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Abitare e costruire tra perturbamento e paura (seconda parte)

Oikos-stasis-polis


Pubblichiamo la seconda parte della riflessione avviata da Gilberto Pierazzuoli sull'abitare (https://www.machina-deriveapprodi.com/post/abitare-e-costruire-tra-perturbamento-e-paura). In questo articolo l’autore si concentra sui concetti di oikos, stasis e polis.


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Per Vernant, Hestia, il focolare, il centro della casa, la dea dell’intimità domestica, fa coppia con Hermes, il dio più mobile, il meno stanziale. «Egli rappresenta, nello spazio e nel mondo umano, il movimento, il passaggio, il mutamento di stato, le transizioni, i contatti tra elementi estranei. Nella casa, il suo posto è sulla porta, dove protegge la soglia […]. Colui per il quale non esistono né serratura, né recinto, né confine. […] Egli è anche ciò che non si può né prevedere né trattenere, il fortuito, la buona e la cattiva fortuna, l’incontro inopinato; il felice trovamento casuale si dice in greco tò hèrmaion» (Vernant, pp. 150-151). Hermes è il dio della comunicazione, è il messaggero, è lui che porta l’ordine a Calipso, alla ninfa che abita i confini del mondo, di lasciar partire Ulisse. Hermes è il dio dei viaggiatori, dei senza casa, delle strade e in particolar modo degli incroci, dei luoghi dove le strade si incontrano. È il dio della soglia, dei limes, il dio delle aperture. Molti di quegli spazi che la modernità ha costretto a essere, nell’accezione di Augé, «non luoghi». Aeroporti, circonvallazioni, svincoli autostradali, supermercati, parcheggi. Si tratta di spazi omologati nei quali gli uomini e le donne contemporanei vivono per tempi significativamente lunghi, ma non più riferiti a un costume sociale in grado di favorire rapporti durevoli, privi di radicamento al contesto, alle tradizioni e alla storia. In questo spostamento i luoghi dell’incontro diventano «non luoghi». C’è un romanzo di Ballard, L’isola di cemento, nel quale un’isola spartitraffico diviene l’isola di un Robinson contemporaneo. Un non-luogo eccessivo anche per la definizione di Augé, ma massimamente significativo di un costruire che divide. Abitare-costruire è allora fare sì che i luoghi extradomestici non siano non luoghi, ma come ci suggeriva indirettamente Vernant, ponti tra il Medesimo e l’Altro.

Secondo un’antica parola tedesca, riunione, raduno si dice «Thing» per questo il ponte è un Ding, una cosa (Heidegger, p. 102). Per questo un ponte, una strada, una piazza, sono cose, sono luoghi, luoghi che riuniscono, e non «Non luoghi».


Il ponte riunisce presso di sé, nel suo modo, terra e cielo, i divini e i mortali. […] [Permette la «Quadratura»] Certo il ponte è una cosa di tipo particolare; esso infatti riunisce la Quadratura in questo senso, che le accorda un posto. Ma solo ciò che è esso stesso un luogo può accordare un posto. Il luogo non esiste già prima del ponte. Certo, anche prima che il ponte ci sia, esistono lungo il fiume numerosi spazi che possono essere occupati da qualcosa. Uno di essi diventa a un certo punto un luogo, e ciò in virtù del ponte (Ivi, pp. 102-103)


Il luogo si origina cioè soltanto a partire dal ponte. E questo originarsi dei luoghi, dei luoghi cari a Hermes, è l’abitare-costruire degli uomini.

Stasis. Termine apparentemente polimorfo che significa sia sospensione sia guerra civile. Designa etimologicamente una posizione, uno stare fermo, un equilibrio, ma anche una tensione tra più posizioni diverse, tra più parti, tra più partiti. Stasis, è però sinonimo di kinesis, movimento, agitazione; ma anche di stallo dal verbo histemi (levare, porre, fermare) è l’atto di levarsi, di stare stabilmente in piedi. Il verbo stare e stasis hanno in comune la stessa radice «STA-»). «stasimos e il punto della tragedia in cui il coro si arresta in piedi e parla, stas e colui che pronuncia in piedi il giuramento».

Qui tutto si complica, tra agitazione e immobilità. Tra guerra primitiva, un tipo di guerra interna, e la guerra esterna: «Lo Stato, una volta installatosi, non solo pratica la guerra esterna per tracciare sempre di nuovo i suoi confini ma, aborrendo hobbesianamente la guerra primitiva, usa la guerra esterna per cancellare quella interna». È un espediente dalle origini antiche. È la soglia che separa in Grecia l’oikos (nella sua accezione di famiglia, stirpe) dalla polis. La stasis reintroduce l’oikos nella polis: la conflittualità familiare sfocia nel politico e il politico si ricongiunge e si concilia con il familiare. Secondo Hannah Arendt la separazione tra spazio pubblico (polis) e spazio privato (oikos), sarebbe alla base della possibilità che si è presentata nella Grecia classica di realizzazione del concetto di libertà in un contesto pubblico. Questo sarebbe stato possibile perché nella polis ci si incontra in quanto cittadini e non come persone private. La separazione tra ambiente privato e quello pubblico, ci restituisce dei «cittadini» resi eguali dall’esclusione dei caratteri della loro vita privata. La distinzione pubblico-privato (oikos e polis) di fatto, però, esclude le donne, gli schiavi e i giovani, mettendo il dominio maschile in una posizione di dato acquisito e non in discussione. Il concetto di Arendt è che una politica della libertà possa avere luogo soltanto in spazi pubblici nei quali poter incontrarsi ed esprimersi, testimoniando così la propria libertà. Ma per incontrarsi i cittadini devono essersi prima liberati dalle necessità materiali della vita. L’operazione di pensiero consisterebbe nel collocare la condizione umana al di là della semplice sopravvivenza, al di là della nuda vita, stabilendo che tutti gli atti di violenza e imposizioni fossero fatti inerenti alle «relazioni prepolitiche caratteristiche della vita fuori della polis, di quella domestica e familiare, dove il capofamiglia dettava legge con incontestato potere dispotico, o di quella degli imperi barbarici dell’Asia, in cui il dispotismo era spesso paragonato all’organizzazione domestica». La separazione pubblico privato sarebbe dunque alla base della possibilità di un esercizio della libertà e quindi della democrazia nella Grecia classica. La democrazia greca era quindi in correlazione con la sospensione di ogni atto di forza e di ogni forma di imposizione. Non che questa situazione storica non conoscesse la violenza che poteva essere connessa a un mutamento politico, ma nessuno dei due elementi (forza e imposizione) apparvero essere portatori di qualcosa di completamente nuovo. Questo perché la stasis, la guerra civile greca, non esprimeva una volontà di cambiamento, ma una tensione con esiti anche violenti che comunque andava sempre compensata con una forma di amnistia che invocava l’oblio degli avvenimenti conflittuali. La stasis testimonia di una tensione che in qualche modo richiama una sua necessità per la conservazione della società civile. Siamo di fronte a un’ambiguità del termine che forse rivela la sua connessione con oikos (nella sua accezione di famiglia), con la stirpe, che scatena e può essere origine di questa specie di conflitti, ma che comunque contiene in sé la possibilità di un possibile rimedio. Se la famiglia è possibile origine di conflitti sociali, la pacificazione arriva a sostituire quegli elementi della parentela responsabili dello scontro con altri anche di tipo artificiale. «L’oikos, origine delle discordie civili, è escluso dalla città grazie alla produzione di una fraternità posticcia». Il problema è che questa ambiguità non è risolvibile così da dover pensare che sia consustanziale al sistema tanto che all’orizzonte di ogni conflitto di questo genere «si profila allora una festa di riconciliazione». Queste riflessioni ci portano a riconsiderare il rapporto tra oikos e polis constatando che la stasis reintroduce l’oikos nella polis: la conflittualità familiare sfocia nel politico e il politico si ricongiunge e si concilia con il familiare. Torniamo allora un po’ indietro. Quello che è in gioco è quindi il rapporto tra zoe e bios, dove zoe (la semplice vita naturale) era apparentemente esclusa dalla politica, ma invece giocava e gioca una possibile inclusione anche nel rimanere latente o solamente potenziale. E, ancora, il fatto che la stasis costituisca «piuttosto una soglia di indifferenza fra oikos e polis, fra parentela di sangue e cittadinanza», con la conseguenza di funzionare come una connessione bidirezionale nella quale lo spostamento da un lato all’altro provoca la politicizzazione dell’oikos, dall’altro l’economizzazione della polis. L’operazione che lasciava come in sospeso il pensiero di Arendt, l’esclusione dell’oikos dalla riflessione politica, dalla possibilità politica di un confronto paritario, si ripresenta invece come l’elemento, ma anche come l’indicatore della possibilità stessa o della sua messa in discussione. Ricorda Agamben la legge di Solone che puniva con l’atimia (la perdita dei diritti civili) il cittadino che non si fosse schierato per una delle due parti. La stasis dimostra di avere allora il potere di svelamento del lato politico o impolitico di un comportamento. La stasis non unisce oikos e polis, personale e privato con politico e sociale, ma, ponendosi sulla soglia tra i due elementi, ne permette il dialogo o lo sviluppo in un senso o nell’altro, dell’uno nell’altro. Quello che comunque rimane un carattere specifico della grecità è il fatto che essi abbiamo privilegiato il rapporto (politico) che di fatto intrattenevano. Dove in origine l’appartenenza sociale era connessa con lo status, a un certo punto la più variegata origine sociale (elementi di aggregazione quali nobili, mercanti, artigiani, contadini, ma anche quelli derivati dalle parentele) viene sostituita con il concetto di cittadinanza che ci restituisce un soggetto particolarmente solidale. Appunto quella particolare possibilità di un rapporto paritario che Arendt sottolineava. O anche semplicemente, seguendo il ragionamento di Agamben, che la Grecia classica ha costituito un momento storico particolare trovando un equilibrio singolare per la tensione che caratterizza il rapporto tra oikos e polis, tra privato e pubblico, tra economico e politico. Si ha, non tanto una non significazione di un aspetto rispetto all’altro, ma un punto in cui le dinamiche interne ai due lati della tensione, essendo in equilibrio, non superano la soglia della propria pertinenza, permettendo al politico di poter operare in una condizione particolarmente fortunata; quella che appunto Arendt prende in considerazione. Non si tratta dunque di un’esclusione pura e semplice, ma un’esclusione che la tensione tra le parti (la stasis) – che quindi la include almeno nella dinamica – tiene in sospeso.La tensione tra dentro e fuori, tra Hestia e Hernes, questa sospensione che non allenta la tensione, rivela e condiziona la disposizione urbanistica degli spazi. Si abita e si costruiscono principalmente le soglie, i luoghi opposti ai «non luoghi» di Augé. I luoghi ponte tra le cose. I luoghi segnati dal vicinato, gli spazi vissuti dagli incontri, gli spazi comuni. Il lavatoio, il forno, la piazza. Gli spazi che mettono in comunicazione le case. Progettare la città è allora come raccontare un albero descrivendo gli spazi tra le foglie.


Immagine: M. Teresa Carnaghi,1997.


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Gilberto Pierazzuoli, laureato in Lettere presso il Dipartimento di storia dell’arte dell’Università di Firenze con una tesi sulle rappresentazioni folcloriche, il carnevale e la festa. Ha insegnato Italiano e Storia in un Liceo artistico. Tra le sue pubblicazioni: Mangiare donna. Il cibo e la subordinazione femminile nella storia (Jouvence, 2016) e Gioco, giocattoli, robot e macchine umane (Robin Edizioni, 2016). Fa parte della redazione di «La Città Invisibile», magazine del laboratorio politico perUnaltracittà.


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