Ricordiamo oggi, giorno in cui si tiene la cerimonia funebre a Père Lachaise, Toni Negri con un testo di Jaroslav Novak, militante di Potere Operaio e uno dei principali imputati del processo «7 Aprile».
Nel testo sono raccontati particolari inediti sulla scarcerazione di Toni Negri nel 1983 in seguito alla sua elezione a parlamentare nelle liste del Partito radicale.
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Il silenzio era surreale e sembrava quasi stabilire una barriera fisica al vociare e alle urla che sicuramente si levavano da quel nutrito manipolo di fascisti che si era radunato in fondo a Via Raffaele Majetti, quasi a impedire la nostra uscita da quella parte, ma tenuti a bada da un altrettanto nutrito cordone di carabinieri in assetto antisommossa.
Dall’altra parte, dove via Maietti confluisce ortogonalmente in Via Bartolo Longo che a sua volta si immette in via Casal dei Pazzi, che da una parte si dirige verso Roma e dall’altra al raccordo anulare, fin dalle prime luci dell’alba un folto schieramento di carabinieri vietava a chiunque di avvicinarsi. Avevo avuto difficoltà anche io sebbene munito da giorni di una speciale autorizzazione. Ma quando arrivai con la mia scassata mini gialla, i carabinieri, ai quali mostravo l’editto che mi autorizzava a proseguire, non credevano ai loro occhi. Roberto e Sergio avevano avuto sicuramente meno problemi e non tanto per la vettura quanto per la loro possibilità di esibire il tesserino da parlamentari.
Eravamo a Rebibbia, appena passato l’ingresso principale. Anche lì moltissimi carabinieri ma non una parola. La tensione era fortissima e tutti e tre eravamo pervasi da un senso di inquietudine. Appena Negri avrebbe finito le pratiche burocratiche che ne decretavano la libertà, in virtù della sua elezione a deputato del partito radicale, eravamo liberi di uscire da Rebibbia, lo schieramento di carabinieri in fiondo a via Majetti si sarebbe aperto come le famose acque del Mar Rosso e poi tanti auguri. Ci sembrò proprio una trappola.
Così ognuno decise di fare una telefonata. Non c’erano ancora i telefonini ma solo un mesto telefono a gettone. Io chiamai l’unica persona che potevo chiamare, Rossana Rossanda e le spiegai la situazione. Probabilmente Sergio Stanzani e Roberto Cicciomessere si misero in contatto con Pannella. Seppi dopo che Rossana aveva chiamato direttamente Pertini. Quelle due telefonate dovevano aver avuto un qualche risultato. Poco dopo mi si avvicinò Manai, il comandante delle guardie del carcere. Con Manai io avevo avuto un ottimo rapporto. Persona colta, intelligente, abile nel muoversi nelle situazioni difficili e, essendo il comandante della guardie del più importante carcere, per di più situato nella capitale, molto attento alle dinamiche politiche. Era lui che di fatto aveva convinto Restivo, il direttore, a consentire la famosa «delegazione dei rappresentanti di raggio» che io mi ero inventato e di cui ero l’unico «detenuto politico». Con me c’erano il famoso Salvatore Buzzi, «prima maniera» e con il quale sono stato amico, Il figlio di Tommaso Buscetta che pare avesse tentato di fare le scarpe al padre in un affare di droga (e che le cronache carcerarie, non so quanto attendibili, avrebbero dato ad irrobustire successivamente il pilone di cemento di qualche viadotto), alcuni esponenti della più nota mala romana dell’epoca, i Proietti e un affiliato alla ‘ndrangheta che voleva a tutti i costi convincermi che stava in galera per un errore dei giudici che, guarda un po’, non avevano creduto che quando lui telefonava per ordinare delle cravatte erano veramente cravatte e non partite di droga come quei maliziosi magistrati sostenevano. Ecc.
Un giorno chiesi a Manai un colloquio, me lo concesse e in sintesi, gli dissi. Io e i miei compagni siamo all’interno di una rete di relazioni con una serie di gruppi minori, cosiddetti «combattenti» nelle altre carceri e conosciamo alcune situazioni di persone in pericolo o di militanti che vogliono allontanarsi dai gruppi di cui fanno parte e per le cui attività sono in galera. Io gliele segnalo e lei trova il modo di farle trasferire a Rebibbia, in quella «area omogenea» che si era già formata e che contava alcuni che non erano non ancora dissociati ma che stavano iniziando un loro percorso critico. Così fu.
Manai dunque mi si avvicinò e mi disse: c’è una persona con cui la vorrei far parlare. Mi venne da ridere perché già in un’altra occasione mi disse la stessa frase e mi accompagnò in una stanza dove c’era Valerio. Ma questa è un’altra storia. In questo caso non era lui ma il colonnello Belmonte, almeno così’ disse di chiamarsi, un pezzo grosso, quantomeno per la stazza, dei servizi segreti. Sergio e Roberto erano stati lasciati fuori. Mi rendo conto, mi disse, che lei, e immagino l’onorevole Negri (così giustamente lo chiamò), sarete preoccupati di cosa avviene all’uscita da Rebibbia. Non le posso dar torto. Da giorni è montata una campagna, da parte di gruppi di estrema destra, che sono contro l’elezione di Negri a deputato e la situazione è abbastanza delicata. Ma se lei io vuole, e naturalmente l’onorevole Negri è d’accordo, noi possiamo garantirle ogni spostamento in estrema sicurezza. Feci il finto tonto e di non capire chi avevo davanti e chiesi: «noi chi»? Forse non si aspettava la domanda e magari avrebbe preferito non riceverla ma, anche se a mezza bocca mi rispose; «servizi segreti». Capii che Rossanda e penso Pannella si erano mossi immediatamente e avevano posto il problema della nostra sicurezza. Così risposi che personalmente non avevo problemi ma, naturalmente doveva essere Negri a dare il suo assenso. Tanto più che l’offerta non riguardava solo il momento dell’uscita da Rebibbia ma anche i giorni successivi. Si trattava di accettare una sorta di controllo costante. Dopo un po’ Toni arrivò. Anche se dalla mia uscita da Rebibbia era passato del tempo eravamo rimasti sempre in contatto, soprattutto nel periodo della campagna elettorale. Gestire Pannella e Giovanni Negri e la loro esuberanza si rilevò un compito difficile e i colloqui con loro, che io facevo sempre insieme a Rossana, finivano spesso in accese discussioni.
Toni era molto teso, giustamente nervoso, emotivamente affaticato. Stava per uscire ma non sapeva ancora come. Io nel frattempo avevo messo al corrente del colloquio con «Belmonte» Roberto e Sergio e recepito le loro perplessità. Che erano anche le mie ma non avevamo soluzioni. Personalmente ero giunto a quel momento con un po’ di incoscienza, non avevo programmato nulla, non mi ero minimamente immaginato quello scenario, sapevo solo quale era la nostra meta. Parlai, parlammo con Toni. Ci scambiammo poche parole eravamo entrambi un po’ frastornati. Quella che era stata una straordinaria vittoria in quel momento stava diventando un momento di ansia e di paura. Il silenzio attorno a noi continuava ad essere assordante.
Comunicai a Belmonte che accettavamo l’offerta. Lui mi dette un numero di telefono dove, da quel momento in poi, avrei dovuto telefonare ogni qual volta l’Onorevole Negri si fosse mosso dal suo domicilio. Dovevamo poi aspettare una conferma che serviva loro di organizzare il servizio di scorta. Di solito arrivava dopo pochi minuti. Rimasi stupito dalla loro efficienza, sia quella sera che in altre circostanze, quando affrontammo dei viaggi più lunghi come per esempio andando a Napoli. Lungo l’autostrada notai più volte che mentre la percorrevamo passavamo accanto a delle auto ferme che dopo il nostro passaggio si mettevano in moto. Le scorte si alternavano.
La mia mini gialla rimase dentro Rebibbia e uscimmo, con la macchina di Sergio e Roberto da un’uscita secondaria che ci avevano indicato diretti a via Flaminia dove nella loro villa ci aspettavano Pasquale Squitieri e Claudia Cardinale. Quando arrivammo Roberto e Sergio ci lasciarono lì e Toni finalmente si sciolse e si rassicurò facendo una grande capriola sul prato della villa. Pasquale era stato un periodo a Rebibbia con noi per una vecchia storia demenziale di tantissimi anni prima ed io lo avevo intervistato per «il manifesto». Subito dopo che Manai mi aveva avvertito che era in atto un’operazione per fotografarlo di nascosto per conto di una rivista scandalistica. Io avvertii Pasquale, riuscimmo a bloccare quell’operazione e da allora diventammo amici. Quando arrivammo a casa sua, ed ogni volta che mi capitava, appena Claudia mi diceva, con quella sua pazzesca voce sensuale, «ciao Jaro come stai», mi veniva un groppo alla gola. Dopo un po’ suonarono al cancello. Era l’auto dei servizi che ci aveva scortato (noi non ci eravamo accorti di niente) e che si assicurava che era tutto a posto. Le emozioni di quella sera erano a mille. Toni era finalmente libero. Il futuro, come tutti sappiamo, ancora interamente da scrivere.
Quando poi Toni decise di andare in Francia, certo di quella che sarebbe stata la decisione del Parlamento sul suo arresto, si pose il problema della scorta. Toni chiese un colloquio a Scalfaro, allora ministro dell’Interno, per chiedere la revoca della scorta in quanto non riteneva che esistessero più problemi per la sua sicurezza.
Scalfaro da vecchio furbacchione democristiano non se lo fece dire due volte. L’idea di cosa avrebbe significato il ritorno di Negri in carcere dal punto di vista politico e delle proteste che ci sarebbero state, con probabili incidenti di piazza, fecero sì che concedesse immediatamente la revoca della scorta ben contento che Toni, come aveva intuito, sarebbe scappato all’estero.
26 dicembre 2023
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Jaroslav Novak ha militato in Potere operaio. Tra i principali imputati del processo «7 aprile» ha scontato 2 anni e 9 mesi di carcere prima di essere assolto dalle accuse.
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