Durante una discussione sulla situazione politica latino-americana nell’ambito della rivista «Multitudes», l’antropologa Barbara Glowczewski ha posto la seguente domanda: «Perché parlare di America Latina, perché continuare a usare questo termine?». In effetti, il nome «America Latina» è impregnato del passato coloniale. Soprattutto, esso non rende conto in alcun modo della diversità di questo vasto continente. Allo stesso tempo, il continente mostra molteplici segnali di collasso. Cos’è successo? I progetti di integrazione economica l'hanno sommersa, le pratiche politiche l'hanno disintegrata. Viene voglia di ricominciare da capo. Riforma o rivoluzione?
Osiamo un «redesign». Bruno Latour vede il «design» come sostituto sia della rivoluzione che della modernizzazione: un antidoto a qualsiasi fondazione, all'idea di un inizio assoluto così come a quella di una partenza radicale. Il design è sempre un ridisegnare ed è in questo senso che noi proponiamo di ridisegnare. Ridisegnare l'America Latina qui significa aprire delle possibilità, piuttosto che concludere dei progetti. Questo implica una rapida revisione della storia della formazione degli stati-nazione e delle recenti conseguenze del «nazional-sviluppismo». In secondo luogo, presenteremo alcune iniziative biopolitiche nei grovigli di una biozona condivisa da diverse nazioni latinoamericane. Infine, seguiremo le «api senza pungiglione», dalla foresta alla città e, in fondo alla strada, grazie alla loro impollinazione e sciamatura, troveremo i contorni di una ZAD [1] amazzonica in formazione.
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America Latina, un continente da sviluppare o da ridisegnare?
L'obiettivo qui non è di passare in rassegna la storia di questo vasto continente, né di fare un'analisi congiunturale dei governi degli ultimi anni. Si tratta piuttosto di identificare alcuni punti chiave nella formazione dell'America Latina nella sua relazione con il mondo e, in particolare, con l'Europa, per poter, da un'altra prospettiva, immaginare altre relazioni. Uno dei punti chiave è lo Stato, le diverse forme che assume – stato-nazione, identità nazionale e sviluppo nazionale – e i problemi che solleva. Per molto tempo, una certa tradizione economica latino-americana, quella della «sostituzione delle importazioni», ha portato all'attuazione di politiche volte a superare la dipendenza dei paesi del subcontinente dalle economie centrali. Queste politiche presuppongono, prima di tutto, una certa idea di sviluppo (essenzialmente industriale) e una certa idea del ruolo dello Stato in questo processo (fortemente nazionalista e centralizzatore). In Glob(AL): Biopoter e lotte in America Latina [2], Antonio Negri e Giuseppe Cocco distinguono tre momenti nella formazione dello Stato in America Latina, di cui è impossibile ignorare «le basi patriarcali e schiavistiche». Inizialmente, lo Stato assunse una forma oligarchica attraverso l'intreccio di due linee, ambedue intrecciate al razzismo: quella delle relazioni sociali patriarcali-coloniali e quella della ricerca di una relativa autonomia del sistema produttivo coloniale basato sulla schiavitù e integrato all'economia-mondo. In una seconda fase, nonostante la persistenza della forma oligarchica, avvengono le trasformazioni sociali ed economiche prodotte dalla pressione delle lotte contro la schiavitù e dai flussi migratori. Queste pressioni portarono – negli anni 1930 – figure come Perón in Argentina e Vargas in Brasile a giocare la carta della costruzione di un'identità nazionale basata sul lavoro legato allo sviluppo industriale. Infine, in una terza fase, i governi militari hanno approfondito sia la presenza dello Stato come agente economico che il nazionalismo attraverso l'alleanza tra imprese pubbliche, multinazionali e grande capitale nazionale, dando vita allo Stato nazional-sviluppista. Il nazional-sviluppismo richiede uno Stato, che a sua volta ha bisogno di una Nazione. In molti paesi le popolazioni sono il risultato dell'incontro, spesso violento, tra popolazioni indigene, milioni di africani ridotti in schiavitù, e popolazioni europee, prima colonizzatori, poi migranti poveri. La mancanza di una vera «identità nazionale» è stata infine vista come un ostacolo a questo progetto. Il valor del meticciato passa da negativo a positivo e su questa inversione si mira a costruire il «popolo»: il popolo «brasiliano» o messicano: un popolo pardo.
La mancanza di un'identità unica era vista come un ostacolo per la costruzione dello stato-nazione, e la «soluzione» è stata quella di riconoscere il meticciato e allo tesso tempo trasformarlo in un insieme omogeneo e grigio (pardo). Eppure, questa diversità avrebbe potuto essere usata per promuovere un disegno diverso dei paesi latinoamericani e del continente stesso. Infatti, in Bolivia e in Ecuador, con una diversa interpretazione del meticciato, i governi di Evo Morales e Rafael Correa, spinti da molteplici movimenti sociali, hanno potuto disegnare per la prima volta, e non senza difficoltà, costituzioni plurinazionali che tengono conto dei diritti dei diversi popoli e dunque del meticciato non più come insieme omogeneo e grigio, ma come molteplicità variopinta. Tuttavia, mentre queste forme plurinazionali sono ancora in fase di sperimentazione, le forme oligarchiche, corporative o nazional-sviluppiste hanno continuato a modulare le infinite ibridazioni neo-schiavistiche, attraversando anche i governi «nuovi». L'unico modo per superare questo impasse è cambiare prospettiva e adottare il punto di vista della molteplicità: questo punto di vista è quello amazzonico.
In Brasile, la foresta amazzonica ha una definizione amministrativa: «Amazônia legal» ed è formata da nove stati federati: Acre, Amapá, Amazonas, Mato Grosso, Pará, Rondônia, Roraima, Tocantins e parte del Maranhão. Ma, di fatto, la foresta amazzonica non appartiene solo al Brasile; è condivisa con Perù, Colombia, Venezuela, Francia (Guyana), Suriname, Guyana, Bolivia ed Ecuador. Adottare un «punto di vista amazzonico» significa qui considerare una zona composta da una molteplicità di nazioni le cui forme – trattati politici e scambi economici, tra gli altri – devono essere ridisegnate.
Amazzonia, una biozona da difendere ed estendere
Questa zona è una «biozona» immediatamente politica, nel senso che richiede la cura della terra, dei territori, degli spazi vitali, e tutto ciò con tutti i terrestri. In How to thrive in the next economy - Designing tomorrow's world today, John Thackara lavora in questa direzione. Nonostante il titolo, il libro non ha l’intenzione di insegnare come prosperare, ma di indicare alcune azioni di «preparazione del terreno» (grounding). Letteralmente, si tratta di curare il suolo, ma anche, in un senso più ampio, di liberarsi di idee ingannevoli, come quella che sostiene che l'agricoltura industriale nutre il mondo, quando invece essa estrae dal suolo dei nutrienti che non vengono sostituiti e quindi ci impoverisce nella stessa misura in cui impoverisce i suoli. Thackara sostiene che c'è bisogno di «sviluppare modelli agricoli basati su fattorie su piccola scala, ricche di diversità, che imitino le strutture naturali di vegetazione a più livelli di questi ambienti» [3]. È qui che verrà prodotta la maggior parte del cibo del mondo. Non si tratta tanto di ridurre la scala della fattoria quanto di non ridurre la complessità del vivente. Se per molto tempo il desiderio di aumentare la produzione di cibo ha portato a evitare la complessità, oggi è assolutamente necessario adottarla. Pensare come la foresta e, in particolare, come la foresta amazzonica, ci permette infatti di scuotere e spostare tutte le scale: si tratta di promuovere, nell'immensità, l'attenzione al più minuscolo dettaglio.
Prepariamoci dunque a entrare nella foresta amazzonica a partir dalla Stato del Pará, nel nord del Brasile. Tra l'isola di Marajó e la regione metropolitana di Belém, il progetto «Abelhas Sem Ferrão» [4] («Api senza pungiglione») dell'Istituto Peabiru [5] mira a produrre e commercializzare il miele dalle api indigene, più in generale, a rafforzare le «catene di valore amazzoniche» come per la mandioca e altri prodotti locali. L'obiettivo immediato è quindi quello di produrre reddito per i produttori di miele delle comunità locali e dei piccoli agricoltori [6]. Questo implica assistenza tecnica ed educazione ambientale, così come protezione sociale per le famiglie, specialmente donne e bambini. Più in generale, il progetto partecipa alla conservazione e persino al ripristino della foresta. Infatti, secondo João Meirelles, «dal 35% al 90% degli alberi dipendono dalle api come impollinatori primari. Una foresta conservata ha decine di specie di impollinatori; nei pascoli degradati è difficile trovarne più di due». João ricorda che nel 2015, alla Conferenza delle Nazioni Unite sul clima a Parigi, il Brasile si è impegnato a ripristinare 12 milioni di ettari di foresta entro il 2030 per ridurre le sue emissioni del 43%, ma che «questo spettacolare obiettivo potrà essere raggiunto solo se sarà garantita la gestione delle meliponas (come si chiamano le api senza pungiglione)». Sotto il governo Bolsonaro, il ministro dell'ambiente lavora apertamente contro la foresta amazzonica e sta rendendo questo obiettivo ancora più irraggiungibile. In un momento in cui il ritmo della deforestazione è ai massimi storici, mantenere l'attività impollinatrice delle api è ancora più vitale e urgente.
Oltre che per il ripristino della foresta, l'attività impollinatrice delle api è fondamentale per la biodiversità stessa, o meglio, per la diversificazione della biodiversità, poiché questa è sempre in divenire. Secondo Meirelles, le meliponas sono generaliste nella loro ricerca di nettare e polline, raccogliendoli da varie piante. Il loro miele contiene quindi l'essenza di un'intera foresta vivente. Ed è a causa di questo carattere generalista che le api senza pungiglione sono tra i principali impollinatori di molti frutti amazzonici come açaí [7], cupuaçu, cacao e peperoncini, tra gli altri. Gli studi valutano gli effetti di questa attività di impollinazione in termini quantitativi e qualitativi – un aumento della produttività dal 30% al 50%, una maggiore dimensione e durata dei frutti, un sapore migliore – che eliminerebbe l'uso di pesticidi, una delle pratiche più dannose dell'agricoltura estrattivista sia intensiva che estensiva. È importante sottolineare che questa biodiversità è soprattutto una socio-diversità, nella misura in cui riguarda gli indigeni, i quilombolas [8] e le popolazioni che vivono sulle rive dei fiumi (ribeirinhas) così come le società o «associazioni» tra umani e non umani, come nel caso delle meliponas. L'assenza di pungiglione permette lo sviluppo di un vero e proprio affetto tra queste api e le famiglie che le accudiscono. Meirelles lancia quindi una sfida: trovare meccanismi per remunerare i servizi ambientali delle api senza pungiglione in modo tale da promuovere un’altra ruralità. Mentre la produzione di miele – così come di altri prodotti della regione – è misurabile, in Amazzonia, dove tutto è eccesso, dove tutto è miele e cenere, dove tutto è più crudo e più cotto, come notava Claude Lévi-Strauss, la produzione derivante dall'impollinazione rimane incommensurabile.
Le api, dalla foresta alla città e alle reti
Ricordiamo la sfida: remunerare il servizio ambientale dell’impollinazione fornito dalle api senza pungiglione e dalle loro compagne nella biozona amazzonica. Qui ci troviamo di fronte alla complessità della foresta e degli esseri viventi e, di conseguenza, alla difficoltà di comprendere l'impollinazione all'interno delle catene di produzione tradizionali. In L'abeille et l'économiste, Yann Moulier Boutang [9] presenta alcune delle sfide del passaggio da un'economia di produzione e di scambio a un'economia di impollinazione e di contributo. Moulier-Boutang usa la metafora dell'impollinazione proprio per designare un processo economico che si sta diffondendo, che chiama «l'economia contributiva della produzione di conoscenza e del vivente in generale» [10]. Cosa fanno le api? Di fiore in fiore, di frutto in frutto, trasportano il polline e così facendo creano reti tra loro e con altre specie. L'impollinazione è complessa, non individuale: agencement immateriale. «Nella comprensione umana della complessità, si trova il ruolo dell’impollinatore. Ma al posto del polline, troveremo tutti gli immateriali: la fiducia, la cooperazione volontaria, la mobilitazione degli affetti che determina la capacità cerebrale, e soprattutto il networking, la cooperazione in rete che prende la forma del contributo» [11]. Pensare all’impollinazione è importante se vogliamo immaginare un'attività economica capace di sostituire l'agricoltura industriale, estrattiva e predatoria, che estrae frutti, prodotti e profitti non ridistribuiti da tutti i «terrestri» amazzonici, umani e «humus» insieme. Un'economia dell'impollinazione implica una produzione mescolata alla riproduzione, o meglio, un'economia viva che non si basa più su questa separazione.
Seguiamo quindi le api per tracciare queste reti produttive, dalla foresta alla città e dalla città alla foresta. La recente pandemia ci ha mostrato l'importanza di un rinnovato rapporto tra natura e cultura, tra foresta e città, dove «pensare come la foresta» significa uscire da queste dicotomie. Thackara propone un approccio originale, che chiama «bioregionale», concepito come un movimento globale incentrato sulle città, che riconosce l'importanza dei sistemi viventi senza cercare un ritorno a una natura vergine o a un «prima» incontaminato: «Le bioregioni non sono un tipo di parco naturale; abbracciano il paesaggio urbano stesso come un'ecologia, con il potenziale per mantenerci».
La bioregione non è un «nuovo naturale», è un biotopo politico dove la volontà di riorganizzare il governo delle città secondo le coerenze ecologiche gioca un ruolo importante. Così, Thackara presenta una serie di iniziative formali in Europa e negli Stati Uniti per lo sviluppo sostenibile delle città, ma è principalmente interessato alle cosiddette pratiche urbane «informali» o «selvagge». Questi includono l'uso dei bordi delle strade e lo sgombero di parcheggi e strade inutilizzati per orti e giardini. Questi arcipelaghi sono spesso interconnessi e formano dei patchwork foresta-città. Thackara cita due esempi: negli Stati Uniti, a Seattle per la precisione, l'artista e designer Sarah Bergmann ha collegato due spazi verdi alle estremità opposte della città con «strisce piantate» tra il marciapiede e la strada; nel Regno Unito, il governo ha avviato un progetto di «strade delle api» in tutto il paese. In entrambi questi casi di collegamento foresta-città, gli insetti impollinatori trovano cibo e habitat. Possiamo anche menzionare le molte iniziative di agricoltura urbana che si stanno svolgendo in America Latina, dove le aree urbane hanno sempre avuto intrecci forti con le aree rurali e le foreste. Quando arrivano in città, questi corridoi di impollinazione possono poi intrecciarsi con i fili elettrici, le fibre ottiche di internet e, soprattutto, le reti di impollinazione culturale e cognitiva, intensificando il mormorio sociale e produttivo. Tuttavia, l'approccio bioregionale è insufficiente se, invece di intrecciarsi con le lotte per la difesa dei territori e degli spazi vitali, prende in considerazione solo la governance.
Impollinazione e sciamatura per una ZAD amazzonica
Una ZAD [12] amazzonica? Per disegnarla, bisogna aprire gli occhi, ma soprattutto bisogna cambiare prospettiva, vedere come i «terrestri» dell'Amazzonia vedono questo blocco continentale le cui frontiere sono state tracciate dalle potenze coloniali e i cui territori sono stati sfruttati da progetti nazionali. Questo richiede uno sforzo di osservazione e immaginazione, ma con un senso di urgenza, perché l'Amazzonia continua a bruciare. La deforestazione rimane una costante: dalla colonizzazione alla modernizzazione, dalla ricerca della gomma alla corsa all'oro e ad altri metalli e poi, più recentemente, all'espansione dell'agricoltura industriale. L’Amazzonia ha appena avuto il suo peggior mese di giugno (2020) in tredici anni, mentre le istituzioni che dovrebbero controllare questo danno sono state destrutturate. La distruzione della foresta è dovuta a una complessità di fattori e attori: alle diverse forme di espropriazione delle terre, al nazionalismo che genera progetti di sviluppo nazionale che ignorano le terre e i modi di vita delle popolazioni locali, all'industrializzazione dell'agricoltura che afferma la sua modernità a scapito di altre forme di agricoltura considerate arcaiche, all'«ecologismo» che pensa a preservare la natura pura senza pensare alla foresta nella prospettiva di chi ci vive. E tutto questo sotto un governo che continua ad accendere il fuoco dell'autoritarismo.
L'Amazzonia non è né nazionale né internazionale, bensì multinazionale, addirittura transnazionale. Mentre l'Unione Europea minaccia di non ratificare l'accordo commerciale con il Mercosur a causa delle politiche anti-ambientali del governo Bolsonaro, l'accelerazione del processo di integrazione europea come risposta ai danni fatti dal Covid19 indica forse un percorso non coloniale per la biozona amazzonica. Tra Minneapolis e Seattle, l'insurrezione americana in difesa delle vite nere ha moltiplicato le biozone e le interzone. Pensare, produrre e agire come la foresta significa andare oltre i parametri dei paesi latinoamericani, anche quelli organizzati congiuntamente dal Mercosul, e, di fronte alla sfida della misura nell'eccesso, osare impollinare e sciamare, per costruire, insieme con le api, con o senza pungiglione, da «A» a «Zad», da sud a nord, un'America amazzonica.
Ringraziamenti a João Meirelles e Fernanda Martins
Note [1] ZAD: Zone à Défendre. La ZAD è una derivazione delle TAZ: Temporary Autonomous Zones di Hakim Bey, costruita nelle lotte vittoriose contro il cantiere dell’aeroporto di Notre-Dame-des-Landes, nel sudo-ovest della Francia. [2] manifestolibri, Roma 2006. [3] J. Thackara, How to thrive in the next economy : designing tomorrow’s world today, Thames and Hudson, London 2017, p. 25-26. [4] https://peabiru.org.br/abelhassemferrao/ [5] Fondato nel 1998, l'Istituto Peabiru è un'organizzazione brasiliana di interesse pubblico della società civile (OSCIP) la cui missione è rafforzare l'organizzazione sociale e valorizzare la socio-biodiversità. https://peabiru.org.br/frentes-de-atuacao/ [6] https://peabiru.org.br/2020/04/29/peabiru-publica-dossie-inedito-sobre-abelhas-sem-ferrao-da-amazonia/ [7] Açaí : Bacche di palma con proprietà antiossidanti ; cupuaçu : burro vegetale con proprietà antiossidanti. [8] Comunità residue di quilombos, gruppi di uomini e donne che fuggirono dalla schiavitù e si rifugiarono nella foresta. [9] Y. Moulier-Boutang, L’abeille et l’économiste, Carnets Nord, Paris 2010. [10] Ivi, p. 128. [11] Ivi, p. 127. [12] ZAD: Zone à Dédendre.
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