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Fanta donne: le porte sull'estate

Recensione a Fantascienza, un genere (femminile) di Laura Coci




Fanta donne

Nello spazio di sperimentazione critica e narrativa sulla fantascienza delle donne, per le donne, aperto su queste pagine, non poteva non finirci il bel volume, fresco di stampa: Fantascienza, un genere (femminile) di Laura Coci (Delos Digital 2023).

Elisa Franco, raffinata «fantascientista», lo ha letto e commentato e, nel ripercorre il solco tracciato da autrici più o meno note, italiane e non, vecchie glorie del genere e giovani penne, ha portato in primo piano il «grande continente» delle scrittrici di fantascienza che Coci ha dettagliatamente documentato: «Una vera opera-mondo» che riplasma la realtà di un genere per definizione maschile.


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Si guarda intorno controllando di non essere osservato. Eppure Lei è uscita da un pezzo per andare in ufficio ed è rimasto da solo in casa. Posa il giornale sportivo che stava sfogliando distratto, dopo aver rigovernato le tazze della colazione. Al diavolo! Calcio e tennis e quant’altro sono divertenti e appropriati per i maschi, ma ‒ ha un brivido mentre lo ammette con se stesso ‒ finiscono per annoiarlo in fretta; rifugge dalle infinite disquisizioni con gli amici, come dalla peste.

Di nuovo gira la testa intorno e ride di sé accorgendosi di averlo fatto. Vecchi riflessi di prudenza, nessuna deve dubitare che lui sia l’angelo del focolare e un uomo che sa stare al suo posto: è preciso nei lavori di casa, svolge un part-time in un’impresa di pulizia e riesce a ritagliarsi qualche ora per tenere in allenamento i muscoli, cura il proprio aspetto e l’abbigliamento, va dal barbiere con regolarità. Che altro dovrebbe fare? A usare il cervello e a mandare avanti il mondo ci pensano le donne, per fortuna. Infine si alza e va a frugare tra i pensili della cucina, nelle retrovie delle pentole. Estrae un libro spesso con la copertina rossa, passa le dita sul titolo: Fantascienza, un genere (maschile). PPP, puro piacere proibito. Si immagina Lei che lo guarda sfogliare quelle pagine, scuotendo divertita la testa. Cosa cʼazzecca la fantascienza con i maschi? Gli uomini potrebbero mai interessarsi a una letteratura che richiede curiosità, immaginazione, apertura mentale, qualche cognizione scientifica? Lui legge di nascosto i libri di fantascienza di Lei e si diverte moltissimo, pur assediato dai sensi di colpa come un vecchio fortino dalle indiane, nel selvaggio West. Gli arrivano tante idee strane, una serie di ondate che alzano spuma.

E adesso quel libro rosso gli racconta che non è solo, che non è mai stato solo. Altri maschi, da decenni, hanno provato lo stesso entusiasmo per le storie che trasformano la realtà in sogni e incubi: hanno addirittura scritto romanzi e racconti di fantascienza, spesso fingendosi donne per essere presi sul serio dal pubblico.

Apre e comincia a leggere.


Vabbè, ho giocato un poco. Ma non è anche questa fantascienza? Resettiamo.


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Che ci si arrivi su una mongolfiera strattonata dalla tempesta o nella quiete di un sottomarino gotico che attraversa gli abissi, a librarsi davanti a noi simile alla Venere di Botticelli è di sicuro lʼIsola Misteriosa. Quella mai davvero scoperta prima, magari perché emergeva e sprofondava di fronte ad avvistamenti privi di accuratezza, o apertamente negazionisti, simile alla vulcanica isola Ferdinandea. Perché la realtà viene anche determinata dall’occhio di chi guarda ed è giunto il momento di fornire una mappa accurata allo sguardo, perché possa contemplare in ogni particolare lʼIsola Misteriosa della fantascienza scritta dalle donne e così sottrarla per sempre alle brume che lʼhanno mascherata.

È Laura Coci ad aprire finalmente questo sipario e noi, oltre il velluto rosso che scorre e rivela la scena, contempliamo il promontorio Mary Shelley, la baia Ursula K. Le Guin, il vulcano Alice Sheldon, la scogliera Octavia E. Butler. Ma poi lʼIsola del Tesoro ‒ sì: è già in atto una trasformazione, perché subito oltre la risacca gli scrigni preziosi si moltiplicano ‒ mostra la sua incredibile e increduta vastità, che a nomi esotici portatori di sogni mai dimenticati affianca una serie italianissima di fantascientiste, che restituisce fiducia nel passato e nel futuro: allora è vero che la fantascienza non è genere (e universo) di soli uomini. E noi lettrici non abbiamo più bisogno di nasconderci e di mascherare i nostri libri sotto un’innocua copertina da barbie.

La nostra Isola può a questo punto svelarsi e pronunciare il suo nome. Si tratta di Fantascienza, un genere (femminile) ‒ per i tipi di Delos Digital ‒ opera enciclopedica e al tempo stesso guizzante, al cui interno Laura Coci rielabora e incrementa gli articoli a suo tempo apparsi sulla rivista «Vitamine Vaganti», fino a creare una vera opera-mondo sulle scrittrici di fantascienza. Le fantascientiste. Vita, morte e miracoli, ma soprattutto cosa ognuna di loro ci ha raccontato e in che modo, nei romanzi e nei racconti. Donne donne donne, la ripetizione è sollievo quanto fotografia fondativa: come lady Macbeth non si capacita che re Duncan avesse dentro di sé tanto sangue, scorrendo le pagine di Coci continuiamo a meravigliarci di quanto la presenza femminile nella science-fiction sia stata costante e di grande spessore, dalla prima fondatrice del genere, Mary Shelley, in poi. Eppure non dovrebbe esserci spazio per la sorpresa, si tratta in gran parte di nomi arcinoti e amati: ciò nonostante la meraviglia e lʼeccitazione non sono fuori luogo, perché nuova è la prospettiva, nuovo lo strumento che lʼAutrice ci fornisce. Conoscevamo tutte le fantascientiste, o una buona parte di loro, ma la nostra percezione era quella di piccole isole verdi e invitanti ‒ ancora il topos dellʼinsularità, magari dal momento che nessun uomo è un’isola, ma invece per le donne si preferirebbe la dispersione ‒ sparse nell’oceano degli scrittori maschi. E invece no, si tratta di un grande continente, con la propria complessa cartografia che Coci percorre insieme a noi, perché sia finalmente possibile cancellare il vecchio avvertimento inquietante «hic sunt dracones», zona inesplorata, pericolo mostri.

«Madamina, il catalogo è questo», verrebbe voglia di canticchiare con Leporello, ma qui non si tratta di un catalogo o, almeno, il catalogo «delle belle» fantascientiste è solo la punta dellʼiceberg. Coci ci racconta una storia documentata in modo incredibile (guest star nel rinvenimento dei materiali Roberto Del Piano) e insieme vissuta sulla propria pelle, una di quelle storie che vorremmo incontrare nelle lunghe serate invernali, scandite da brividi deliziosi e bevande calde. La fantascienza è anche un mondo di donne e per le donne, non dobbiamo sentirci strambe se la leggiamo e la amiamo. Se la scriviamo. Su questo Coci è pacata e inesorabile: le donne hanno battuto i propri sentieri, hanno regalato alla fantascienza una diversa fisionomia, magari meno da gioco sparatutto, nella quale gli omini verdi con tre occhi non sono più di cartone, ma ottengono un vero spessore e una voce che possiamo percepire senza bisogno di decodifica.

Valerio Evangelisti insegnava che la fantascienza può diventare una strada maestra per parlare, in camuffa, della realtà e addirittura per tentare di riplasmarla secondo standard più accettabili e umani: leggendo Coci e quello che lei ci spiega sulle trame delle fantascientiste (intrecciandole alle loro storie di vita), l’impressione è che appunto questo sia stato il solco che le «nostre ragazze» hanno inteso tracciare, con la speciale saggezza o disperazione derivante dall’essere nate e cresciute nell’handicap socio-culturale della donnità (mi si perdoni il neologismo). E da una simile prigionia hanno lavorato dapprima per evadere, poi, con sempre maggiore consapevolezza, per ribaltare il mondo e cancellarla.


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Appena ho avuto in mano il librone, me ne sono innamorata: dentro nomi amati o sul piede di… scoperta, all’esterno la meravigliosa copertina di Claudia Corso Marcucci. Ho cominciato a leggere, partendo dalle raffigurazioni delle fantascientiste che Gino Andrea Carosini ha premesso a ogni singola esplorazione planetaria. Ho continuato a leggere. Ho letto tutto (magari qualche nota trascurata, confesso) prendendo miriadi di appunti per idee, approfondimenti, riletture. Che dire? La stessa impressione di quando apri la finestra di una stanza, stantia di sé e dei propri occupanti: aria pura, che ti fa pensare di respirare per la prima volta in vita tua. Quelle fantascientiste le ho avvertite subito vicine a me, compagne di strada, a maggior ragione grazie alla cura di Coci di premettere all’analisi dei rispettivi testi un breve racconto delle loro esistenze: così ho finito per trovarmi comodamente seduta, a seconda del periodo, tra zie grintose e nipoti agguerrite, dove la vicinanza, comunque, non fa perdere l’ammirazione. Abbiamo fatto colazione insieme, poi, uscendo, abbiamo preso l’astronave alla stessa fermata.

In Fantascienza, un genere (femminile) ho trovato tanti nomi, quelli del pantheon degli anni dʼoro, poi di coloro che, a suo tempo, neppure avevo identificato come donne, ancora le portatrici sane di fantascienza che si muovono oggi fuori dellʼEuropa e degli Stati Uniti con passi non più felpati ma invece decisi a essere ascoltati, infine ‒ last ma assolutamente non least ‒ la nutrita pattuglia delle italiane, che già frequento su cartaceo ed ebook e che però, all’evidenza, non conosco abbastanza, specie nei loro proteiformi racconti che ne svelano i reali lineamenti.

Racconti, forse la parola cardine di questa documentatissima e innamorata opera-mondo. Non certo perché i romanzi delle fantascientiste siano assenti: al contrario, eccoli, in bell’ordine schierati e passati in rassegna i fratelli maggiori o forse, potrei azzardare, i patres familias della narrativa fantascientifica, se non fosse che qui impera infine la matrilinearità. Ma i racconti non sono certo figli di una dea minore, al contrario! Coci ne ha letti e recensiti un numero impressionante, incastonandoli nelle esistenze delle rispettive autrici che illuminano e da cui vengono illuminati, li ha lucidati e fatti risplendere al centro del tavolo (evitando spoiler rovinosi, complimenti!), invece di spazzarli con pigra discrezione sotto qualsiasi tappeto disponibile. Racconti meravigliosi: Coci ha ragione nel sottolinearlo. Racconti in cui «la penna» di una donna è evidente per quella capacità di immettere, tra rutilanti tessuti spaziali o tenebrosi scenari distopici, piccoli ingranaggi di vita e di sentimenti che sentiamo con prepotenza far parte anche di noi, ma che al tempo medesimo si posizionano sul bordo dell’ignoto, del cambiamento, dell’estraneo, strappandone di colpo la patina di alienità per rivelare ‒ al di sotto ‒ lo specchio che rifiutiamo di riconoscere come tale, per evitare il riflesso del nostro viso.

Vanno recuperati, vanno scritti, vanno letti, e non solo nelle notti d’inverno davanti a un camino (sto già facendo una botta di conti di quanto mi verranno a costare tutte queste pubblicazioni che mi mancano e che scatenano l’acquolina in bocca, spero che Babbo Natale, dato il periodo, si metta una mano sulla coscienza: ma le russe e russofone!… e Vandana Singh, e L’imbianchino di anime di Piegai, e la Napoli di Barbera. Stop. Quanto ai romanzi, ci penserò domani, come Rossella OʼHara).


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Il cuore del saggio è però, a mio avviso, indubitabile: con fede (trovo persino tracce di speranza e carità, rigorosamente laiche) e passione Coci vuole dimostrarci, prove alla mano, che il tocco e ancor più la prospettiva delle donne che scrivono e hanno scritto fantascienza porta al genere un respiro diverso: che lo impregna di umanità e forse anche di costante consapevolezza del dolore dell’esistenza ‒ altrui oltre che propria ‒; che conferisce reale tridimensionalità tanto ai protagonisti che ai comprimari di ogni narrazione, alieni, robotici o altro; che riveste di costumi di scena distopico/futuristici l’odierna e pessima piega presa dalla realtà, in nome della prevaricazione e del profitto, prendendo molto sul serio il compito di creare e indicare nuove strade e nuovi pensieri che conducano a un cambiamento di rotta. Che prova a riequilibrare il piatto della bilancia tra femminile e maschile (e mi pare superfluo ricordare da quale lato penda lo strumento).

Quindi, non solo la fantascienza si addice alle donne, ma da loro ha tratto e sempre più trae nuova linfa, sia strutturale (in primo luogo con il definitivo abbandono dei vecchi stereotipi dei ruoli, ruotati per decenni intorno al baluardo «Io Tarzan, tu Jane») sia di contenuti e profondità. E questo tanto direttamente, con l’irrompere di protagoniste donne e non binarie, quanto tramite una palese ricalibratura della natura speculativa del genere, dal momento che diverso è il punto di vista femminile, che non si lascia troppo incantare da fantasmagoriche battaglie spaziali, al contrario chiedendosi cosa le ha provocate e in che modo vi si possa porre fine per sempre.

Questa impostazione di Coci mi pare evidente, anzi è la stessa autrice a enunciarla in sede di introduzione alla propria fatica: «Sono le donne le più interessate a cambiare l’ordine delle cose, che da troppo tempo (dodicimila anni?) le vede subordinate; a destrutturare stereotipi e pregiudizi … a pensare a un mondo migliore».

Come anticipato, non si tratta di parole e basta: Coci ci fornisce le prove del suo assunto, a suon di romanzi e racconti i cui fili si annodano gli uni con gli altri e vanno a formare un vasto e coloratissimo ‒ al pari della splendida cover ‒ tappeto, sul quale lei cammina con assoluta padronanza, oltre che con la gioia della condivisione.

E tale dimostrazione empirica inizia proprio con la storia antesignana e fondativa della fantascienza, quel Frankenstein di Mary Shelley, frutto di un patto di scrittura improvvisata tra lei e tre uomini ‒ lo stesso Shelley, lord Byron e Polidori ‒ il cui scopo era una evocazione di «spettrali miraggi» nella cornice di una serata piovosa sul lago di Ginevra. Come ci ricorda Coci, si trattava, in buona sostanza, della stesura da parte di ciascuno di una ghost-story, ma gli uomini presto rinunciarono, preferendo unʼescursione alpina (la prufrockiana fuga maschile di eliotiana memoria, «let us take the air, in a tobacco trance») e soltanto Mary onorò la sfida. Facendone nascere quello che ne nacque e, cioè, qualcosa di ben diverso da una semplice ghost-story: un romanzo innovativo e abissale, dalle mille sfaccettature, che fonde vocazioni che svariano dal filosofico al sociale allo psicologico per ottenere una storia di creazione, a colpi di hybris, dell’altro da sé, da isolare poi in un ghetto esistenziale.

Ma questo è solo lʼinizio. Catherine L. Moore ‒ nome ben noto agli appassionati, anche se nella sincopata versione C.L. Moore che impediva loro di riflettere sulla presenza di un simile talento femminile nellʼEden della fantascienza dei maschi ‒ già negli anni Trenta del secolo scorso pose una donna ‒ e che donna: Jirel di Joiry, un mito, una indimenticabile combattente che mai si era piegata a chiamare «signore» un uomo ‒ al centro di un vasto ciclo di racconti, che ne esaltavano lʼaudacia guerresca intrecciandovi una parallela vena malinconica e riflessiva. Coci, con pochi tratti, ce ne restituisce la danza bizzarra in cui scorgiamo Virgilio, Ariosto e Tasso che incrociano i loro passi con Jung e Lady Oscar (absit iniuria verbis). Non c’è dubbio che sia un vero rito di passaggio questo apparire, sugli schermi della letteratura dell’immaginario, di una protagonista donna sbalzata a tutto tondo, munita di un carattere complesso sin quasi alla contraddizione, capace di eroismo e insieme di pietas: le lettrici di fantascienza trovano infine qualcuna in cui immedesimarsi e, invece dei reggiseni ‒ sì, un minimo di discrasia temporale, ma considerato l’argomento trattato ritengo si possa tollerare ‒ possono bruciare le cartacee e bidimensionali apparizioni femminili (poche e tutto meno che eroine della loro vicenda) dell’epoca, adatte solo a sorridere al maschio di turno e a chiedergli aiuto, tra un passaggio e l’altro di alieni malintenzionati. A parte, come è ovvio, il loro compito primario di occhieggiare, quasi discinte, da procaci copertine.

«Poca favilla gran fiamma seconda» scriveva il Poeta. Di seguito il rivolo aumenta la propria portata e diventa cascata. In nome di una sempre maggiore consapevolezza.

Così Judith Merril ribattezza la science fiction in Speculative Fan, proprio per mettere in risalto le miriadi di componenti che le forniscono la propria essenza di letteratura data alla teoria del futuro e delle direzioni che esso potrà prendere (magari per assestare qualche spintarella affinché certe direzioni non vengano prese).

Così Kit Reed si vanta di non aver mai voluto scrivere come una donna, bensì come una strega, perché la sua voce potesse levarsi abbastanza alta da essere sentita.

Così Joanna Russ, nel racconto My boat, fa sì che la protagonista abbia il potere e la fantasia di tramutare una barca che galleggia all’attracco in un’astronave in grado di condurla tanto alle stelle che ai miti, mentre Coci sottolinea che, con la sua produzione narrativa, Russ consegna il magma in fieri della fantascienza alle creature più aliene che a quel genere sia mai capitato di vedere: le donne.

Così Alice Sheldon, alias James Tiptree jr., sorride di Robert Silverberg che vede «qualcosa di ineluttabilmente maschile nel suo modo di scrivere» e mette in scena il primo contatto degli umani con gli extraterrestri facendo sbarcare sul nostro pianeta tre gigantesche aliene, la cui ripetuta domanda è: «Dove sono le donne?».

Così Anna Banti ‒ sì, quella Anna Banti, fantascientista insospettabile ‒ immagina un mondo in cui al solo sesso maschile è concessa l’immortalità da una mutazione che reca la memoria delle vite precedenti. Niente alle donne, loro non ricordano e quindi non rinascono. Allora come si comportano? Non piangono, non si aggrappano alle tende, non si suicidano. Piuttosto usano la loro unica vita per esplorare ogni cosa bella e creativa che di qualsiasi vita, reincarnata o meno, è l’unico senso. E fanno a meno dei maschi.

Così Vonda McIntyre costruisce molte delle proprie storie su personaggi e situazioni nei quali diventa materia vivente il quadro di un futuro che riesce a superare le più macroscopiche ingiustizie del nostro presente a partire dalla disparità tra i sessi, ma estendendosi poi ad un capillare ribaltamento delle gerarchie sociali e di razza.

Così Daniela Piegai non esita a mettere in bocca a una delle sue protagoniste una frase indimenticabile nella sua iconicità: «Ogni tanto mi sento perfino attirata verso le profondità pericolose del passato, quando le mogli, le madri, le nonne si annullavano per i compagni, i figli, i nipoti; e mi domando se una maniera così bastarda di amare possa aver marchiato fino a questo punto i nostri circuiti mentali, da aggredirmi a tradimento con la voglia di cedere, di smettere di lottare» (ma ‒ dico io ‒ per fortuna il passato è passato e cerchiamo di mantenerlo tale).

Così Kij Johnson rivisita Lovecraft, facendo viaggiare nelle celeberrime Dreamlands una donna, Vellit Boe, con il dichiarato intento di voler approfondire il tema dellʼinvisibilità delle donne: a questo scopo posiziona Vellit Boe nello scenario dello scrittore di Providence, che comprendeva soltanto personaggi maschili, per vedere di nascosto lʼeffetto che fa. In proposito, Johnson sottolinea, simile a unʼentomologa, che «nella pratica non si può rendere invisibile metà di una popolazione, però si può senz’altro decidere di scrivere solo degli uomini e in tal modo trasmettere l’impressione che le donne siano impercettibili».

Così Vandana Singh scrive di cambiamento climatico, ma la sua narrativa non cede al catastrofismo ormai insito in questo sottogenere divenuto ‒ inevitabilmente ‒ rampante, cercando invece soluzioni positive di ripristino e cura per rappezzare la vecchia Terra.

Così, e con decine di altri esempi, Coci ci mostra quanto le donne abbiano regalato alla fantascienza, riuscendo a darle una fisionomia diversa e più umana, senza mai rinunciare al sense of wonder che ne concreta lʼintima essenza, e del quale le fantascientiste hanno da sempre recepito lʼincanto (basta ricordare che Pat Cadigan, già nella prima infanzia, aveva articolato una propria vita segreta nella quale proveniva da Venere e aveva uno speciale rapporto coi Beatles).


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Lʼangolo dei reclami.

In cauda venenum? No, solo qualche minuscola osservazione da fan su un paio di nomi che avrei voluto vedere inseriti e poco altro: a fronte di una ponderosa e ragionata epitome come questa di Coci è inevitabile il gioco del chi cʼè e chi non cʼè e ognuno vuole dire la sua, senza che io faccia eccezione.

Quindi aggiungo in un soffio che avrei tanto voluto leggere anche di Tanith Lee, inquietante signora di contrade decadenti e di donne ‒ magari non buonissime ‒ indimenticabili, che cattura con le sue architetture barocche e che reputo impagabile nel dittico di pura fantascienza composto dai romanzi Non mordere il sole e Vino di zaffiro: l’inquieta protagonista senza nome «prevalentemente donna», in un futuro lontano dominato dal trionfo della tecnologia e della noia, dove si può fare ed essere tutto e tutti cambiando ripetutamente corpo ma non anima, tenta addirittura di avere un figlio … con se stessa, attraversando allo scopo un breve scampolo di vita maschile. Combina tutta una serie di guai e, sperimentati dolore e rimorso, trova la forza di rischiare e abbandonare il proprio mondo dorato. Il tutto in una speciale prosa veloce e graffiante, modernissima.

E poi Sheri Tepper, col suo geniale Pianeta di caccia (in originale Grass), nel quale aleggia costante il senso di pericolo mortale, pur nella realtà planetaria di un ecosistema idilliaco ‒ e descritto magistralmente ‒ i cui misteri si svelano a poco a poco. Marjorie, che da Terra è arrivata sul pianeta Grass, antica colonia umana quasi dimenticata, dovrà e vorrà cambiare profondamente nel corso della storia, acquisendo la consapevolezza che accettare e perseguire la trasformazione risulta l’unica speranza di mantenersi umani.

Da ultimo Leigh Brackett: non un’assenza, ma una pubblicità disincentivante. Forse scriveva come un uomo, va bene, ma a distanza di un numero di anni che non deve interessarvi quantificare, ricordo ancora che mi fece battere il cuore con la descrizione di un lento arrivo dell’eroe presso un santuario marziano, sul far della sera, tra luci soffuse e paesaggi sognanti (eroe, sì ‒ compio lʼennesima digressione ‒ perché questa è la dimensione maschile che mantiene distanza e alterità dagli avvenimenti, mentre la donna entra nelle storie a piedi nudi e le rende la propria casa, a costo di vedersela crollare addosso).

Ma sono solo vecchi amori di adolescenza difficili da scordare, nulla da imputare a Coci, la cui strada è tracciata con la sapienza e l’arte ingegneristica delle antiche vie romane.


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L’ultima parola a Virginia Woolf.

Perché Virginia Woolf? Perché sì, sarà sempre la mia risposta. In questo caso, oltre che essere un mito, sostengo che abbia un vero diritto di partecipazione: Orlando, a guardarlo dalla giusta angolazione, è narrazione di ripetuti viaggi temporali, compiuti da una protagonista/un protagonista la cui identità sessuale galleggia con la marea, mutando da femmina a maschio e via di seguito.

E con Virginia ‒ parafrasandola spudoratamente e tirandola per la giacchetta ‒ voglio chiudere. Anche alla luce del prezioso e documentato lavoro di Coci, ritengo che sia sempre necessario comprendere (e praticare, aggiungo) la letteratura fantascientifica: solo così il denaro e il profitto non penseranno più al posto nostro.


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Elisa Franco è nata a Roma, ha studiato legge a Genova e si è trovata per caso a vivere a Bologna. Agli arresti domiciliari per il covid, ha cominciato a scrivere racconti fantastici che sono stati pubblicati su «Efemera», «Crack», «Bomarscé» e «Malgrado le mosche». Da lettrice di fantascienza – sua passione fin dall’infanzia – ha passato il Rubicone della scrittura e col racconto Lo stato gassoso dei fantasmi ha vinto il premio Urania short 2021. Ha pubblicato nell’antologia Primo contatto di Urania nel 2022 e semprenel 2022 è stata segnalata al premio Short Kipple. Altri suoi lavori sono stati pubblicato in «Un’ambigua Utopia» e da Delos Digital. Con il racconto Travelers in Pink è stata finalista al Premio Italia 2023.



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