Un campo di interrogazione critica sulla salute mentale

L’area disciplinare dei Mad Studies, introdotta in Italia dopo un ventennio di sviluppo nei contesti anglosassoni, può ricongiungere le riflessioni critiche sulla disabilità e le elaborazioni svolte dal movimento anti-istituzionale nell’ambito dei servizi psichiatrici e delle politiche di salute mentale, dialogando con le variegate forme di attivismo che hanno interessato negli ultimi decenni le aggregazioni di users/survivors/refusers della psichiatria, dallo «user involvement» al «Mad Pride». Grazie a questi incroci di saperi è possibile riattivare i nuclei ancora attuali della critica antistituzionale, individuando ciò che nei decenni ne ha indebolito la trasmissione e liberandone la postura ancora necessaria per orientarci nel presente.
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La critica antistituzionale
Con «critica antistituzionale» facciamo riferimento a un corpus di pratiche e di teorie degli anni '60 e '70 che hanno prodotto durature trasformazioni istituzionali e subito vari adattamenti e trasformazioni nel processo che ne ha accompagnato la trasmissione fino all'attualità. A causa del «tradimento» che ha coinciso con la sua tradizione ambiguamente trionfalistica, la critica antistituzionale è stata confusa con una banale umanizzazione e identificata con la chiusura dei manicomi. Ne è emersa un’idea rassicurante secondo cui sul finire degli anni Settanta - almeno sul piano formale - si è determinato il superamento di un modo disumano di trattamento, relegando nel passato una parte sostanziale di quella storia. Abbiamo altrove identificato questo atteggiamento con il concetto di monumentalizzazione, che oggi risulta evidente quando si affronta il tema dell'attualità della legge 180 e dell’eredità della figura di Franco Basaglia. Questo approccio produce un assunto profondamente distorsivo: dopo tale necessaria innovazione possiamo finalmente dedicarci a una salute mentale neutra, scientifica e umana. Le cosiddette buone pratiche, attraverso cui questa idea progressista e positiva di salute mentale oggi si invera, costituirebbero (sempre secondo questa lettura rassicurante) la strategia attraverso cui compiere tecnicamente l’indicazione che ci deriva dagli anni ‘70 contro i residui di arretratezza ancora presenti nel sistema, identificabili con il manicomio o con i suoi rigurgiti nelle variegate tendenze della psichiatria.
Se, invece, facciamo riferimento alle dimensioni più profonde della critica antistituzionale, non confondendola con l’innovazione postmanicomiale, scopriamo che la salute mentale stessa non rappresenta la forma democratica e progressista che supera l’arbitrio e l’oppressione psichiatrica ma ne costituisce un aggiornamento in cui l’oppressione e l’arbitrio si manifestano in modi che non possono più essere individuati attraverso il riferimento critico al manicomio. In altri termini, riusciamo a vedere la salute mentale come un possibile oggetto a cui applicare, complessivamente e in modo rinnovato, la critica antistituzionale nella sua piena radicalità, riattivandone le questioni maggiormente utili all’oggi.
Risulta così necessaria una critica materiale ed epistemologica alle istituzioni che ne investa le pratiche, le organizzazioni, le discipline e i modelli di pensiero e che possa essere applicata ai sistemi psichiatrici e di salute mentale in ogni fase del loro aggiornamento. Si tratta di vedere con sguardo critico le costanti linee di rinnovamento che la psichiatria presenta nella modernità e, in particolare, quelle che si sintetizzano attraverso la sua nuova configurazione come salute mentale: la tecnicizzazione medica, l'innervamento complessivo di tutta la società con i saperi ritagliati intorno alla psiche individuale, la violenza dell’interpretazione che prolunga e raffina le vecchie pratiche del trattamento morale, il perdurante oggettivismo delle discipline e delle soluzioni organizzative che vi si riconnettono - dallo psicologico all’educativo, passando per il sociale -, i legami ambigui che intrattiene con la gestione produttivistica delle popolazioni e dei rischi sociali.
Gli studi della follia
Gli studi della follia hanno promosso l’elaborazione teorica e l’attivismo a partire dalle esperienze di diverse categorie di soggetti, in primo luogo rendendo possibile il ricongiungimento della storica frattura tra users («utilizzator*» dei servizi psichiatrici e di salute mentale) e survivors/refusers («sopravvissut*/rifiutanti»), accomunat* da diverse forme di contatto con l’esperienza della psichiatrizzazione, tutte considerate ugualmente valide come condizione a partire dalla quale produrre discorso e sapere. I «Mad Studies» si pongono infatti come terreno di incontro che si sviluppa attorno al posizionamento delle persone con esperienza: si riconosce che l’utilizzo dei servizi, così come il rifiuto degli stessi, possa essere indispensabile in particolari condizioni, senza che nessuna di queste opzioni determini a priori l'impossibilità di critica e rielaborazione. Tale terreno comune offre oggi una base all’approfondimento della ricerca emancipatoria sulle forme di coinvolgimento, coproduzione e partecipazione dell’utenza dei servizi di salute mentale: il dialogo, avvenuto negli ultimi 15 anni in ambiente anglosassone, tra prospettive critiche di refusers/suvivors e ricerche di utenti coinvolt* da varie forme di partecipazione, ha permesso di identificare - sia teoricamente che nelle concrete esperienze - le distorsioni e mistificazioni che spesso interessano i modelli e i contesti in cui viene retoricamente affermato il valore del protagonismo e della comunità dell* non-professionist*. In questo senso, il modello della Neurodiversità, la tutela e la valorizzazione della infinita variabilità neurologica dell’ecosistema umano, ha avuto un ruolo fondamentale nella costruzione di elaborazioni critiche sui processi di sussunzione operanti all’interno del paradigma biopsicosociale. Questo nonostante la controversa questione posta dal prefisso «neuro-», considerando che da decenni c'è chi vede operare pratiche coercitive e desoggettivanti sulla base della giustificazione fornita dal modello eziologico dello squilibrio chimico sulla natura delle malattie mentali. Damian Milton, studioso autistico, Peter Beresford e Brigit McWade, figure centrali della ricerca sullo user involvement e sulla manipolazione dei concetti ad esso connessi, hanno scritto insieme nel 2015 che
i concetti attivisti come recovery, inclusione, accessibilità e speranza sono stati cooptati, appropriati e politicamente neutralizzati da decisori politici, fornitori di servizi e governo. I servizi e le organizzazioni continuano a essere più gravemente colpiti dai tagli alla spesa, mentre le campagne anti-stigma sostenute dal Royal College of Psychiatrists continuano a essere pompate con milioni di sterline per vendere prodotti di “salute mentale” alle masse. La personalizzazione è stata attuata attraverso un’ideologia del libero mercato che ha visto l’espropriazione e persino la morte di persone disabili. È “tempo di parlare”, e non nel modo in cui l’establishment vuole che facciamo, con racconti di recovery individualizzati e ben confezionati. Invece, condividiamo la ricca storia del nostro attivismo e uniamo le nostre esperienze di oppressione ed emarginazione (McWade, Milton, Beresford, 2015).
I disability studies
Sulla base delle riflessioni svolte dal movimento delle persone disabilitate nel Regno Unito a partire dagli anni '70, la condizione delle persone caratterizzate da peculiarità fisiche che ne limitano il funzionamento secondo gli standard dominanti è stata rivendicata come una posizione a partire dalla quale sviluppare pratiche di attivismo, presa di parola e mobilitazione politica contro le forme di esclusione e di invalidazione che tendono a determinare l’esclusione, la segregazione e il confinamento di questo gruppo sociale in identità e condizioni materiali sminuite e sminuenti. Attraverso il Modello Sociale della Disabilità è stato possibile individuare e denunciare il Modello Medico, basato su individualismo e naturalizzazione, e contrapporvi una visione basata sui diritti e l’intervento sui processi politici (Schianchi, 2024).
Confrontandosi con il post-strutturalismo e approdando nell’accademia statunitense, nell’ambiente delle lotte per i diritti civili e dell’affermazione della soggettività dei gruppi oppressi, il Modello Sociale ha sfumato la radice materialista che ne caratterizzava l’origine e che si rifletteva nella distinzione tra l'oggettività della menomazione e la costruzione sociale della disabilitazione. Pur rimanendo centrale la critica al Modello Medico, che distorce i confini tra l’una e l’altra impedendo di vedere il processo che mistifica e naturalizza la pratica sociale di invalidazione, i Disability Studies hanno enfatizzato gli aspetti di costruzione sociale dell’impairment. L’esperienza del corpo, quell’indistinto in cui la soggettività si dibatte tra le opposte dimensioni del silenzio e del conferimento di significato, non può essere presupposta come base oggettiva ma va invece ricondotta alle dinamiche del conflitto epistemico e delle sue ripercussioni esistenziali. Lo psichico è stato per molti decenni un punto critico: lo statuto oggettivo dell’impairment (in questo campo identificato con la «malattia mentale») è entrato in contrasto con la critica dei movimenti di refusers della psichiatria, secondo cui la «falsa scienza» psichiatrica riveste di oggettività un’operazione arbitraria di oppressione. Una visione complessiva di come lo psichismo si modifica e riformula attraverso i vari passaggi dell’aggiornamento psichiatrico e delle varie forme di gestione della soggettività ad esso corrispondenti (funzionamento, psicologismo individualista, recovery…) può aiutare i movimenti di critica alla psichiatria e i movimenti di rivendicazione delle persone disabili a superare questo scoglio nel dialogo (Valtellina, 2024).
Il modello biopsicosociale, la recovery e il neoliberalismo
Se correttamente intese, la teoria e la pratica antistituzionali riconoscono che le società occidentali del secondo dopoguerra vanno incontro a un cambio di paradigma della psichiatria/salute mentale in cui si affermano modalità alternative alla sintesi manicomiale. L* coniug* Basaglia, accompagnati in questa riflessione da Robert Castel, osservano le innovazioni psichiatriche dei paesi a capitalismo avanzato, confrontandosi con i modelli progressisti che a partire dagli anni '50 si affermano in Regno Unito, Stati Uniti d’America e Francia; ad essi contrappongono la critica radicale alle innovazioni tecniciste e il programma di una «nuova scienza» che risponda ai bisogni della popolazione, in consonanza con un movimento critico che attraversa tutto il campo della salute. Gli anni della legge 180 in Italia sono gli stessi della Conferenza di Alma Ata - che segna il riconoscimento di questa tendenza da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità - a cui segue l’adozione del Modello biopsicosociale: un tentativo di ricomposizione tecnica delle fratture provocate da due decenni di conflitti che avevano investito tutti i paesi occidentali.
Gli anni '80 e '90, con la reazione neoliberalista, da una parte hanno visto il riaffermarsi di un modello oggettivistico e neopositivista in tutte le pratiche mediche (dalla ricerca genetica alle scienze del comportamento, mediate dalla rinnovata centralità politico-economica dell’apparato farmacologico-industriale); dall’altra, il trionfo di soluzioni organizzative che sostituivano progressivamente l’aziendalismo alle forme di strutturazione universalistica dei servizi maturate durante i trenta gloriosi: l'imperativo è diventato concentrarsi sulle singole patologie con interventi mirati al «bersaglio» biologico, alla stessa maniera di un banale bombardamento. Nel frattempo la territorializzazione, la community care e l’orientamento alla Recovery (gli aggiustamenti adottati nei sistemi a capitalismo avanzato per fare fronte al bisogno di long term care) diventavano l’unica strategia adattiva di chi stava faticosamente tentando di implementare la deistituzionalizzazione, in un contesto politico reazionario e facendo leva anche sui nuovi corporativismi professionali (psicologici, educativi e riabilitativi) e sugli interessi parziali liberati dall’approccio inteso a valorizzare l’armonia tra pubblico e privato. Identificare le posizioni del movimento antistituzionale con le tattiche necessarie in quella fase storica costituisce ancora oggi il principale ostacolo alle possibilità di vederci chiaro in quell’ambiguo coacervo di tradizione, trasmissione e tradimento delle questioni antistituzionali che i Mad Studies, gli Studi della Follia, possono contribuire a dirimere.
Bibliografia
McWade, B., Milton, D. e Beresford, P., Mad studies and neurodiversity: a dialogue, «Disability & Society», vol. 30, pp. 305-309, 2015.
Schianchi, M. (a cura di), Contraddizioni dell’inclusione. Il lavoro socio-educativo nei servizi per la disabilità tra criticità e prospettive, Mimesis, Milano, 2024.
Valtellina, E. (a cura di), Teorie critiche della disabilità. Uno sguardo politico sulle non conformità fisiche, relazionali, sensoriali, cognitive, Mimesis, Milano, 2024.
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Luca Negrogno docente, sociologo, formatore, è autore di vari articoli scientifici nel campo della coproduzione di servizi e della salute mentale di comunità, collabora con varie riviste ed enti di formazione. Attualmente lavora presso l’Istituzione Gian Franco Minguzzi della Città Metropolitana di Bologna. Cura per Machina, insieme a Federico Chicchi e Marco Rovelli, la sezione «compasso».
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