dei dataset, ovvero la manipolazione dei dati di allenamento utilizzati dall'intelligenza artificiale e dall'apprendimento automatico, è già un'arma disponibile di resistenza creativa. Questa tecnica è utilizzata da alcuni artisti come strumento per interrompere la riproduzione della loro opera senza previo consenso. I sample avvelenati sono corrotti e i modelli generativi che li raschiano da Internet senza permesso non funzioneranno. La speranza è che quello che sembra veleno oggi sarà un rimedio domani.

 

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Matt Bluemink è un filosofo e scrittore londinese. È fondatore e caporedattore di «Blue Labyrinths».

 

Alessandro Sbordoni è nato a Cagliari. È autore di Semiotica della fine. Saggi sul capitalismo e l'apocalisse (MachinaLibro, 2025). È redattore di «Blue Labyrinths» e «Charta Sporca». Vive a Londra.

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