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Da «Aus» (raccolta inedita)



Guido Caserza. Ha pubblicato diversi libri in prosa e in versi. Fra le sue opere in prosa Storia della mia infanzia ai tempi di Silvio Berlusconi (Zona, 2012), Primo romanzo morto (ad est dell’equatore, 2013), I 20 di Auschwitz (Oèdipus, 2017). Gli ultimi suoi libri di poesia sono Resto due (Zona, 2018), L’inganno della rosa (Dei Merangoli, 2018), Opus papai II (Oèdipus, 2019).


Immagine: Roberto Gelini


* * *


Haikaus


Nei tempi morti

nei vani vuoti una

ad una conta le ore i volti noti.



Fiamma che mutando resta,

perendo da èra a èra

in perenne fiamma.



Eh, infine ci siamo,

nel giorno che scema e slimina

fino all’ora che taglia e toglie.



Al rapido fogliare dei giorni

un passo via l’altro fino al passo

che non aspetta non importa

lo scorno di quel passo.



Altro stare non hai che qui,

al meriggio diamantino d’acqua

sull’erba flessuosa.



Col mattino alla porta

fila il lento limo delle ore,

tempo di venire su tempo

di andare giù.


* * *


Winterreise


L’occhio che lo circonvolge

nella fremente brevità del dolore

si ritempra,

quasi vomitale dimenticanza.



Cerca al contrario il senso della ginestra:

il senzapena dimora altrove

tu stai, nella prestigiosa

quiescenza del morire.



Visto sé stesso una sola volta

gli è apparso, mutato in piombo,

il suo a sé simile, rivale,

poco più fioco che un sussurro.



Oppure inscritto nel viola,

un volto più terribile dell’ira

- già gelido nel drappo il corpo –

per nove mesi ha dragato un ventre.

Poco dopo chiude gli occhi,

in un rettangolo di terra smossa


* * *


Aus


Ogni lingua è aldilà. Qui c’è un io

che scrive, per sottrazione. Quando

spunta un’altra mano

è un’impossibile vicinanza.



Solo e sempre più piccolo

il bambino con la sua palla,

un trallallà nella casa

che sonnolenta tesse ritesse

la stessa trama lo stesso omissis.



Stesso a dismisura, fonde

i piombi della casa, origlia

la cazzuta filiazione:

sguardorecchio centinato con specchi

in un baccello conserva

il suo primo mattone.



Un io assoluto

- osservato dalla creazione –

immenso monocolo di stupidità,

o come un usciere

sempre sulla soglia, così impettito

da dimenticare la morte:

così potente che lo ignora.



Se giaci gemi, questo è il giogo.

Screziata dal sole la casa

proietta un’ombra

sul cui margine, come altro da te,

dimori in attesa.


* * *


Masoniti


Le scarpe escono dai muri:

non sanno, al buio,

se li aspetto, e con quale colore.

Sanno solo che li so morti,

piccolo piccolo

nel mio tintinnare d’ombre


(ogni sera si aggira,

tra i fiori e i cadaveri del giardino,

la sognatrice di maggio che ai miei pispigli

accorda e scinde la sua viola).



La notte scende scende la notte

come un grido di gabbiano

percepito precipita

nello stare preciso dell’ombra.



A testa in giù, le diceva, come gli acrobati,

e alza gli occhi alla terra. A quel modo

splende ora

sopra la casa aperta, dove

il suo cuore, come il becco di un picchio,

è nel tempo di un quadro.



Affianca all’immagine quest’altra,

un reticolo spinoso tutt’intorno

a un cascinale. L’interno: uno specchio

che ingialla sull’assito. Vai

più giù, a te incontro,

nel più balbettante dei traumi:

il volto di lei

come una grata nella nebbia.



Andando di sogni

al punto di ebollizione del sonno

di notte le braccia volteggiando

in spiritosa fantasia gli appare

nel punto maggiore del sonno

una musica a spirale una nuvola

di capelli con ondine rosseggianti

al punto minore gli appare

un occhio verdazzurro

in festeggiante capriola

pasticcino con panna

la boccuccia della ragazza

sulla corda del temporale.



Da questo solo solco

comincia il nulla, l’errore

che chiamiamo io,

un vagito-lutto

e il patrac della vita. Poi

un diapason

di ricordi, il primo bacio

della madre, l’estrema unzione.



Effimero finale la sua faccia nella cenere,

ombrabbaglio che ha solo

qui dove stare: nello stralontano

afferma il suo potere. Nel

lungo giorno di giugno

il tratto è evocarne il profilo

a quest’altro accostato,

di peggio in peggio. Quasi

un qui giace.


* * *


Stemmi


Lasciando cadere una giornata

dopo l’altra l’istante lo lima e lega

al suo terrificante essere.



Sia luce: al più pericoloso

dei nomi nell’alzata dei cieli

fissando lo sguardo,

da pari a pari bava alla bocca.



Un piede dopo l’altro

l’orma commemora

il passo

così

si arriva a capire.



Accordando al la lo sguardo,

soffio di più vetrai

che rimane e rima.

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