
Cosa possono dirci gli anni Zero sul presente?
Il programma della redazione di Machina per la cartografia dei decenni smarriti.
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E così eccoci arrivati ai Duemila.
Un viaggio lungo e articolato che ha visto la redazione di Machina impegnata, da gennaio 2023, nella costruzione di una «cartografia dei decenni smarriti», un tentativo di riattraversare il periodo intercorso tra la fine della stagione di lotte degli anni Sessanta e Settanta e i giorni nostri.
Perché questo ambizioso programma?
Perché, per guadagnare una prospettiva differente «dentro il niente del niente di ogni niente» odierno, bisogna fare i conti con il passato, senza romanticismi, nostalgie, culti di sorta – come direbbe il poeta, «il culto delle memorie è nobile, ma è dei tempi della sconfitta» – ma interrogandosi su ricchezze, limiti, punto di blocco e avanzamenti dei processi, delle esperienze, dei concetti che sono il prodotto e che, allo stesso tempo, hanno prodotto gli anni Ottanta, gli anni Novanta, gli anni Duemila.
Ancora: perché questo considerevole progetto?
Perché per capire il tumultuoso presente, fatto di guerre e di miliardari al potere, di rigurgiti tardofascisti e deliri transumani, bisogna ricostruire i fili che hanno portato all’affermazione ieri e al declino oggi dell’ordine neoliberale.
Il «decennio breve»
Partendo dagli anni Ottanta[1] – gli anni della controrivoluzione capitalistica, da intendersi come una rivoluzione al contrario, una risposta trasformatrice all’insorgenza dei due decenni precedenti – e passando per gli anni Novanta[2] – gli anni della grande sbornia ideologica della fine della Storia – giungiamo, oggi, alle soglie del nuovo millennio.
Anzitutto una periodizzazione – per forza di cose un po’ forzata se è vero che i processi storici non seguono le convenzioni del calendario – che aiuta a definire e quindi dare un senso all’analisi: in questa fase ci occuperemo degli anni Zero, successivamente degli anni Dieci.
Ma da dove iniziare? E dove terminare?
Partiamo dalla fine. La sensazione è che sia un «decennio breve», che termina con la grande crisi del 2007-2008, data spartiacque, che segna una cesura, una discontinuità importante, un prima e un dopo. In quel momento suonano a morto le campane della «fine della Storia», s’incenerisce l'illusione progressista.
Se, per citare un importante lavoro di Wolfgang Streeck, dalla fine degli anni Settanta in poi il comando capitalistico «guadagna tempo», procrastinando la crisi con l'utilizzo di vari strumenti e tattiche – dalla politica inflazionistica di fine anni Settanta alla crescita del debito pubblico e del debito privato –, con la vicenda dei mutui subprime, il fallimento della Lehman Brothers e tutto ciò che ne consegue, il castello di carte salta in aria: piomba la crisi che affligge le economie e colpisce gli Stati, segna le aspettative e colora – di cupo – gli orizzonti.
Del resto, le avvisaglie erano presenti già dagli anni Novanta – dal mercoledì nero del 1992 alle crisi valutarie del Sud-est asiatico e della Russia – e agli inizi del Millennio – pensiamo allo scoppio della bolla delle dot.com e al crollo dell’indice NASDAQ.
Ma la contestazione allo spirito della globalizzazione, intesa come internazionalizzazione della produzione, unificazione del mercato mondiale, finanziarizzazione e capitalistizzazione dello Stato, non aveva solo dei presupposti strutturali. La spinta di un grosso movimento, che verrà definito «no global», riportava al centro del discorso il conflitto sociale, contestando retoriche e certezze del progressismo ed innovando le forme della mobilitazione che avevano caratterizzato il Novecento.
È proprio da quel movimento, e dalla «battaglia di Seattle» del 1999, che partiremo per analizzare gli anni Zero.
Globalizzazione, precariato e lavoro, guerra
Anche in questo decennio, sono tanti e vari i temi che s’impongono. Tre, in particolare, meritano di essere discussi perché particolarmente importanti per capire la congiuntura in cui oggi siamo immersi.
Il primo l’abbiamo già citato, la globalizzazione. Per capire la crisi di quest’ultima – non a caso sono stati coniati diversi termini come «deglobalization», «slowbalization» etc. – ritorneremo agli anni in cui si struttura definitivamente l’ordine globale basato sul rapprochement sino-americano, cristallizzato dall’entrata del paese asiatico nel Wto nel 2001, e in cui viene portata a compimento la creazione di un mercato integrato in Europa, con l’introduzione della moneta unica. Dal punto di vista concettuale, nei suoi limiti ma anche nella sua pregnanza politica, sarà Impero di Toni Negri e Michael Hardt a segnare la discussione, volume che interpellava i grandi assetti della ristrutturazione in corso suggerendo l’emersione di un nuovo paradigma nel rapporto tra sovranità e crisi dello Stato-nazione e di un nuovo soggetto, la moltitudine[3].
Il secondo tema è da discutere è quello del rapporto tra precarietà, lavoro e mobilitazioni. In quegli anni, le lotte e i tentativi di organizzazione con il soggetto precario contribuirono a cambiare di segno la retorica sulla flessibilità, arma utilizzata dalle imprese per abbassare e scaricare i costi del lavoro sui lavoratori e per frenare le possibilità di conflitto. In tal senso, torneremo sulla May Day del 2001 a Milano e sulle sperimentazioni intraprese da San Precario. Un’utile genealogia, per interrogarci sul lavoro, oggi.
Il terzo argomento è, invece, la guerra, che oggi, ai tempi del riarmo europeo, del genocidio a Gaza e dell’interventismo trumpiano, si ri-palesa in maniera evidente.
Proprio negli anni Zero la guerra torna prepotentemente al centro del dibattito, come concretizzazione dello «scontro tra civiltà» preconizzato da Samuel Huntington qualche anno prima. Saranno gli anni delle invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq decisi e portati avanti dall’amministrazione Bush – che portarono anche alla nascita del movimento No War, potenza impotente con una forte eco mediatica ma che fu incapace di avere un minimo radicamento materiale e che si dissolse come neve al sole – spinte dalle retoriche dello scontro tra «fondamentalismo» e «democrazia».
Non si esauriscono di certo qui i temi e i fatti da trattare.
Anzitutto, sono questi gli anni cui lo sguardo postcoloniale si afferma nel pensiero critico e tra i movimenti sociali, contribuendo a «provincializzare l’Europa», ad attaccare l’impalcatura del discorso progressista occidentale e a sottolineare come l’imposizione e il consolidamento di quest’ultimo non fosse figlio di una storia liscia e pacificata.
Elemento, questo, da segnalare con decisione perché con l’elezione di Obama a Presidente degli Stati Uniti, avanza l’idea di un’America post-razziale che faceva a pugni con la realtà quotidiana.
Sotto il profilo delle mobilitazioni, ricordiamo, oltre al ciclo no global e a Genova, le rivolte delle banlieue nel 2005 che palesarono in maniera evidente il razzismo strutturale dell’amministrazione francese – «racaille», feccia, fu l’epiteto pronunciato da Sarkozy nei confronti dei rivoltosi –; lo sciopero dei latinos del 2006 negli States, che sollevarono la questione delle frontiere e delle migrazioni; la nuova ondata femminista e la significativa manifestazione del 2006.
Anche il sistema artistico, che proprio negli anni Zero si appresta a diventare punta avanzata del neoliberalismo, contribuì ad ampliare lo sguardo e a mettere a critica la globalizzazione. Da segnalare, in tal senso, l’esibizione di Oliver Ressler alla Biennale di Taipei del 2008, che ebbe come fulcro gli attacchi ai Summit dei potenti.
Infine, la rete che, dopo le utopie degli anni Novanta, inizia a strutturarsi come spazio sociale – non a caso sono gli anni in cui viene fondato Facebook – impattando enormemente sulla cultura e sulla comunicazione; l’eccesso delle retoriche filosofico-politiche foucaultiane e la strutturazione del paradigma umanitario che ebbero effetti deleteri sulla capacità organizzative dei movimenti; lo sviluppo dell'Università neoliberale.
Tutti temi che che verranno analizzati con i diversi sguardi prospettici che compongono le sezioni.
Nei prossimi mesi daremo maggiori informazioni sul Festival 9 di DeriveApprodi e Machina, che avrà come oggetto proprio gli anni Zero.
Note
[1] Per approfondire, segnaliamo la «Raccolta degli articoli sugli anni Ottanta» (Machina, 5 giugno 2023) e il libro Nel sottosopra degli anni Ottanta. Le contraddizioni di un decennio (MachinaLibro, 2024).
[2] Sono in preparazione la raccolta degli articoli su questi anni ed un libro per MachinaLibro.
[3] Sul punto, consigliamo l’intervista fatta ad Adelino Zanini, La scommessa di Impero, 14 maggio 2024.
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Giuseppe Molinari è dottorando all'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. Coordina la redazione di Machina e si occupa, con Salvatore Cominu, della sezione «transuenze». Per DeriveApprodi ha curato, insieme a Loris Narda Frammenti sulle macchine. Per una critica dell'innovazione capitalistica (2020).
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